Nelle fredde sere d’inverno, seduti intorno al camino, la nonna raccontava e cantava; la sua voce roca e antica sembrava venire da remote lontananze; i riverberi della fiamma le danzavano sul viso dandole la solennità di una divinità contadina misteriosa e possente o la bellezza di una sant’Anna lignea, ieratica e rugosa. Bambina irrequieta, ogni tanto mi alzavo dal banchetto per andare a guardare la neve che cadeva oltre i vetri e, nella cucina annerita, odorosa di cibi frugali, mi sentivo protetta e al sicuro come nella palla di cristallo che se la scuotevi lasciava cadere miriadi di fiocchi bianchi sulla piccola natività che conteneva.
La nonna, a volte prendeva spunto da quella tenera immagine per raccontarci le storie sacre e “magiche” della vita dei santi e di Gesù, storie miracolose e poetiche, delicate e fantastiche, tramandate oralmente da generazioni durante le serene notti estive, seduti sull’uscio di casa tra lucciole e stelle o nelle lunghe veglie invernali accanto al fuoco crepitante: siepi di rovo che si coprivano di fiori bianchi per non strappare i pannicelli del Bambino che la Madonna aveva steso ad asciugare; uccellini di creta che a un battito di mani di Gesù volavano via per non farsi schiacciare dal piede di un compagno invidioso; Maria che nel giovedì santo, chiusa nel manto cercava il Figlio e “lo trovava incatenato nella casa di Pilato”; un passerotto pietoso che col beccuccio toglieva una spina dalla fronte ferita di Cristo arrossando di sangue le piume bianche del suo petto…
La nonna raccontava e cantava, facendoci scoprire, secondo le nostre categorie di sensibilità e la nostra capacità di comprensione, la bontà, l’amore, la compassione, il bisogno di giustizia, mentre germogliavano in noi nel modo più soave e famigliare la fede e il soprannaturale, la scoperta dell’altro e di Dio.
Quella sfera di cristallo si trova nella casa ormai vuota e abbandonata di mio padre; quando ci vado con i miei fratelli la prendo tra le mani e la capovolgo per vedere ancora turbinare la neve sul presepe; i miei fratelli sanno che penso alla nostra infanzia modesta e felice; ci guardiamo e ci sorridiamo complici, sentendoci ancora casa, focolare, famiglia. ☺
Nelle fredde sere d’inverno, seduti intorno al camino, la nonna raccontava e cantava; la sua voce roca e antica sembrava venire da remote lontananze; i riverberi della fiamma le danzavano sul viso dandole la solennità di una divinità contadina misteriosa e possente o la bellezza di una sant’Anna lignea, ieratica e rugosa. Bambina irrequieta, ogni tanto mi alzavo dal banchetto per andare a guardare la neve che cadeva oltre i vetri e, nella cucina annerita, odorosa di cibi frugali, mi sentivo protetta e al sicuro come nella palla di cristallo che se la scuotevi lasciava cadere miriadi di fiocchi bianchi sulla piccola natività che conteneva.
La nonna, a volte prendeva spunto da quella tenera immagine per raccontarci le storie sacre e “magiche” della vita dei santi e di Gesù, storie miracolose e poetiche, delicate e fantastiche, tramandate oralmente da generazioni durante le serene notti estive, seduti sull’uscio di casa tra lucciole e stelle o nelle lunghe veglie invernali accanto al fuoco crepitante: siepi di rovo che si coprivano di fiori bianchi per non strappare i pannicelli del Bambino che la Madonna aveva steso ad asciugare; uccellini di creta che a un battito di mani di Gesù volavano via per non farsi schiacciare dal piede di un compagno invidioso; Maria che nel giovedì santo, chiusa nel manto cercava il Figlio e “lo trovava incatenato nella casa di Pilato”; un passerotto pietoso che col beccuccio toglieva una spina dalla fronte ferita di Cristo arrossando di sangue le piume bianche del suo petto…
La nonna raccontava e cantava, facendoci scoprire, secondo le nostre categorie di sensibilità e la nostra capacità di comprensione, la bontà, l’amore, la compassione, il bisogno di giustizia, mentre germogliavano in noi nel modo più soave e famigliare la fede e il soprannaturale, la scoperta dell’altro e di Dio.
Quella sfera di cristallo si trova nella casa ormai vuota e abbandonata di mio padre; quando ci vado con i miei fratelli la prendo tra le mani e la capovolgo per vedere ancora turbinare la neve sul presepe; i miei fratelli sanno che penso alla nostra infanzia modesta e felice; ci guardiamo e ci sorridiamo complici, sentendoci ancora casa, focolare, famiglia. ☺
Nelle fredde sere d’inverno, seduti intorno al camino, la nonna raccontava e cantava; la sua voce roca e antica sembrava venire da remote lontananze.
Nelle fredde sere d’inverno, seduti intorno al camino, la nonna raccontava e cantava; la sua voce roca e antica sembrava venire da remote lontananze; i riverberi della fiamma le danzavano sul viso dandole la solennità di una divinità contadina misteriosa e possente o la bellezza di una sant’Anna lignea, ieratica e rugosa. Bambina irrequieta, ogni tanto mi alzavo dal banchetto per andare a guardare la neve che cadeva oltre i vetri e, nella cucina annerita, odorosa di cibi frugali, mi sentivo protetta e al sicuro come nella palla di cristallo che se la scuotevi lasciava cadere miriadi di fiocchi bianchi sulla piccola natività che conteneva.
La nonna, a volte prendeva spunto da quella tenera immagine per raccontarci le storie sacre e “magiche” della vita dei santi e di Gesù, storie miracolose e poetiche, delicate e fantastiche, tramandate oralmente da generazioni durante le serene notti estive, seduti sull’uscio di casa tra lucciole e stelle o nelle lunghe veglie invernali accanto al fuoco crepitante: siepi di rovo che si coprivano di fiori bianchi per non strappare i pannicelli del Bambino che la Madonna aveva steso ad asciugare; uccellini di creta che a un battito di mani di Gesù volavano via per non farsi schiacciare dal piede di un compagno invidioso; Maria che nel giovedì santo, chiusa nel manto cercava il Figlio e “lo trovava incatenato nella casa di Pilato”; un passerotto pietoso che col beccuccio toglieva una spina dalla fronte ferita di Cristo arrossando di sangue le piume bianche del suo petto…
La nonna raccontava e cantava, facendoci scoprire, secondo le nostre categorie di sensibilità e la nostra capacità di comprensione, la bontà, l’amore, la compassione, il bisogno di giustizia, mentre germogliavano in noi nel modo più soave e famigliare la fede e il soprannaturale, la scoperta dell’altro e di Dio.
Quella sfera di cristallo si trova nella casa ormai vuota e abbandonata di mio padre; quando ci vado con i miei fratelli la prendo tra le mani e la capovolgo per vedere ancora turbinare la neve sul presepe; i miei fratelli sanno che penso alla nostra infanzia modesta e felice; ci guardiamo e ci sorridiamo complici, sentendoci ancora casa, focolare, famiglia. ☺
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