carresi: le origini
18 Aprile 2010 Share

carresi: le origini

 

Sul numero di maggio dello scorso anno di questa rivista ho fatto cenno alle cosiddette carresi che annualmente si svolgono in quattro centri dell’antica diocesi di Larino: Chieuti, San Martino in Pensilis, Ururi e Portocannone. Ho anche ricordato, in quell’occasione, che fino ai tempi dell’illustre Vescovo-Storico mons. Tria, Autore delle note Memorie della circoscrizione ecclesiastica frentana pubblicate a Roma nel 1744, la corsa dei carri trainati da buoi avveniva soltanto a San Martino in Pensilis ed a Larino.

Il motivo che mi ha spinto a tornare sull’argomento è dovuto allo “scoprimento”, sia pure tardivo (sono davvero rammaricato per non averlo notato prima), di un indizio che dimostra l’assenza della corsa ad Ururi ed a Portocannone, e di conseguenza anche a Chieuti, almeno fino all’anno 1879. Questa “nuova” traccia, quindi, aiuta non poco tutti coloro che si sono cimentati finora nel ricercare le origini delle carresi nei tre centri albanesi. L’elemento è contenuto nella Memoria sull’Organismo Agrario del Circondario di Larino redatta, nel dicembre del 1879, dall’aretino Vittorio Romanelli, giunto in Molise per svolgere l’incarico, ricevuto dall’Amministrazione finanziaria dello Stato, per la commutazione dei terraggi in natura in canoni in denaro. Romanelli, che fissa la sua stabile dimora in Larino, con la sua preziosa monografia, rimasta inedita fino al 1986, affronta le tematiche proposte dall’Inchiesta Agraria Iacini due anni prima (1877). Egli si occupa dettagliatamente della situazione socio-economica del Circondario di Larino “diviso in 34 Comuni, o meglio rispetto agli abitanti, in 34 Paesi, oltre a due meschini e piccoli villaggi, Petacciato l’uno, (allora frazione di) Guglionesi, l’altro Montemitro (sempre in quel tempo) addetto al Comune di S. Felice Slavo (oggi San Felice del Molise)”. Nel paragrafo “delle condizioni fisiche, morali, intellettuali ed economiche dei lavoratori della terra” contenuto in questa Memoria, Romanelli si sofferma anche “sulle consuetudini invernali e primaverili” della popolazione basso-molisana. Questi cittadini, scrive testualmente “nell’inverno rimangono oziosi senza occupazioni e quasi annoiati della loro indolenza per cui si rintanano nei loro infelici tuguri, senza darsi a nessuna distrazione o faccenda di casa; il gioco della scopa ed il vino è l’unica loro ricreazione […]; la mattina di buon’ora fanno la partita, giocandosi una piccola tazza di caffé il di cui costo è un soldo in tutti i paesi; si girovaga per le strade, per le piazze, per le cantine, aspettando generalmente che ritorni la primavera per darsi alle prime faccende di campagna, ed alle chiassose e molteplici feste che assorbono un tempo prezioso all’agricoltura nell’epoca ove è maggiormente reclamata la fatica del coltivatore […]. Vi sono i preludi della festa due o tre giorni innanzi della ricorrenza del Santo, due o tre giorni di festa ed altri successivi nei quali non si lavora per le impressioni baccanali lasciate nel loro animo”. Aggiunge, poi, un’attenta descrizione della corsa di San Martino in Pensilis e della sfilata dei carri di Larino. L’assenza, dall’elenco, delle carresi di Ururi e Portocannone, lascia intendere che quest’ultime, insieme a quella di Chieuti, rappresentano delle imitazioni della gara di San Martino in Pensilis (quella di Larino era stata abbandonata da tempo) introdotte in tempi successivi al 1879, anno in cui fu compilata la Memoria. A tal proposito Romanelli così si esprime: “Vi sono delle feste, ove si impiegano i bovi per la corsa: a S. Martino vi è questa barbara usanza ed ogni anno si fanno correre questi pacifici animali attaccati ad un carro per un tratto di sei o sette chilometri con immenso danno di medesimi e con grande perdita di tempo, poiché circa un mese avanti la festa che ricorre al due di maggio si cominciano ad addestrare alla corsa questi poveri animali. A Larino […] ai 26 di maggio si fa pure una festa chiassosa con i buoi, ma questi s’impiegano solo al tiro dei carri addobbati con gran pompa […]. Dove non s’impiegano animali vi sono più feste e nessuna di un solo giorno”.

Quindi, da questa interessante relazione si rileva che la corsa dei carri, almeno fino a tutto il 1879, veniva praticata solo a San Martino in Pensilis dove, con ogni probabilità, ebbe origine nel XII secolo in seguito al rinvenimento delle spoglie mortali del Patrono San Leo presso il monastero benedettino di San Felice, situato in una zona pianeggiante, non ancora ben identificata, della diocesi di Larino. Secondo la tradizione, le reliquie del Santo raggiunsero l’abitato di San Martino in Pensilis su di un carro in corsa trainato da buoi. “In memoria di questa traslazione – scrive mons. Tria – ogni anno sogliono que’ Popoli fare la corsa de’ Buoj con carri nella vigilia della sua Festa”.

Lo stesso  mons. Tria, a proposito della corsa che si svolgeva anche a Larino riferisce tra l’altro: “Similmente in memoria della traslazione di S. Pardo (avvenuta da Lucera a Larino nell’anno 842, anche in questo caso per mezzo di un carro tirato da bestiame bovino) que’ cittadini (di Larino) con pia emulazione nel giorno della sua vigilia (25 maggio) fanno la corsa di buoi con carri in figura del suo trasporto in essa Città”. La scomparsa della corsa larinese avvenne, probabilmente, verso la metà dell’Ottocento mentre continuò la sfilata dei carri del 26 maggio che risale a tempi remoti alla quale, nel 1872, si aggiunsero anche quelle del 25 e 27 dello stesso mese. ☺

 

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