Alea iacta est
29 Aprile 2017
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Alea iacta est

“Alea iacta est”, tuonò Giulio Cesare, una volta attraversato il Rubicone, confine virtuale che l’Urbe aveva posto all’Italia. Come dire: “il gioco è fatto”, con tutto il carico di doppiezze che il gioco stesso reca con sé.
Alea… il dado, appunto. Se si va a rivedere il mito di Aleo, re di Tagea (qui non abbiamo sufficiente spazio per riportarlo), si possono evincere indicazioni su alcuni fili conduttori. Ne scelgo quello che ritengo più pregnante, cioè proprio la doppiezza, l’ ambiguità/ambivalenza della nipote di Aleo, Auge: di lei non si saprà mai se fu davvero violentata da Eracle (quindi incolpevole vittima) o se giacque con brama alle voglie dell’eroe/semidio (consapevole nel suo godimento). In questo breve spazio richiestomi dalla redazione voglio concentrare l’ attenzione proprio sull’ambiguità e sul suo contiguo aspetto non-conscio, l’ambivalenza, a proposito del gioco d’azzardo. Tento brevemente di offrire spunti di riflessione a proposito di attori e istituzioni che compartecipano, più o meno coscientemente, al gioco perverso del Gioco.
Nel giocatore. Il gioco d’azzardo patologico è miseramente travestito da attività ludica, in modo da attenuarne la consapevolezza, minimizzando l’impulso di giocare, il bisogno di continuare a tentare la fortuna fino a distruggersi psichicamente, relazionalmente, economicamente. E il giocatore cade, tra l’ingenuo e l’acritico, in questa rete perversa.
Nelle famiglie e nella società. Da una parte prevalgono atteggiamenti da retorica moralistica (“i danni individuali e sociali”, la necessità di “interventi di controllo sociale”) e da un’altra parte da retorica iper-liberalista, che rimanda alla libertà dell’ individuo, alla sostanziale innocuità sociale, agli effetti socializzanti della pratica del gioco d’azzardo. Frequenti sono gli atteggiamenti per espellere il “male”, illudersi di isolare “il malato/delinquente”, delegare all’autorità giudiziaria la risoluzione del problema attraverso l’amministratore di sostegno. Tutt’al più tali strade si limiteranno (forse!) a ridurre i comportamenti che depauperano le finanze familiari, ma nulla potrà il giudice rispetto ad una frequente escalation delinquenziale e autolesionistica assunta dal giocatore, per far cassa per poter giocare.
Nei criteri diagnostici. Si evidenziano due posizioni di fondo. Chi ritiene vi sia una categoria specifica di persone affette da gioco d’azzardo patologico e che come tale necessiti di un trattamento specialistico, chi ritiene invece che tale problema debba essere trattato non come sindrome specifica, ma considerando la persona nella sua globalità e, non isolandone alcuni tratti, facendone una categoria.
Negli stessi Servizi di cura. L’aderire ad una o all’altra posizione appena rappresentata fa scaturire una diversa organizzazione dei Servizi e degli interventi, che devono aggiornare il patrimonio culturale e organizzativo. La dipendenza dal gioco è ormai stata inserita dal Servizio Sanitario Nazionale tra i livelli essenziali di assistenza. Con 1 giocatore patologico ogni 75 persone, l’azzardo può essere considerato una vera e propria piaga sociale.
L’ambiguo/ambivalente per eccellenza: lo Stato. a) Sono circa 70 i milioni di giornate lavorative trascorse a inseguire la fortuna dagli italiani, circa 500 milioni di ore di lavoro. b) Così come esistono sostanze (farmaci e tabacco) legali e sostanze (droghe) illegali, esiste una forte attività di gioco d’azzardo promosso, incentivato e gestito dallo Stato e, parallelamente, uno illegale, gestito dalla criminalità, con il quale lo Stato attua di fatto una vera e propria “concorrenza”. d) Lo Stato ricava risorse ingenti dai giochi, circa 18 miliardi di euro netti ogni anno e il settore dà lavoro a 120.000 persone. e) Vi è la convinzione che la diffusione del gioco legale contribuirebbe a ridurre quello illegale. A fronte di questa concezione, la Consulta Nazionale Antiusura ritiene che ci sia una perfetta contiguità (e una “simpatica” concorrenza) tra il gioco legalizzato e quello gestito dalla criminalità. f) Nel decennio 2005-2014 la raccolta dei giochi di Stato è cresciuta del 191%, ma le entrate erariali soltanto del 30%; contestualmente sono lievitati esponenzialmente i costi economico-sociali e sanitari per la “piaga” cui contribuisce lo Stato stesso (che poi impegna i propri Servizi di cura). g) Più gli italiani giocano, meno lo Stato incassa, poiché si è passati dai giochi sui quali lo Stato incassava molto (Lotto, Superenalotto) ai giochi online dove l’erario incassa poco. La stessa Consulta indica che vi sono 23 miliardi lordi di guadagno nero per i gruppi criminali. A ciò si aggiungano l’usura, che l’associazione Libera stima nella misura di 20 miliardi di euro, nonché il lavaggio del danaro sporco collegato al gioco d’azzardo. Parliamo di un fenomeno che in Italia, nel solo 2016, ha raggiunto un giro d’affari record di 95 miliardi, cioè il 4,4 del Pil; di fatto poco meno di quanto gli italiani spendono per l’alimentazione. Un milione di persone è da considerare tra i giocatori patologici, che necessitano della presa in carico dai Servizi deputati: i Dipartimenti di Salute Mentale e i Servizi per le Dipendenze.
In definitiva, col suo rincorrere i guadagni della criminalità organizzata, lo Stato si sta impegnando a diventare da “semplice” biscazziere anche un Giocatore d’azzardo patologico. Interpretando quindi il chiaro messaggio dei due ineffabili soci in affari (Stato e Criminalità): “Signori… fate il Nostro gioco! Il dado (Aleo) è tratto, con le sue sporche ambivalenze”.

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