Rileggere la mia tesi di laurea, delle guerrigliere, delle donne che hanno fatto la resistenza palestinese mi emoziona. Ho perlustrato tutte le biblioteche di Bologna, ho richiesto libri dall’Italia e dall’estero, ho passato in rassegna decine di articoli e molto spesso tutto ciò che trovavo erano solo poche righe. Eppure ciò di cui venivo a conoscenza mi affascinava e mi aiutava a rimanere incollata alla scrivania. Una sera quando dopo giorni di ricerche non riuscivo più a concentrarmi, Lucia Grandinetti (una delle persone più belle che io abbia conosciuto durante il periodo universitario) mi ha portato un gelato. Un tartufo bianco. E io l’ho diviso col mio ragazzo. In quel periodo mi stavo occupando delle iniziative di pace palestinesi, simboleggiate da Hanan Ashrawi. Ma ora devo riprendere la “narrazio- ne”.
La guerra del ‘67 viene identificata dai palestinesi come la naksa (sconfitta): Israele si impossessa della penisola del Sinai, della striscia di Gaza, della Cisgiordania e Gerusalemme Est e le alture del Golan. Ancora una volta i palestinesi sono costretti ad abbandonare case e terre diventando profughi. L’acqua viene posta sotto il controllo degli israeliani che decidono quando e cosa possono coltivare i palestinesi rimasti nei nuovi territori occupati. La proletarizzazione cresce. Viene messa in atto una vera e propria pulizia etnica. Il simbolo dell’aggressività israeliana diventa il generale Ariel Sharon (il Bulldozer). Le istituzioni e i servizi pubblici palestinesi vengono posti sotto il controllo israeliano. Le unioni politiche e culturali diventano vietate. In questo clima la rabbia dei palestinesi cresce.
Se i metodi tradizionali di resistenza non svaniscono dal 1967 diventa chiaro il desiderio delle donne di prendere le armi. Le donne impegnate nella lotta armata appartengono perlopiù alle giovani generazioni: sfidano le norme sociali tradizionali, molte di loro rifiutano il velo, evitano o rimandano il matrimonio e la nascita dei figli. Esse hanno come modello Mao Tse Tung e i leader rivoluzionari del Terzo Mondo. L’associazione principale che recluta donne è la General Union of Palestinian Women. Tra i partiti, quello che più affida compiti militari alle donne è il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina: esso abbraccia il marxismo-leninismo e dà alla rivoluzione un contenuto di classe. Secondo il FPLP il potere è nelle masse e una rivoluzione araba armata è il prerequisito per risolvere la questione palestinese. La tattica principalmente usata è il dirottamento di aerei.
Dal ‘67 all’interno di Al Fatah si inizia a pensare che è solo la liberazione della Palestina che può portare all’unità araba. Per raggiungere questo obiettivo anche Al Fatah ritiene indispensabile la lotta armata ma ha una visione più chiusa del ruolo delle donne in quanto fazione centrista che fa appello ai valori tradizionali della società palestinese per ottenere l’appoggio sia della classe media sia della popolazione dei campi. Nonostante Al Fatah cerchi di non rimanere indietro rispetto allo schieramento delle donne del FPLP, ingaggiando per esempio Fatma Bernawi che nel ‘67 piazza una bomba in un cinema di Gerusalemme, la partecipazione delle donne alla lotta armata all’interno del partito è riconosciuta formalmente solo nel ’70. Nel Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina la resistenza delle donne è perlopiù una forma non violenta.
L’icona femminile del periodo è Leila Khaled. Nata nel ’44 ad Haifa, è costretta a lasciare la sua terra dopo la guerra del ’48. Con la sua numerosa famiglia trova rifugio in un campo profughi di Tiro, in Libano, dove i profughi conducono una vita che lei definisce da mendicanti. Tuttavia Leila può frequentare la scuola dell’UNRWA senza però poter portare a termine la carriera universitaria a causa delle ristrettezze economiche. Per questo si trasferisce in Kuwait dove lavora come insegnante di inglese. Già membro del Movimento Nazionalista Arabo all’età di 16 anni, nel ’67 Leila decide di entrare nel FPLP. Dopo una formazione militare completa, nel 1968 viene selezionata per partecipare a un piano di dirottamento di aerei. Il 26 agosto 1969 ottiene l’incarico di dirottare un Boeing 707 della TWA diretto da Roma ad Atene. Sull’aereo si pensa che sia presente il generale israeliano Rabin (che però rinuncia al volo all’ultimo momento). Per portare a termine gli altri dirottamenti Leila deve sottoporsi a numerosi interventi di chirurgia plastica. In occasione del dirottamento del volo El Al 219 del 6 settembre 1970 Leila Khaled viene arrestata. Sarà detenuta in Gran Bretagna e rilasciata in uno scambio di prigionieri. Da quel momento vive in Libano, Siria e Giordania. Il suo attivismo continua, prima come combattente e poi come membro del Consiglio Nazionale Palestinese. Pur avendo attribuito sempre più importanza alla donne, il suo pensiero rimane radicale. Come afferma nel 2001: “Fino a quando ci sarà l’occupazione nel nostro paese, il conflitto continuerà”. Alla prossima☺
Rileggere la mia tesi di laurea, delle guerrigliere, delle donne che hanno fatto la resistenza palestinese mi emoziona. Ho perlustrato tutte le biblioteche di Bologna, ho richiesto libri dall’Italia e dall’estero, ho passato in rassegna decine di articoli e molto spesso tutto ciò che trovavo erano solo poche righe. Eppure ciò di cui venivo a conoscenza mi affascinava e mi aiutava a rimanere incollata alla scrivania. Una sera quando dopo giorni di ricerche non riuscivo più a concentrarmi, Lucia Grandinetti (una delle persone più belle che io abbia conosciuto durante il periodo universitario) mi ha portato un gelato. Un tartufo bianco. E io l’ho diviso col mio ragazzo. In quel periodo mi stavo occupando delle iniziative di pace palestinesi, simboleggiate da Hanan Ashrawi. Ma ora devo riprendere la “narrazio- ne”.
La guerra del ‘67 viene identificata dai palestinesi come la naksa (sconfitta): Israele si impossessa della penisola del Sinai, della striscia di Gaza, della Cisgiordania e Gerusalemme Est e le alture del Golan. Ancora una volta i palestinesi sono costretti ad abbandonare case e terre diventando profughi. L’acqua viene posta sotto il controllo degli israeliani che decidono quando e cosa possono coltivare i palestinesi rimasti nei nuovi territori occupati. La proletarizzazione cresce. Viene messa in atto una vera e propria pulizia etnica. Il simbolo dell’aggressività israeliana diventa il generale Ariel Sharon (il Bulldozer). Le istituzioni e i servizi pubblici palestinesi vengono posti sotto il controllo israeliano. Le unioni politiche e culturali diventano vietate. In questo clima la rabbia dei palestinesi cresce.
Se i metodi tradizionali di resistenza non svaniscono dal 1967 diventa chiaro il desiderio delle donne di prendere le armi. Le donne impegnate nella lotta armata appartengono perlopiù alle giovani generazioni: sfidano le norme sociali tradizionali, molte di loro rifiutano il velo, evitano o rimandano il matrimonio e la nascita dei figli. Esse hanno come modello Mao Tse Tung e i leader rivoluzionari del Terzo Mondo. L’associazione principale che recluta donne è la General Union of Palestinian Women. Tra i partiti, quello che più affida compiti militari alle donne è il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina: esso abbraccia il marxismo-leninismo e dà alla rivoluzione un contenuto di classe. Secondo il FPLP il potere è nelle masse e una rivoluzione araba armata è il prerequisito per risolvere la questione palestinese. La tattica principalmente usata è il dirottamento di aerei.
Dal ‘67 all’interno di Al Fatah si inizia a pensare che è solo la liberazione della Palestina che può portare all’unità araba. Per raggiungere questo obiettivo anche Al Fatah ritiene indispensabile la lotta armata ma ha una visione più chiusa del ruolo delle donne in quanto fazione centrista che fa appello ai valori tradizionali della società palestinese per ottenere l’appoggio sia della classe media sia della popolazione dei campi. Nonostante Al Fatah cerchi di non rimanere indietro rispetto allo schieramento delle donne del FPLP, ingaggiando per esempio Fatma Bernawi che nel ‘67 piazza una bomba in un cinema di Gerusalemme, la partecipazione delle donne alla lotta armata all’interno del partito è riconosciuta formalmente solo nel ’70. Nel Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina la resistenza delle donne è perlopiù una forma non violenta.
L’icona femminile del periodo è Leila Khaled. Nata nel ’44 ad Haifa, è costretta a lasciare la sua terra dopo la guerra del ’48. Con la sua numerosa famiglia trova rifugio in un campo profughi di Tiro, in Libano, dove i profughi conducono una vita che lei definisce da mendicanti. Tuttavia Leila può frequentare la scuola dell’UNRWA senza però poter portare a termine la carriera universitaria a causa delle ristrettezze economiche. Per questo si trasferisce in Kuwait dove lavora come insegnante di inglese. Già membro del Movimento Nazionalista Arabo all’età di 16 anni, nel ’67 Leila decide di entrare nel FPLP. Dopo una formazione militare completa, nel 1968 viene selezionata per partecipare a un piano di dirottamento di aerei. Il 26 agosto 1969 ottiene l’incarico di dirottare un Boeing 707 della TWA diretto da Roma ad Atene. Sull’aereo si pensa che sia presente il generale israeliano Rabin (che però rinuncia al volo all’ultimo momento). Per portare a termine gli altri dirottamenti Leila deve sottoporsi a numerosi interventi di chirurgia plastica. In occasione del dirottamento del volo El Al 219 del 6 settembre 1970 Leila Khaled viene arrestata. Sarà detenuta in Gran Bretagna e rilasciata in uno scambio di prigionieri. Da quel momento vive in Libano, Siria e Giordania. Il suo attivismo continua, prima come combattente e poi come membro del Consiglio Nazionale Palestinese. Pur avendo attribuito sempre più importanza alla donne, il suo pensiero rimane radicale. Come afferma nel 2001: “Fino a quando ci sarà l’occupazione nel nostro paese, il conflitto continuerà”. Alla prossima☺
Rileggere la mia tesi di laurea, delle guerrigliere, delle donne che hanno fatto la resistenza palestinese mi emoziona.
Rileggere la mia tesi di laurea, delle guerrigliere, delle donne che hanno fatto la resistenza palestinese mi emoziona. Ho perlustrato tutte le biblioteche di Bologna, ho richiesto libri dall’Italia e dall’estero, ho passato in rassegna decine di articoli e molto spesso tutto ciò che trovavo erano solo poche righe. Eppure ciò di cui venivo a conoscenza mi affascinava e mi aiutava a rimanere incollata alla scrivania. Una sera quando dopo giorni di ricerche non riuscivo più a concentrarmi, Lucia Grandinetti (una delle persone più belle che io abbia conosciuto durante il periodo universitario) mi ha portato un gelato. Un tartufo bianco. E io l’ho diviso col mio ragazzo. In quel periodo mi stavo occupando delle iniziative di pace palestinesi, simboleggiate da Hanan Ashrawi. Ma ora devo riprendere la “narrazio- ne”.
La guerra del ‘67 viene identificata dai palestinesi come la naksa (sconfitta): Israele si impossessa della penisola del Sinai, della striscia di Gaza, della Cisgiordania e Gerusalemme Est e le alture del Golan. Ancora una volta i palestinesi sono costretti ad abbandonare case e terre diventando profughi. L’acqua viene posta sotto il controllo degli israeliani che decidono quando e cosa possono coltivare i palestinesi rimasti nei nuovi territori occupati. La proletarizzazione cresce. Viene messa in atto una vera e propria pulizia etnica. Il simbolo dell’aggressività israeliana diventa il generale Ariel Sharon (il Bulldozer). Le istituzioni e i servizi pubblici palestinesi vengono posti sotto il controllo israeliano. Le unioni politiche e culturali diventano vietate. In questo clima la rabbia dei palestinesi cresce.
Se i metodi tradizionali di resistenza non svaniscono dal 1967 diventa chiaro il desiderio delle donne di prendere le armi. Le donne impegnate nella lotta armata appartengono perlopiù alle giovani generazioni: sfidano le norme sociali tradizionali, molte di loro rifiutano il velo, evitano o rimandano il matrimonio e la nascita dei figli. Esse hanno come modello Mao Tse Tung e i leader rivoluzionari del Terzo Mondo. L’associazione principale che recluta donne è la General Union of Palestinian Women. Tra i partiti, quello che più affida compiti militari alle donne è il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina: esso abbraccia il marxismo-leninismo e dà alla rivoluzione un contenuto di classe. Secondo il FPLP il potere è nelle masse e una rivoluzione araba armata è il prerequisito per risolvere la questione palestinese. La tattica principalmente usata è il dirottamento di aerei.
Dal ‘67 all’interno di Al Fatah si inizia a pensare che è solo la liberazione della Palestina che può portare all’unità araba. Per raggiungere questo obiettivo anche Al Fatah ritiene indispensabile la lotta armata ma ha una visione più chiusa del ruolo delle donne in quanto fazione centrista che fa appello ai valori tradizionali della società palestinese per ottenere l’appoggio sia della classe media sia della popolazione dei campi. Nonostante Al Fatah cerchi di non rimanere indietro rispetto allo schieramento delle donne del FPLP, ingaggiando per esempio Fatma Bernawi che nel ‘67 piazza una bomba in un cinema di Gerusalemme, la partecipazione delle donne alla lotta armata all’interno del partito è riconosciuta formalmente solo nel ’70. Nel Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina la resistenza delle donne è perlopiù una forma non violenta.
L’icona femminile del periodo è Leila Khaled. Nata nel ’44 ad Haifa, è costretta a lasciare la sua terra dopo la guerra del ’48. Con la sua numerosa famiglia trova rifugio in un campo profughi di Tiro, in Libano, dove i profughi conducono una vita che lei definisce da mendicanti. Tuttavia Leila può frequentare la scuola dell’UNRWA senza però poter portare a termine la carriera universitaria a causa delle ristrettezze economiche. Per questo si trasferisce in Kuwait dove lavora come insegnante di inglese. Già membro del Movimento Nazionalista Arabo all’età di 16 anni, nel ’67 Leila decide di entrare nel FPLP. Dopo una formazione militare completa, nel 1968 viene selezionata per partecipare a un piano di dirottamento di aerei. Il 26 agosto 1969 ottiene l’incarico di dirottare un Boeing 707 della TWA diretto da Roma ad Atene. Sull’aereo si pensa che sia presente il generale israeliano Rabin (che però rinuncia al volo all’ultimo momento). Per portare a termine gli altri dirottamenti Leila deve sottoporsi a numerosi interventi di chirurgia plastica. In occasione del dirottamento del volo El Al 219 del 6 settembre 1970 Leila Khaled viene arrestata. Sarà detenuta in Gran Bretagna e rilasciata in uno scambio di prigionieri. Da quel momento vive in Libano, Siria e Giordania. Il suo attivismo continua, prima come combattente e poi come membro del Consiglio Nazionale Palestinese. Pur avendo attribuito sempre più importanza alla donne, il suo pensiero rimane radicale. Come afferma nel 2001: “Fino a quando ci sarà l’occupazione nel nostro paese, il conflitto continuerà”. Alla prossima☺
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