Contro questa scuola
Sul vuoto azzoliniano, sulla sciatteria, la confusione, l’approssimazione che hanno tristemente accompagnato i mesi che abbiamo alle spalle (in cui si sarebbe dovuto lavorare febbrilmente, con competenza, con lungimiranza, con tanta concretezza, con profonda conoscenza della scuola, e con l’ansia buona, sana, insopprimibile di riportare i nostri ragazzi sui banchi in sicurezza per garantire loro uno dei diritti umani più sacrosanti, quello all’istruzione), preferiamo in questa sede addirittura tacere, poiché quel che è, anzi che non riesce proprio ad essere, è sotto gli occhi di tutti. La realtà è che ci prepariamo a rientrare a scuola nella totale disorganizzazione e anche con tanta sana paura delle centinaia di asintomatici che, diciamocelo chiaramente, gireranno indisturbati nelle aule, a contatto con compagni, colleghi e genitori.
Ma il punto, se permettete, è un altro. Quest’estate è emerso un vuoto ancora più spaventoso e inquietante di quello azzoliniano. Un vuoto che lo stesso Covid ha rivelato, dando forse la più amara sferzata alle nostre coscienze addormentate: il vuoto interiore di tanti, di troppi dei nostri giovani. Che assorbe, riflette e perpetua il vuoto di valori incolmabile della nostra società, di cui sono sfortunati figli ed eredi.
Sono rimasti, penso, negli occhi e nelle orecchie di tutti le tristi interviste sui bagnasciuga o fra le luci della movida italiana: ragazzi del tutto inconsapevoli del pericolo che corrono e che fanno correre agli altri, prigionieri di un’ignoranza colpevole e rischiosa, che li rende incapaci di comprendere il mondo circostante e di porgere il proprio prezioso contributo; ragazzi sfrontati, arroganti, indifferenti, proiettati solo nel piccolo mondo di un divertimento senza regole, infastiditi da questa storia del Covid che tanto non c’è e che è solo un pretesto per limitare il loro sacrosanto diritto al ballo, allo sballo, al far l’alba come caspita gli pare. Basterebbe una di queste interviste da spiaggia per farci tremare i polsi di fronte all’enorme responsabilità che abbiamo nell’aver cresciuto questa gioventù che, tra non molto, si presenterà alle elezioni, metterà al mondo dei figli, ricoprirà incarichi di tutti i tipi. È colpa nostra.
Ma, prima di scomodare i pur veri ma troppo comodi discorsi sulla crisi della famiglia e bla bla, io – forse da operaia del settore – preferisco puntare il dito contro la nostra scuola, che è l’unica a poter turare le falle di una famiglia che non funziona. Già, la scuola. Proprio quella che, a causa di questa estate scellerata e del pericoloso rialzo dei contagi, che in ogni modo si sarebbe dovuto evitare – forse non riaprirà. O, ancor peggio, riaprirà tra paure, precarietà, sospetti, ansie, caos totale.
È colpa nostra. La nostra scuola è tutta da rifare. Così come gli insegnanti. I banchi azzoliniani con le rotelle, che si trasformano in piccoli skateboard scatenati, più che suggerirmi il sorriso, mi danno l’immagine triste di quello che siamo: piccole zattere confuse alla deriva, senza un progetto impegnativo, comune, di costruzione di una cittadinanza consapevole nei nostri giovani.
Se un senso la scuola ha, è solo questo. La formazione di giovani capaci di comprendere la realtà che li circonda, di arricchirla con il proprio contributo, l’entusiasmo appassionato di salvarla, di rovesciarla, di amarla. Mancano, al nostro povero paese, giovani che amino la realtà, la società, che la sentano un bene comune, una casa di tutti, da far bella, pulita, profumata, funzionale, accogliente.
Il Covid – sarò troppo severa? – pur nelle dovute eccezioni, ci ha rivelato un irresponsabile atteggiamento di massa che, forte delle maglie larghe di un governo inetto, ha messo il divertimento davanti alla tutela della salute, lo sballo davanti alla possibilità di tornare a costruire il proprio futuro, la discoteca e l’aperitivo davanti alla scuola. Dobbiamo lavorarci, lavorarci assai. Il Covid doveva insegnarci la tutela del bene comune e voleva predicarci che ne saremmo usciti tutti migliori: cerchiamo di uscirne, anzitutto. E, mentre contiamo i nuovi contagi, cerchiamo almeno di far tesoro di questa impietosa lezione.
La scuola va ripensata, va cambiata. Lo diciamo da decenni, adesso lo dobbiamo gridare, lo dobbiamo fare. La formazione va messa nelle mani di persone competenti, selezionatissime, aggiornate, motivate. E una fetta troppo grande del nostro personale scolastico non lo è, perché ci si improvvisa insegnanti troppo spesso, per troppi motivi, nel consenso generale, silenzioso, complice.
La formazione va indirizzata alla maturazione di una cittadinanza consapevole, di valori alti, di un senso del bene comune che è, attualmente, sconosciuto, deriso, scacciato via come una mosca fastidiosa. E questo è scandaloso.
Il Covid ha ucciso, può uccidere ancora. Ma può anche generare slancio, cambiamento, novità. I troppi danni e ritardi accumulati non diventino alibi per restare immobili: rimaniamo in piedi, critici, propositivi, saggiamente impietosi, per prenderci cura dell’altro, per migliorare, per cambiare. Si può.☺
