Covidioti
26 Dicembre 2020
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Covidioti

In un piccolo borgo di un luogo imprecisato ci sono due bar. La scorsa settimana alcuni residenti sono risultati positivi al tampone e da allora si vede meno gente del solito in giro la sera. È lunedì e il sindaco ha appena comunicato alla cittadinanza che in caso di nuove infezioni verrà disposta la chiusura di scuole ed esercizi commerciali, tra cui i due bar, a partire dalla giornata di venerdì. Soppesando rischi e benefici, presenti e futuri, i due baristi concordano sul fatto che sarebbe sensato incominciare da subito a chiudere anticipatamente la sera. Gli incassi ultimamente sono modesti e non giustificano i rischi a cui espongono se stessi ed i clienti restando aperti fino a tardi. C’è da scongiurare la chiusura totale che, se imposta, sarebbe un pugno nello stomaco per entrambi. Anticipare la chiusura serale per tornare prima possibile alla normalità mi sta bene, pensa il barista, a condizione che anche l’altro anticipi la chiusura, perché se io chiudo prima mentre lui continua a fare l’orario normale perdo anche quei pochi clienti affezionati a vantaggio della concorrenza e intanto il virus continua a circolare. Il barista si rende conto di essere prigioniero di un dilemma (che per una curiosa inversione sintattica è conosciuto proprio come il “dilemma del prigioniero”): se gli convenga cioè anteporre al tornaconto personale ed immediato i benefici attesi e, si spera, duraturi a vantaggio dell’intera comunità a cui egli stesso appartiene. Di solito questo dilemma, ammesso e non concesso che almeno uno dei due protagonisti della nostra storia se lo sia posto, non dura neanche il tempo di scoprire come si comporterà il rivale che ha già prevalso in entrambi la paura di essere fregati e la conseguente decisione di rimanere aperti, con buona pace dell’interesse collettivo. Non è difficile immaginare il finale: all’esplosione di nuovi casi seguiranno le dolorose ma inevitabili chiusure fino a data da destinarsi.

Guardando oltre l’inadeguatezza di un modello così semplice al cospetto della complessità del comportamento umano, si ha tuttavia l’impressione che la pandemia, tra le altre cose, stia facendo da spartiacque tra due categorie di persone: tra chi antepone sempre e comunque l’io al noi e chi durante questa emergenza fa fatica a vedere l’io distinto dal noi. Non è facile capire perché nei nostri piccoli comuni, dove tutti si conoscono e dove la popolazione continua inesorabilmente ad invecchiare ed, invecchiando, a diminuire, ci sia ancora qualcuno per il quale quel dilemma non sembra esistere. Può l’egocentrismo di alcuni essere così smisurato da diventare cieco perfino al rischio, piuttosto alto in una piccola comunità, di perdere la faccia a seguito di azioni e comportamenti sconsiderati che mettono a repentaglio la salute pubblica come, ad esempio, violare  la quarantena fiduciaria domiciliare per andarsene tranquillamente in giro come se nulla fosse successo? Evidentemente può. Ci sarebbe poi, incidentalmente, da considerare la minaccia che il virus rappresenta per la sopravvivenza stessa di migliaia di borghi dalla storia millenaria, popolati ormai principalmente da anziani e dunque particolarmente esposti al suo (del virus) dirompente istinto di sopravvivenza, ma forse sarebbe davvero chiedere troppo.

Nel 1985 nelle sue Lezioni americane Italo Calvino scriveva: “…a cavallo del nostro secchio, ci affacceremo al nuovo millennio, senza sperare di trovarvi nulla di più di quello che saremo capaci di portarvi”. Quando finalmente riusciremo a metterci questa pandemia alle spalle cosa saremo stati capaci di portarci dietro per goderne ancora e per consegnarlo a chi verrà dopo di noi? Cosa ci sarà in quel secchio? Da cittadino larinese mi chiedo, ad esempio, cosa ne sarà di quel polmone verde a noi caro conosciuto come Vallone della Terra? Saremo in grado di preservarlo dall’incuria, dal degrado e dall’ indifferenza, di difenderlo dall’abuso edilizio, dai lanci furtivi di rifiuti nelle scarpate, dall’ abbandono di materiali di risulta sul ciglio della vecchia provinciale che lo costeggia, dal taglio indiscriminato di piante secolari? Anche questo, come la salute, è un bene comune soggetto alla stessa “tragedia” esemplificata dal dilemma che affligge i due baristi ma che, ciononostante, vale la pena difendere.

È di questi giorni la notizia che uno dei più noti dizionari della lingua italiana, il Devoto-Oli, nella nuova edizione del 2021 è stato arricchito di circa 600 neologismi tra cui compaiono i termini di importazione nati sotto la pandemia come “contact tracing” e “lockdown”. Ne avrei suggerito un altro, anche se magari si fa ancora in tempo per la prossima edizione, “covidiota”: persona che non può permettersi di cambiare le proprie abitudini costi quel che costi, compreso perdere la faccia.☺

 

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