Il termine “clandestino”, nella sua connotazione escludente e di chiara matrice razzista, sembra coniato apposta per calzare addosso ad una persona adulta, più spesso di sesso maschile, di pelle scura, eccetera. A chi verrebbe in mente che il clandestino in questione possa essere un bambino dall’apparente età di 5-6 mesi?
La logica dell’attuale normativa per la regolamentazione dell’immi- grazione ha creato tanti clandestini nati, bambini che vengono al mondo con un “peccato originale”, con scarse possibilità di redenzione e pertanto destinati ad una vita d’inferno.
Porto di Tunisi “La Goulette”. È già notte quando i viaggiatori diretti in Italia ottengono il permesso ad entrare in banchina per i controlli e l’imbarco. Solita routine: tutti con i passaporti in mano per il controllo dei documenti da parte dell’autorità tunisina, poi la fila si sposta di poco e bisogna far controllare i bagagli alla dogana. In una macchina bianca, carica un po’ come tutte, una famigliola algerina si affanna affinché l’attesa possa pesare il meno possibile sull’innocente necessità di tranquillità di un fagottino avvolto in una coperta chiara ché la notte è fredda sul mare. Scendono spesso dalla vettura per brevi passeggiate, accenni di ninna nanna. Nel grigiore della corsia in cemento armato, dove i doganieri controllano i bagagli socializzando con i partenti, la madre scende dall’auto con il suo piccolo ed entra in una guardiola dove si sente meno l’aria fredda ed umida che sale dal mare, cullandolo fra le braccia, nonostante la stanchezza. Il padre si avvicina per rallegrare l’attesa con una variante del “Cucù – settè”, facendo capolino dietro il vetro, infatti, richiama l’attenzione con un garbato “Uha!”, il piccolo ride come fanno tutti i bambini, con l’aria di chi pensa: “I grandi sono scemi o pensano che siamo scemi noi?”. La scena va avanti per un po’ poi arriva l’agente della dogana che fa il suo lavoro e infine saluta il piccolo dicendogli: “Torna a trovarci!”
Finalmente sulla banchina per salire sulla motonave, ma i controlli non sono finiti, ora tocca agli italiani. Ancora fila, attesa, sguardi inquirenti, ancora documenti, domande, risposte. Nei pressi della macchina bianca si sente un militare in divisa bianca che dice: “C’è un problema, chiama il comandante”. Problema? Quei tre? Forse un “Uha!” è scappato troppo forte… Arriva il comandante, prende i documenti, controlla e comincia ad urlare: “Il bambino non può partire!”. Se ne deduce che i genitori potrebbero imbarcarsi se solo lasciassero il fagottino a terra. “Voi potete partire, il bambino non è in regola”. Dopo lunghi minuti di chiassose invettive da parte del comandante tutto il molo capisce quale era il reale problema, nessun terrorista, malavitoso o segni di febbre suina: il bambino, sebbene trascritto correttamente sul passaporto del padre, non era riportato sul suo permesso di soggiorno. Tecnicamente un clandestino. Un irregolare, per essere politicamente corretti, al quale dovrebbero essere attribuite tutte le connotazioni del caso, ma lui sgrana gli occhi e succhia il icciotto.
Infine si giunge al compromesso che possono salire sulla nave, a loro rischio, perché potrebbero avere problemi allo sbarco. Si sa che giungere in Italia da clandestini non è una bella cosa, l’accoglienza non è delle migliori.
La nave parte lasciandosi alle spalle La Goulette, il profumo di gelsomini ed i suoi enormi cartelli su cui si legge: “Grandi navi veloci, l’Italia vicina”. ☺
giuliadp@msn.com
Il termine “clandestino”, nella sua connotazione escludente e di chiara matrice razzista, sembra coniato apposta per calzare addosso ad una persona adulta, più spesso di sesso maschile, di pelle scura, eccetera. A chi verrebbe in mente che il clandestino in questione possa essere un bambino dall’apparente età di 5-6 mesi?
La logica dell’attuale normativa per la regolamentazione dell’immi- grazione ha creato tanti clandestini nati, bambini che vengono al mondo con un “peccato originale”, con scarse possibilità di redenzione e pertanto destinati ad una vita d’inferno.
Porto di Tunisi “La Goulette”. È già notte quando i viaggiatori diretti in Italia ottengono il permesso ad entrare in banchina per i controlli e l’imbarco. Solita routine: tutti con i passaporti in mano per il controllo dei documenti da parte dell’autorità tunisina, poi la fila si sposta di poco e bisogna far controllare i bagagli alla dogana. In una macchina bianca, carica un po’ come tutte, una famigliola algerina si affanna affinché l’attesa possa pesare il meno possibile sull’innocente necessità di tranquillità di un fagottino avvolto in una coperta chiara ché la notte è fredda sul mare. Scendono spesso dalla vettura per brevi passeggiate, accenni di ninna nanna. Nel grigiore della corsia in cemento armato, dove i doganieri controllano i bagagli socializzando con i partenti, la madre scende dall’auto con il suo piccolo ed entra in una guardiola dove si sente meno l’aria fredda ed umida che sale dal mare, cullandolo fra le braccia, nonostante la stanchezza. Il padre si avvicina per rallegrare l’attesa con una variante del “Cucù – settè”, facendo capolino dietro il vetro, infatti, richiama l’attenzione con un garbato “Uha!”, il piccolo ride come fanno tutti i bambini, con l’aria di chi pensa: “I grandi sono scemi o pensano che siamo scemi noi?”. La scena va avanti per un po’ poi arriva l’agente della dogana che fa il suo lavoro e infine saluta il piccolo dicendogli: “Torna a trovarci!”
Finalmente sulla banchina per salire sulla motonave, ma i controlli non sono finiti, ora tocca agli italiani. Ancora fila, attesa, sguardi inquirenti, ancora documenti, domande, risposte. Nei pressi della macchina bianca si sente un militare in divisa bianca che dice: “C’è un problema, chiama il comandante”. Problema? Quei tre? Forse un “Uha!” è scappato troppo forte… Arriva il comandante, prende i documenti, controlla e comincia ad urlare: “Il bambino non può partire!”. Se ne deduce che i genitori potrebbero imbarcarsi se solo lasciassero il fagottino a terra. “Voi potete partire, il bambino non è in regola”. Dopo lunghi minuti di chiassose invettive da parte del comandante tutto il molo capisce quale era il reale problema, nessun terrorista, malavitoso o segni di febbre suina: il bambino, sebbene trascritto correttamente sul passaporto del padre, non era riportato sul suo permesso di soggiorno. Tecnicamente un clandestino. Un irregolare, per essere politicamente corretti, al quale dovrebbero essere attribuite tutte le connotazioni del caso, ma lui sgrana gli occhi e succhia il icciotto.
Infine si giunge al compromesso che possono salire sulla nave, a loro rischio, perché potrebbero avere problemi allo sbarco. Si sa che giungere in Italia da clandestini non è una bella cosa, l’accoglienza non è delle migliori.
La nave parte lasciandosi alle spalle La Goulette, il profumo di gelsomini ed i suoi enormi cartelli su cui si legge: “Grandi navi veloci, l’Italia vicina”. ☺
Il termine “clandestino”, nella sua connotazione escludente e di chiara matrice razzista, sembra coniato apposta per calzare addosso ad una persona adulta, più spesso di sesso maschile, di pelle scura, eccetera. A chi verrebbe in mente che il clandestino in questione possa essere un bambino dall’apparente età di 5-6 mesi?
La logica dell’attuale normativa per la regolamentazione dell’immi- grazione ha creato tanti clandestini nati, bambini che vengono al mondo con un “peccato originale”, con scarse possibilità di redenzione e pertanto destinati ad una vita d’inferno.
Porto di Tunisi “La Goulette”. È già notte quando i viaggiatori diretti in Italia ottengono il permesso ad entrare in banchina per i controlli e l’imbarco. Solita routine: tutti con i passaporti in mano per il controllo dei documenti da parte dell’autorità tunisina, poi la fila si sposta di poco e bisogna far controllare i bagagli alla dogana. In una macchina bianca, carica un po’ come tutte, una famigliola algerina si affanna affinché l’attesa possa pesare il meno possibile sull’innocente necessità di tranquillità di un fagottino avvolto in una coperta chiara ché la notte è fredda sul mare. Scendono spesso dalla vettura per brevi passeggiate, accenni di ninna nanna. Nel grigiore della corsia in cemento armato, dove i doganieri controllano i bagagli socializzando con i partenti, la madre scende dall’auto con il suo piccolo ed entra in una guardiola dove si sente meno l’aria fredda ed umida che sale dal mare, cullandolo fra le braccia, nonostante la stanchezza. Il padre si avvicina per rallegrare l’attesa con una variante del “Cucù – settè”, facendo capolino dietro il vetro, infatti, richiama l’attenzione con un garbato “Uha!”, il piccolo ride come fanno tutti i bambini, con l’aria di chi pensa: “I grandi sono scemi o pensano che siamo scemi noi?”. La scena va avanti per un po’ poi arriva l’agente della dogana che fa il suo lavoro e infine saluta il piccolo dicendogli: “Torna a trovarci!”
Finalmente sulla banchina per salire sulla motonave, ma i controlli non sono finiti, ora tocca agli italiani. Ancora fila, attesa, sguardi inquirenti, ancora documenti, domande, risposte. Nei pressi della macchina bianca si sente un militare in divisa bianca che dice: “C’è un problema, chiama il comandante”. Problema? Quei tre? Forse un “Uha!” è scappato troppo forte… Arriva il comandante, prende i documenti, controlla e comincia ad urlare: “Il bambino non può partire!”. Se ne deduce che i genitori potrebbero imbarcarsi se solo lasciassero il fagottino a terra. “Voi potete partire, il bambino non è in regola”. Dopo lunghi minuti di chiassose invettive da parte del comandante tutto il molo capisce quale era il reale problema, nessun terrorista, malavitoso o segni di febbre suina: il bambino, sebbene trascritto correttamente sul passaporto del padre, non era riportato sul suo permesso di soggiorno. Tecnicamente un clandestino. Un irregolare, per essere politicamente corretti, al quale dovrebbero essere attribuite tutte le connotazioni del caso, ma lui sgrana gli occhi e succhia il icciotto.
Infine si giunge al compromesso che possono salire sulla nave, a loro rischio, perché potrebbero avere problemi allo sbarco. Si sa che giungere in Italia da clandestini non è una bella cosa, l’accoglienza non è delle migliori.
La nave parte lasciandosi alle spalle La Goulette, il profumo di gelsomini ed i suoi enormi cartelli su cui si legge: “Grandi navi veloci, l’Italia vicina”. ☺
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