bocciatura globale
30 Giugno 2010 Share

bocciatura globale

 

Il libro di Daniele contiene una serie di racconti, apparentemente strani, che sono in realtà delle parabole che invitano a riflettere sul rapporto con il potere, soprattutto da parte di chi deve scegliere tra il pagare di persona l’essere controcorrente per fedeltà a degli ideali, oppure cedere alle lusinghe di un sistema che usa tutti gli strumenti per eliminare ogni tipo di opposizione. Le vicende sono ambientate ai tempi dell’esilio, ma in realtà parlano di un altro periodo, quello della dominazione greca, durante la quale gli ebrei non sono stati esiliati, come al tempo di Babilonia, ma hanno subito il fascino di nuovi stili di vita in contrasto con la propria fede: un esilio non fisico ma mentale. Questa forma di alienazione era resa possibile grazie a una classe dirigente compiacente, la quale, pur mantenendo formalmente le strutture tradizionali, come il culto e la Legge, ne avevano svuotato il significato. Cedere allo stile di vita mondano era come aver perso di nuovo il Tempio e i suoi arredi e, man mano che la situazione peggiorava, la religione era sempre più sfruttata per acquisire posizioni di potere. Finché la religione stessa non sembrò un orpello inutile da sostituire con nuovi culti, nuove liturgie e nuove divinità, più vicine alla mentalità dominante.

È questo il senso di ciò che si racconta in Daniele 5, dove si parla di un figlio di Nabucodonosor, il re babilonese che aveva distrutto Gerusalemme ed esiliato il popolo, che durante un banchetto fece portare i vasi sacri che il padre aveva portato via dal Tempio, per usarli come coppe per il vino. Se il padre aveva messo da parte gli oggetti di culto, lui ne ha stravolto l’uso e il significato. Fuor di metafora, troviamo qui la parabola di un potere che usa ciò che è sacro (non solo la religione, ma anche i princìpi che sono alla base della convivenza civile) per realizzare i propri interessi particolari, rendendo tutto merce da consumare.

La genialità del libro di Daniele sta nell’universalizzare la riflessione sul potere: in ogni tempo, infatti, c’è qualche istituzione e dei valori che vengono o resi innocui, attraverso la rimozione, oppure vengono usati per altri fini. Basti pensare alla rimonta in chiave leghista dell’iden- tità cristiana, una volta neutralizzata nelle paludi nebbiose democristiane, oppure all’uso del parlamento, che una volta faceva leggi ignorate ed oggi fa leggi palesemente truffaldine, da parte di gruppi economici consociativi dal malcelato odore di mafia. Di fronte ai soprusi e all’ingiustizia perpetrati dai potenti il profeta invoca il giudizio divino che nel racconto suddetto si esprime attraverso la comparsa di scritte misteriose su un muro, che nessuno riesce a leggere tranne Daniele, che ne dà, quindi, il significato. Le tre misteriose parole indicano un esame svolto da Dio, un giudizio senza appello nei confronti di chi usa le cose sacre per realizzare i propri scopi egoistici. Se ai babilonesi subentrano i persiani, contro i greci di Antioco IV e i suoi gregari tra l’élite di Gerusalemme, contro cui scrive l’anonimo autore di Daniele, si solleverà la rivolta di un popolo ormai stanco dei soprusi e nauseato dalle parole vuote che nascondono la frode; ciò avverrà con la rivolta dei Maccabei.

C’è una costante nella storia umana per la quale i sistemi di potere, quanto più sono corrotti, tanto più rischiano di suscitare una reazione dagli esiti imprevedibili. La comparsa delle scritte sul muro del re babilonese è una sorta di affissione di scrutini già avvenuti, ma di cui ancora non si rende conto chi sguazza nell’orgia del potere, troppo preso com’è a gestire quanto è rimasto di un regime ormai al tramonto. Anche oggi ci sono tentativi di spiegare i fenomeni che accadono, come le crisi economiche, l’attacco ai cappellani di corte che hanno propinato una religione di compiacente asservimento a coloro che hanno concesso privilegi pretendendo il silenzio sulle ingiustizie commesse, le previsioni sulle prossime potenze egemoni sulla scena mondiale, ma tutto ciò sembra essere simile a quei sapienti della corte babilonese che non sapevano decifrare il messaggio.

Forse tra le tante voci del mercato della comunicazione c’è anche qualche Daniele che ha saputo decifrare i segni e comprendere la direzione che abbiamo ormai preso irrimediabilmente, ma è difficile ascoltarlo, perché anche noi, probabilmente, non siamo interessati a sapere come va a finire, se è vero che, ad esempio, molti appartenenti alle nuove generazioni, che dovrebbero più di tutti essere indignati e forse anche incazzati per quello che sta succedendo, si perdono dietro ai miraggi dello star system e sono più interessati a chi viene escluso dalla casa del “Grande Fratello” e dei suoi simili, anziché rendersi conto che da tempo ormai sono stati cacciati fuori dalle opportunità future. Più che incapacità di leggere i segni del tracollo, forse oggi c’è incapacità o mancanza di volontà di ascoltare la decodificazione dell’esito dell’esame, per la paura di una bocciatura globale.☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

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