Mi capita tra le mani un foglio stampato che qualcuno mi ha dato da leggere una ventina di anni fa. È firmato yod, la lettera più piccola dell’alfabeto ebraico. Non ricordo chi sia l’autore, certamente un maschio, suppongo un prete (maschi e per di più preti, hanno pudore dei loro sentimenti, anche di quelli filiali perciò si nascondono dietro pseudonimi). È una lettera che trabocca di gratitudine, come il glicine da un muretto a primavera e io ve la propongo prima che passi maggio, mese di madonne, di fiori e di mamme.
Cara mamma, la tua vita si è svolta nel nascondimento. Tutto quello che ti si chiedeva era di dare la pappa al tuo bambino perché al resto avrebbero provveduto i signori uomini. Era un ruolo ingiusto, ma tu sapevi che il seme sepolto sotto la terra e ignorato da tutti avrebbe dato una pianta rigogliosa e robusta, capace di resistere a qualsiasi intemperie. Senza accorgersene ti avevano riservato un compito meraviglioso: la formazione di uomini nuovi che avrebbero dovuto rivoluzionare il mondo. Quante notti insonni hai trascorso! Con quanta premura mi assistevi! Cullandomi sognavi per me un futuro diverso.
In una società stanca di essere viva e che fa di tutto per far regnare la morte, tu mi hai comunicato la gioia di vivere e di essere protagonista della mia vita. Ci sono stati momenti di tensione tra noi: non sempre riuscivi a capire le mie scelte, ma le rispettavi perché non desideravi impormi i tuoi gusti; cercavi solamente di scoprire la mia strada. Volevo seguire la mia coscienza e per tanti ero solo un disubbidiente. Aspiravo a costruirmi una personalità, ma il mio anticonformismo era giudicato sfacciataggine. La mia ricerca faticosa di Dio appariva come ateismo.
Dentro di te risuonavano giudizi duri che avevi dovuto ascoltare. Tu eri certa che un mondo nuovo non si costruisce senza cadute, senza dubbi, senza errori, perciò non mi ostacolavi. Niente mi parlava e mi aiutava più del tuo silenzio rispettoso del mio comportamento. Il silenzio fu una delle tue grandi virtù. Come Maria nel vangelo, conservavi tutto nel tuo cuore (Lc. 2,51).
Da te ho imparato che la persona umana deve essere portatrice di vita e deve lottare per la pace: la tua funzione materna ti lega di per sé a una logica di vita. Per questo continuo a battermi, perché non si costruiscano più ordigni di morte, perché si smetta l’esasperata corsa agli armamenti atomici, perché l’uomo non sia più vittima dell’uomo, perché non si ripeta più la storia di Caino e Abele.
“ I miei genitori – scriveva un ragazzo adottato – non sono solo coloro che mi hanno dato la vita, ma anche coloro che amandomi mi hanno insegnato ad amare”. Tu mi hai dato l’una e l’altro.
Grazie mamma.
Yod
Mi capita tra le mani un foglio stampato che qualcuno mi ha dato da leggere una ventina di anni fa. È firmato yod, la lettera più piccola dell’alfabeto ebraico. Non ricordo chi sia l’autore, certamente un maschio, suppongo un prete (maschi e per di più preti, hanno pudore dei loro sentimenti, anche di quelli filiali perciò si nascondono dietro pseudonimi). È una lettera che trabocca di gratitudine, come il glicine da un muretto a primavera e io ve la propongo prima che passi maggio, mese di madonne, di fiori e di mamme.
Cara mamma, la tua vita si è svolta nel nascondimento. Tutto quello che ti si chiedeva era di dare la pappa al tuo bambino perché al resto avrebbero provveduto i signori uomini. Era un ruolo ingiusto, ma tu sapevi che il seme sepolto sotto la terra e ignorato da tutti avrebbe dato una pianta rigogliosa e robusta, capace di resistere a qualsiasi intemperie. Senza accorgersene ti avevano riservato un compito meraviglioso: la formazione di uomini nuovi che avrebbero dovuto rivoluzionare il mondo. Quante notti insonni hai trascorso! Con quanta premura mi assistevi! Cullandomi sognavi per me un futuro diverso.
In una società stanca di essere viva e che fa di tutto per far regnare la morte, tu mi hai comunicato la gioia di vivere e di essere protagonista della mia vita. Ci sono stati momenti di tensione tra noi: non sempre riuscivi a capire le mie scelte, ma le rispettavi perché non desideravi impormi i tuoi gusti; cercavi solamente di scoprire la mia strada. Volevo seguire la mia coscienza e per tanti ero solo un disubbidiente. Aspiravo a costruirmi una personalità, ma il mio anticonformismo era giudicato sfacciataggine. La mia ricerca faticosa di Dio appariva come ateismo.
Dentro di te risuonavano giudizi duri che avevi dovuto ascoltare. Tu eri certa che un mondo nuovo non si costruisce senza cadute, senza dubbi, senza errori, perciò non mi ostacolavi. Niente mi parlava e mi aiutava più del tuo silenzio rispettoso del mio comportamento. Il silenzio fu una delle tue grandi virtù. Come Maria nel vangelo, conservavi tutto nel tuo cuore (Lc. 2,51).
Da te ho imparato che la persona umana deve essere portatrice di vita e deve lottare per la pace: la tua funzione materna ti lega di per sé a una logica di vita. Per questo continuo a battermi, perché non si costruiscano più ordigni di morte, perché si smetta l’esasperata corsa agli armamenti atomici, perché l’uomo non sia più vittima dell’uomo, perché non si ripeta più la storia di Caino e Abele.
“ I miei genitori – scriveva un ragazzo adottato – non sono solo coloro che mi hanno dato la vita, ma anche coloro che amandomi mi hanno insegnato ad amare”. Tu mi hai dato l’una e l’altro.
Mi capita tra le mani un foglio stampato che qualcuno mi ha dato da leggere una ventina di anni fa. È firmato yod, la lettera più piccola dell’alfabeto ebraico. Non ricordo chi sia l’autore, certamente un maschio, suppongo un prete (maschi e per di più preti, hanno pudore dei loro sentimenti, anche di quelli filiali perciò si nascondono dietro pseudonimi). È una lettera che trabocca di gratitudine, come il glicine da un muretto a primavera e io ve la propongo prima che passi maggio, mese di madonne, di fiori e di mamme.
Cara mamma, la tua vita si è svolta nel nascondimento. Tutto quello che ti si chiedeva era di dare la pappa al tuo bambino perché al resto avrebbero provveduto i signori uomini. Era un ruolo ingiusto, ma tu sapevi che il seme sepolto sotto la terra e ignorato da tutti avrebbe dato una pianta rigogliosa e robusta, capace di resistere a qualsiasi intemperie. Senza accorgersene ti avevano riservato un compito meraviglioso: la formazione di uomini nuovi che avrebbero dovuto rivoluzionare il mondo. Quante notti insonni hai trascorso! Con quanta premura mi assistevi! Cullandomi sognavi per me un futuro diverso.
In una società stanca di essere viva e che fa di tutto per far regnare la morte, tu mi hai comunicato la gioia di vivere e di essere protagonista della mia vita. Ci sono stati momenti di tensione tra noi: non sempre riuscivi a capire le mie scelte, ma le rispettavi perché non desideravi impormi i tuoi gusti; cercavi solamente di scoprire la mia strada. Volevo seguire la mia coscienza e per tanti ero solo un disubbidiente. Aspiravo a costruirmi una personalità, ma il mio anticonformismo era giudicato sfacciataggine. La mia ricerca faticosa di Dio appariva come ateismo.
Dentro di te risuonavano giudizi duri che avevi dovuto ascoltare. Tu eri certa che un mondo nuovo non si costruisce senza cadute, senza dubbi, senza errori, perciò non mi ostacolavi. Niente mi parlava e mi aiutava più del tuo silenzio rispettoso del mio comportamento. Il silenzio fu una delle tue grandi virtù. Come Maria nel vangelo, conservavi tutto nel tuo cuore (Lc. 2,51).
Da te ho imparato che la persona umana deve essere portatrice di vita e deve lottare per la pace: la tua funzione materna ti lega di per sé a una logica di vita. Per questo continuo a battermi, perché non si costruiscano più ordigni di morte, perché si smetta l’esasperata corsa agli armamenti atomici, perché l’uomo non sia più vittima dell’uomo, perché non si ripeta più la storia di Caino e Abele.
“ I miei genitori – scriveva un ragazzo adottato – non sono solo coloro che mi hanno dato la vita, ma anche coloro che amandomi mi hanno insegnato ad amare”. Tu mi hai dato l’una e l’altro.
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