bastian contrario?
25 Febbraio 2010 Share

bastian contrario?

È molto difficile conservare l’indipendenza nell’esprimere delle opinioni quando queste cozzano con l’interesse del potente di turno, soprattutto quando è lui che paga gli opinionisti. Se questo è evidente per chi sa tenere gli occhi aperti ai nostri giorni, non è tuttavia una cosa nuova, perché in ogni tempo il potere ha avuto bisogno di propaganda (pensiamo all’uso che il nascente impero romano faceva dei letterati come Virgilio) e siccome in ogni tempo c’era gente che proprio perché pensava, non ci stava a sottomettersi, partivano rappresaglie di diverso tipo, dal boicottaggio fino all’aperta persecuzione. La Scrittura direbbe: “Niente di nuovo sotto il sole” (Qo 1,9). E proprio la bibbia è ricca di personaggi di questo tipo, sia di servi della propaganda del regime, sia di oppositori dalle diverse fortune. Entrambi hanno il titolo di profeta, in quanto le loro idee sono ricondotte alla pretesa di avere un rapporto privilegiato con Dio (oggi diremmo: con la ragione, cioè con la capacità di vedere chiaramente le tendenze, i contesti, le connessioni), eppure dalla loro pretesa escono fuori pensieri contrapposti: da un lato i critici del re e dei suoi accoliti, dall’altro i difensori del politico di turno. C’è una bella definizione di questi opinionisti allineati, che ogni tanto mi piace ricordare, come monito per il nostro stare nella società: “Profeti che fanno traviare il mio popolo, che annunziano pace se hanno qualcosa tra i denti da mordere, ma a chi non mette loro niente in bocca dichiarano guerra” (Mi 3,5).

Cos’è che fa entrare nel club dei servi del potere: forse la cecità o la stupidità? Molto più prosaicamente, il denaro, la voglia di avere una vita comoda e un posto al sole. I potenti lo sanno bene e cercano di usare la ricchezza per anestetizzare l’intelligenza e asservirla ai propri scopi, mentre la massa degli ignoranti si controllano da soli non pensando e vivendo per inerzia. Fortunatamente non sempre il pensiero è commerciabile ed è quanto ci testimonia anche la bibbia presentando, accanto a schiere di cosiddetti “profeti” funzionali al potere, alcune figure che invece mantengono la loro autonomia, spesso rischiando la vita o almeno l’allontanamento e l’emarginazione. È quanto accade a un certo profeta Michea (che non è da confondere con l’autore del libro da cui abbiamo tratto la citazione), di cui ci è narrato in 1 Re 22, in cui si racconta della preparazione di una guerra contro gli aramei, scontro che vede alleati il re di Giuda e il re di Israele, ai tempi del profeta Elia. Quando si partiva in guerra era considerato necessario non solo equipaggiare l’esercito ma anche, e ancora di più, consultare la divinità, per avere il suo permesso e la sua benedizione. Tale consulto avveniva attraverso uomini di culto, tra i quali si annoveravano anche i profeti, pagati dal re come d’altronde i sacerdoti che compivano i riti necessari (anche in questo Qoelet sembra avere ragione). Oggi, nelle nostre società “laiche”, sarebbero consultati forse la confindustria e i generali in pensione.

Il re di Giuda, Giosafat, molto religioso, chiede ad Acab, re di Israele, di consultare i suoi profeti e la Scrittura sottolinea ironicamente che addirittura Acab ne ha a disposizione quattrocento (1 Re 22,5-6) ben pagati, perché sappiano dare responsi favorevoli al sovrano. Purtroppo Giosafat non è ancora convinto e chiede se ci siano altri profeti da poter consultare. Sentiamo la risposta di Acab: “Ci sarebbe ancora un uomo attraverso il quale si potrebbe consultare il Signore, ma io lo detesto perché non mi predice altro che male, mai qualcosa di buono. Si tratta di Michea, figlio di Imla” (22,8). È da notare che il re non l’ha convocato con gli altri e lo ha invece, come si direbbe oggi, censurato. Pur non uccidendolo (cosa che la moglie Gezabele stava per fare ad Elia, l’altro profeta non allineato), lo ha messo a tacere semplicemente non consultandolo. Ma perché il profeta gli diceva male? Semplicemente per fare il “bastian contrario”? Basta conoscere la storia di questo re che ha usato il suo potere non per guidare il popolo nell’osservanza della legge (oggi diremmo: nella legalità) ma per i propri scopi personali, arrivando a far uccidere (non lui direttamente, ma tramite altri) un uomo, Nabot, semplicemente perché il re voleva la sua vigna (1 Re 21). Un profeta attento all’ascolto di Dio e della sua parola non poteva non dire male di un re che calpestava continuamente la giustizia e il diritto! L’insistenza di Giosafat (almeno un politico retto c’era, a quei tempi!) permette che Michea possa parlare, affermando l’esatto opposto dei profeti prezzolati e dicendo chiaramente al re che essi stanno mentendo per compiacerlo. L’effetto che produce la sua schiettezza è la reazione violenta degli altri profeti e la prigione. Le parole di Michea però, che sconsigliavano la guerra, si realizzano e il re Acab muore in battaglia.

Varrebbe la pena leggere tutto il racconto, scritto con molta ironia, ma da questi pochi cenni possiamo comunque trarre un insegnamento: cosa faceva sì che Michea mantenesse in modo testardo la sua opposizione al re, pur essendo impari nella forza? Non la mancanza di furbizia ma il suo vivere alla presenza di Dio: “Io ho visto il Signore seduto sul trono; tutto l’esercito del cielo gli stava intorno, a destra e a sinistra” (22,19). Nella descrizione che Michea dà di Dio sta il segreto del suo coraggio: è come se affermasse di non riconoscere altri al di sopra di lui che Dio stesso e la sua parola, poiché Dio è un re molto più potente di Acab, in quanto governa tutto l’universo. Il parametro per il suo giudizio non è dato dalla miglior offerta in denaro, ma dalla sua coscienza che, mettendosi in rapporto con il Dio d’Israele e la sua giustizia, ha la capacità di relativizzare ogni potere umano, valutato in base alla realizzazione o meno del bene di tutti. Questa strada è ovviamente tutt’altro che comoda, perché porta alla persecuzione e alla marginalizzazione, destino comune dei profeti veri; l’impegno di queste persone a tenere desta la coscienza di un popolo ha permesso tuttavia ad esso di sopravvivere alle crisi causate soprattutto da governanti inetti che avevano Dio (o la giustizia) sulle labbra ma lo tradivano nella prassi. Sebbene siano stati perseguitati, quei profeti sono stati ricordati quando hanno avuto ragione dalla storia e sono stati un faro, anche dopo la loro morte, per il popolo che ha sentito sempre di più la forza della loro parola, fino a diventare carne nel profeta di Nazaret. È con Gesù che la storia giunge al culmine, non nell’assenza di ingiustizia da parte dei potenti, ma nella certezza che la fedeltà al Regno di Dio e alla sua giustizia ha realmente, anche al di là della morte, l’ultima parola.☺

mike.tartaglia@virgilio.it

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