chiesa: carisma e potere
16 Aprile 2010 Share

chiesa: carisma e potere

 

Quando, dal IV secolo, il cristianesimo divenne religione lecita ed in seguito religione unica dell’impero romano emerse un problema nodale, che  tutti abbiamo incontrato nei corsi di storia: la «lotta per le investiture».

Si può riassumere in modo semplice,  anche se riduttivo, in due domande: qual è l’autorità suprema con potere anche sulla chiesa? Da chi è rappresentata la chiesa? Il rapporto conflittuale tra “altare” e “trono” attraverserà il cristianesimo occidentale da Costantino a Francesco Giuseppe, ultimo imperatore d’Austria a porre il “diritto di veto” sulla elezione del Cardinale Rampolla, nel conclave del 1903 in cui, per superare il divieto, fu eletto, a sorpresa, il Card. Giuseppe Sarto, Pio X (1903 -1914). La ricerca della supremazia (papa o re) e della relativa potestà di nomina dei vescovi, generò una pericolosa commistione di ruoli per cui i re vollero assumere quello dei «pontefici» e i pontefici quello dei «re». In tale confronto, spesso conflittuale, la chiesa si autorappresentò solo come gerarchia clericale mentre i laici, appartenenti all’uno e all’altro regno, furono abbandonati a se stessi: ridotti dalle due autorità a semplici sudditi, concetto del tutto estraneo al primo cristianesimo.

Anche all’interno della gerarchia il vento del potere ebbe uguale influenza nefasta. La chiesa cattolica annovera 264 papi, ma anche 37 antipapa, segno drammatico delle contese. Queste toccheranno l’apice nelle controversie che generano la divisione dell’unica Chiesa “cattolica”. Quella d’oriente, facente capo a Costantinopoli, venne alla rottura (1054) proprio per la  supremazia, cancellando il vincolo di “obbedienza” a Roma senza manomettere la struttura interna della chiesa; quella d’occidente, facente capo a Roma, nella scissione del protestantesimo (XVI secolo) arrivò a modificare la struttura della chiesa. Le due riforme di Lutero e del Concilio di Trento si mossero in contrapposizione frontale: la  prima cancellò i “chierici” o “ministri ordinati” e recuperò il concetto esclusivo di popolo di Dio, fondato sulla fede e sul battesimo; l’altra rispose con una riforma verticistica incentrata sul ruolo, quasi totalizzante, della gerarchia. L’esito finale mostra i limiti delle due riduzioni polemiche. Il protestantesimo, chiesa paritaria di “laici”, sarà sottoposto ad un continuo processo di scissioni in nuove “confessioni”, il cattolicesimo monolitico sulla centralità della gerarchia (ancora oggi così identificato nel linguaggio comune) manterrà una solida unità al prezzo della paura per ogni novità e diversità,  riducendo a margini insignificanti il ruolo dei laici. Ancora oggi, per un chierico costretto a lasciare l’esercizio del ministero ordinato, si usa dire che viene “ridotto allo stato laicale”; nonostante la rinnovata teologia del popolo di Dio, la prassi giuridica continua a riconoscere stati “riduttivi”.

«Chiesa: carisma e potere» è il titolo di un famoso libro del 1981 del teologo L. Boff  che, sulla scia del concilio, proponeva un modello di chiesa solidale con gli ultimi, fondata sul vangelo e sulla rimodulazione di comunità, dette “comunità di base”, in cui i laici riprendevano un ruolo determinante e profetico contro le ingiustizie che opprimevano i poveri per una nuova fraternità cristiana. Tale teologia della liberazione generatrice delle comunità di base fu guardata con sospetto dalle gerarchie vaticane sebbene tali comunità fossero state riconosciute e rilanciate dal magistero di Paolo VI nella Evangelii nuntiandi.

La teologia ispirata dal Vaticano II, mentre si è riappropriata dei concetti fondamentali del primo cristianesimo, non ancora è riuscita a generare un volto storico di comunità rinnovata, profetica e adeguata al nuovo pensiero. La molte esperienze accadute non offrono la percezione sicura di un rinnovato cristianesimo emergente; forte rimane quella di uno moribondo.

Giova riascoltare un piccolo brano del Concilio, tratto dal capitolo II della Costituzione  Lumen gentium, (nn. 9-17) dal titolo “il popolo di Dio”:  «Cristo istituì questo nuovo patto, cioè la nuova alleanza nel suo sangue (cf. 1 Cor. 11, 25), chiamando gente dai giudei e dalle nazioni, perché si fondesse in unità non secondo la carne, ma nello Spirito, e costituisse il nuovo popolo di Dio. Infatti i credenti in Cristo, essendo stati rigenerati… per la parola di Dio vivo (cf. 1 Pt. 1, 23), non dalla carne ma dall'acqua e dallo Spirito santo (cf. Gv. 3, 5‑6), costituiscono infine "una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo tratto in salvo… quello che un tempo era non‑popolo, ora invece è il popolo di Dio" (1 Pt. 2, 9‑10).  Questo popolo messianico ha per capo Cristo… ha per condizione la dignità e la libertà di figli di Dio,… ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati (cf. Gv. 13, 34). E, finalmente, ha per fine il regno di Dio…Perciò il popolo messianico… apparendo talora come il piccolo gregge, costituisce per tutta l'umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo in una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui preso per essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cf. Mt. 5, 12‑16), è inviato a tutto il mondo.» ( n. 9).

Articolare oggi un’esperienza cristiana in cui ogni persona, generata per la fede e il battesimo alla dignità inaudita di figlio dell’unico Dio Padre, sia riconosciuta portatrice di doni dello Spirito Santo (karisma), offerti non per proprio vanto e tornaconto ma come chiamata (vocazione) ad un compito (ministero), gerarchico o laicale, messo a servizio (diakonia) dell’annuncio gioioso (kerigma) che Gesù, il Cristo, morto e risorto, è il Salvatore del mondo (evangelo)  e che in Lui il Padre ha dato inizio, qui e ora, ad un popolo riconciliato (Regno di Dio), convocato in comunità unite nell’amore (koinonia), capaci di fraternità concreta  nel nome di Gesù (ekklesia), mentre attendono fiduciose che tale progetto giunga a pienezza nella comunione gloriosa con Dio…

Articolare e vivere, oggi, una esperienza di tale portata, testimoniandone la bellezza e incarnandone la possibilità concreta, feriale e accessibile a chi se ne innamora, dirà la “nostra nobilitate” di cristiani e renderà credibile l’affermazione che la chiesa, ovunque dispersa, sia segno di speranza e di pace per l’umanità. Non saranno pochi “ministri” a realizzare un tale disegno, ma solo un popolo di credenti, un “popolo di Dio”. ☺

 

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