Costruire muri e barriere non paga
9 Gennaio 2022
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Costruire muri e barriere non paga

L’incremento dei flussi migratori irregolari lungo i confini comunitari orientali, specie negli ultimi tempi, ha rafforzato la paura dei migranti. La crisi afgana, l’arrivo (temuto o reale) di profughi e la “crisi migratoria lituana”, politicamente gestita dal governo bielorusso, hanno spinto Stati dell’UE (Austria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia e Ungheria) a chiedere ufficialmente alla Commissione Europea di finanziare la costruzione di muri e barriere fisiche anti-immigrazione lungo i confini esterni dell’Ue. La Commissione ha negato ciò, anche se la Commissaria agli interni, ribadendo la contrarietà, non ha escluso il diritto dei Paesi membri di costruire muri e barriere a proprie spese a difesa dei propri confini. È una dichiarazione pilatesca in cui è chiara la debolezza della politica migratoria dell’UE, documentata anche dall’esternalizzazione, via via sempre più crescente, dei controlli delle frontiere a Paesi di transito quali Turchia e Libia. I risultati pratici sono insignificanti mentre i costi diplomatici e umani sono pesantissimi da imputarsi alla mancata politica unitaria di controllo delle frontiere e di asilo comune. E ciò a fronte del budget di Frontex (agenzia europea di controllo delle frontiere esterne) lievitato da 6 milioni di euro del 2006 a 543 milioni del 2021 e a 5,6 miliardi di euro per il 2020-2029. Erigere muri ostacola una politica migratoria comune. Rendere tratti di confine comunitario inaccessibili ai migranti non incide in modo forte sull’andamento dei flussi migratori. Non si nega che il controllo dei flussi sia un obiettivo da perseguire. Si nega che la costruzione di muri sia la scelta migliore. Si segnala che un numero elevato di migranti sono profughi e, quindi, titolari secondo le norme internazionali ed europee di un diritto soggettivo alla protezione internazionale.

Ricerche mostrano che la militarizzazione della frontiera tra Usa e Messico, specie in presenza di poliziotti in alcune zone di confine, abbia spostato i flussi migratori verso altri punti di ingresso. L’attenzione di tali ricerche non è stata solo sul big beautiful wall trumpiano, finanziariamente a carico del governo messicano e mai concluso, ma anche sulle 650 miglia (oltre mille chilometri) di muri e barriere esistenti (un terzo dell’intero confine), le 460 miglia, gran parte a rafforzamento di quelli esistenti, e le 85 miglia costruite in località prive di protezione. 550 miglia di tali barriere sono state costruite con il Secure Fence Act (2006). Le ricerche documentano come i muri, spingendo i migranti irregolari a scegliere rotte di ingresso e destinazioni diverse all’interno degli Usa, abbiano inciso marginalmente sugli ingressi totali e che, quindi, la ‘politica dei muri e fili spinati’ sia decisamente costosa e redistribuisca gli immigrati irregolari tra i vari Stati americani, favorendone alcuni e svantaggiandone altri.

Tali sembrano essere anche gli effetti della politica migratoria europea: progressivo spostamento dei flussi migratori verso ovest man mano che la rotta mediterranea orientale prima e, poi, quella mediterranea centrale siano diventate sempre meno percorribili. Studi mostrano come anche in Europa l’intensificarsi dei controlli su una rotta riduca gli ingressi lungo la stessa incidendo, però, marginalmente sui flussi migratori verso l’Europa. Pattugliare una rotta redistribuisce i migranti su altre rotte. La deviazione prevale sulla deterrenza. Costruire muri (circa mille chilometri) non frena i flussi migratori; riesce solo a sviarli mettendo a repentaglio il diritto alla protezione internazionale. Forse, invece di costruire muri o porre fili spinati sarebbe utile creare canali migratori legali, sia per le migrazioni economiche che per quelle umanitarie. Cooperazione sembra essere la scelta vincente se si vuole non avere più paura degli immigrati.☺

 

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