Cassius clay
29 Aprile 2017
La Fonte (351 articles)
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Cassius clay

Lo sport è un mondo dove velocemente si passa da essere osannati a divenire reietti anche dagli amici, quasi che, comportarsi fuori dalle righe, possa essere contagioso come ammalarsi di peste. Sono poche le persone che sono riuscite a risollevarsi dopo essere state condannate dalla critica e dal pubblico. Un nome mi viene facile alla mente: Cassius Clay, meglio noto come Muhammad Ali, (dopo la sua conversione alla religione musulmana), nato a Louisville negli Stati Uniti il 17 gennaio del 1942 e considerato, anche dai suoi più accaniti critici, come il più forte pugile che abbia mai calcato il ring. Ha iniziato a soli dodici anni, quando, mentre era alla ricerca della bicicletta rubata, per un caso fortuito, entra in una palestra. Inizia a vincere fin da giovanissimo e la sua fama esplode in tutto il mondo quando, a solo 18 anni, vince la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma. Si ritrova però, quasi subito, nel suo paese d’origine, gli Stati Uniti d’America, a combattere con un avversario ben più temibile di chiunque potesse incontrare sul ring: la segregazione razziale. Molto sensibile al problema e trascinato dal suo spirito battagliero ed indomito, Alì prende subito a cuore le tematiche che stavano colpendo in prima persona i fratelli neri meno fortunati di lui.
Sempre coerente con il proprio ideale, il giovane pugile arriva a gettare il proprio oro olimpico nelle acque del fiume Ohio in segno di protesta verso un episodio a stampo razzista di cui è testimone. Solo nel 1996 ad Atlanta il CIO – Comitato Olimpico Internazionale – gli riconsegnò una medaglia sostitutiva.
Arriva al mondiale a ventidue anni battendo in sette riprese Sonny Liston. È in quel periodo che Cassius Clay comincia a farsi conoscere anche per le sue dichiarazioni provocatorie e sopra le righe che hanno l’inevitabile conseguenza di far parlare molto di lui. Ali, grazie al suo enorme carisma anche mediatico, ha una reale presa sul pubblico, il suo modo di essere, spavaldo fino ad arrivare alla spacconeria, è una notevole novità “spettacolare” per quei tempi, esercitando un fascino immediato sul pubblico.
Immediatamente dopo aver conquistato la corona, Cassius Clay annuncia di essersi convertito all’Islam e di aver assunto il nome di Muhammad Ali. Da quell’istante cominciano anche i suoi guai che culminano nella chiamata alle armi nel 1966, pur essendo stato riformato quattro anni prima. Affermando di essere un “ministro della religione islamica” si definisce “obiettore di coscienza” rifiutandosi di partire per il Vietnam (“Nessun Vietcong mi ha mai chiamato negro”, dichiarò alla stampa per giustificare la propria decisione) e viene condannato da una giuria composta di soli bianchi a cinque anni di reclusione. Questo è uno dei momenti più bui della vita del campione. Decide di ritirarsi ma viene attaccato comunque per il suo impegno nelle lotte condotte da Martin Luther King e Malcom X. Nel 1971 torna a combattere dopo essere stato assolto per una irregolarità nelle indagini svolte su di lui. Perde la sfida con Joe Frazier ai punti, ma riesce a tornare campione del mondo nel 1974 mettendo al tappeto George Foreman a Kinshasa, in un incontro definito storico e ad oggi ricordato sui manuali come uno dei più grandi eventi sportivi di sempre (celebrato fedelmente, dal film-documentario Quando eravamo re).
Il declino di Ali inizia nel 1978 quando il giovane Larry Holmes lo sconfigge per k.o. tecnico all’11a ripresa, disputa il suo ultimo incontro nel 1981 e da allora inizia a impegnarsi sempre più nella diffusione dell’Islam e nella ricerca della pace.
Colpito a neanche quaranta anni, dal terribile morbo di Parkinson, Muhammad Ali ha commosso l’opinione pubblica di tutto il mondo, che rimane turbata ma anche ammirata dal violento contrasto esistente fra le immagini esuberanti e piene di vita di un tempo e l’uomo sofferente e privato delle sue forze che si presentava ora al mondo. Alle Olimpiadi americane di Atlanta 1996, Muhammad Ali sorprese e allo stesso tempo commosse il mondo intero accendendo la fiamma olimpica che inaugurava i giochi: le immagini mostrarono ancora una volta gli evidenti segni dei tremori dovuti alla sua malattia. Il grande atleta, dotato di una forza di volontà e di un carattere d’acciaio, non soccombe moralmente alla malattia che lo accompagna per trent’anni e continua a combattere per le sue battaglie di pace, in difesa dei diritti civili, rimanendo sempre e comunque un simbolo per la popolazione di colore americana. Muhammad Ali si è spento il 3 giugno 2016 a Phoenix, all’età di 74 anni, dopo un ricovero in ospedale per un improvviso peggioramento delle sue condizioni.
Un uomo contemporaneamente amato dai suoi “fratelli neri” e avversato dai razzisti che purtroppo esistono ancora e, a periodi sempre più ravvicinati, si fanno sentire in tutte le latitudini e nazioni; un uomo che sempre si è esposto in prima persona per affermare le proprie opinioni, anche quando diventano scomode per se stesso, che ha sacrificato la sua carriera, quando ne era all’apice ed è sempre rimasto coerente con i propri ideali anche negli ultimi anni della sua vita; un uomo che è riuscito, cosa non semplice, a farsi amare e rispettare dai propri avversari.
“Un uomo che osserva il mondo a cinquanta anni allo stesso modo in cui l’ha fatto a venti, ha sprecato trenta anni della sua vita”. Questo aforisma, pronunciato da Muhammad Ali, rappresenta il suo testamento spirituale, il suo messaggio a chi, rimasto, voglia continuare lungo la strada da lui aperta.

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