Il dito e la luna
31 Marzo 2015 Share

Il dito e la luna

La crisi è una brutta bestia, distrugge risorse materiali e procura gravi sofferenze sociali, ma la crisi è anche cambiamento, innovazione e, non raramente, nuove possibilità e opportunità. È stato così in grandi passaggi storici. Senza la crisi del ‘29 non avremmo avuto il riformismo di Roosvelt e quel grande cambiamento dei paradigmi economici rappresentato dal keynesismo. È stato così nei primi anni ‘70, quando la cosiddetta crisi petrolifera aprì una riflessione seria sul modello di sviluppo e sui nuovi consumi sociali, riflessioni e iniziative che rapidamente abortirono sotto la spinta della controrivoluzione thatcheriana e reaganiana. Anche da quella crisi si uscì, ma i prezzi sociali furono altissimi e intorno a una nuova idolatria del mercato si costruirono feroci gerarchie e diseguaglianze sociali.

Dalle “crisi”, e la storia lontana e recente ne è testimonianza, si può uscire a destra o a sinistra, ma sempre con grandi cambiamenti e soprattutto sul- l’onda di grandi spinte culturali, ideali e persino ideologiche. Per questo fa sorridere il chiacchiericcio di questi giorni sui passi fuori dalla crisi di interessate e autorevoli personalità e sulle rassicurazioni del presidente del consiglio Renzi. Che sia venuta una boccata di ossigeno dal calo del petrolio e dal riequilibrio fra l’euro e il dollaro è certo, ma pensare che questo sia il primo passo vero la fuoriuscita dal buco nero della crisi è come scambiare le lucciole con le lanterne, il “dito” con “la luna”. Più semplicemente vuol dire ignorare la natura dei problemi che abbiamo davanti, ovvero la natura di una “crisi” che è radicale e insieme strutturale. Radicale, perché ha mutato in profondità gli equilibri politici nel mondo: l’Unione Sovietica è scomparsa, gli Stati Uniti non riescono a ordinare e a governare il mondo e nuovi soggetti forti come la Cina, il Brasile e l’India sono entrati da protagonisti nel teatro-mondo.

Solo l’Europa non muta, un’ espressione geografica era e poco più che un’espressione geografica è rimasta. Strutturale, perché sono cambiati e in profondità gli equilibri economici nel mondo e le conseguenze per molti dei paesi occidentali sono state amare: si sono persi milioni di posti di lavoro, la precarietà è divenuta la normalità, lo stato sociale ha perso diritti e conquiste a ogni curva e, infine, democrazia e politica hanno perso ruolo, funzioni e legittimità di fronte agli occhi del cittadino europeo. E non è un caso che movimenti e partiti di una nuova destra pericolosa crescono in tutta Europa, persino nella civilissima Svezia.

Per uscire da questa drammatica situazione è decisiva una grande svolta e una nuova legittimità della politica, una vera rivoluzione delle idee e dei comportamenti di milioni di uomini. La distanza fra questa urgenza dal convento della politica e dalla minestra che passa il convento è abissale. Di due stelle polari in questo momento la Politica avrebbe bisogno: il saio di san Francesco e la carica rivoluzionaria di Martin Lutero.  Quel che vediamo in giro, se va bene sono delle patetiche imitazioni dei nostri rottamatori casarecci, e se va male sono le discussioni penose sulla qualità dei vestiti gentilmente regalati all’ex ministro Lupi.

Qualcosa si muove sotto il cielo della politica, ma è troppo frantumato e dominato da una singolare quanto dannosa schizofrenia, in virtù della quale chi è immacolato nei comportamenti, quasi fosse un obbligo è estremista e massimalista nelle idee e nei contenuti. Al contrario, chi si pone l’obiettivo di un’alternativa di governo, chi ricerca una  strategia di un cambiamento possibile, inesorabilmente sente il canto delle sirene del privilegio del ceto politico e il fascino corporativo degli incarichi istituzionali. Spezzare questo circuito perverso è esiziale per qualsiasi ragionamento sul programma, sui contenuti e sugli obiettivi di questa complicata fase politica e storica. Dovrebbe essere evidente che senza nuovi virtuosi e coerenti comportamenti di chi fa politica non si farà alcun passo fuori dal degrado delle istituzioni e della politica. Così come dovrebbe essere chiaro che in una crisi così “radicale e strutturale” non si uscirà con la sola protesta, non si aprirà alcuna finestra sul futuro senza idee, progetti alternativi e insieme capaci di orientare e governare problemi così complessi e contraddittori come quelli che abbiamo dinnanzi. Sembrerebbe l’uovo di colombo, ma così non è, e la sinistra appare sempre più un fantasma che si aggira per l’Europa, non come una speranza, ma come un residuo del passato.

Che nella nostra piccola dimora molisana, per non parlare degli affari romani, siano i vari Frattura, Facciolla e tanti altri a rappresentarla è la più solare delle testimonianze di questo inglorioso epilogo.☺

 

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