Debito e povertà
9 Maggio 2023
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Debito e povertà

In molte città d’Italia i poveri aumentano, oltre la metà delle persone aiutate dalla Caritas sono volti nuovi. A preoccupare è la richiesta di chi ha un lavoro, segno che è necessario aumentare i salari, e di quelli che usciranno dal reddito di cittadinanza senza avere una prospettiva. La povertà aumenta e preoccupa  la crescita della povertà di chi cade fuori dai percorsi che le istituzioni hanno messo in atto in questi anni. Persone che perdono quelle protezioni e si fragilizzano ulteriormente. Un esempio? “Chi ha diritto al reddito di cittadinanza verrà tagliato fuori con questo nuovo criterio di occupabilità non ancora ben definito”. E ancora. Agli sportelli della Caritas si presentano sempre più persone che un lavoro ce l’hanno. È un lavoro povero, che non remunera a sufficienza. La questione delle politiche dello sviluppo del territorio è seria: vanno risistemate, riviste e ricalibrate sulla situazione attuale. In coincidenza con l’aumento della povertà aumenta anche il debito pubblico. Rispetto al dato dello stesso mese dello scorso anno il debito pubblico è cresciuto raggiungendo il livello di 2.772.

Guardando ai sottosettori, il debito delle amministrazioni centrali è aumentato di 21,6 miliardi, mentre quello delle amministrazioni locali e quello degli enti di previdenza è rimasto pressoché invariato. Alla fine del mese di febbraio la quota del debito detenuta da Banca d’Italia era pari al 26,2% (invariata rispetto al mese precedente), mentre quella detenuta da non residenti era pari a gennaio (ultimo mese per cui questo dato è disponibile) al 26,5%. Infine, la vita media residua del debito è rimasta stabile rispetto a gennaio, a 7,7 anni. Si ricorda che il governo di Giorgia Meloni prevede di aumentare il debito di circa 8 miliardi di euro, per quest’anno e il prossimo, per finanziare misure di sostegno incentrate sul taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori dipendenti. Queste misure sono state ridimensionate proprio alla luce di questi dati, tanto che il debito pubblico italiano, in proporzione il più alto della zona euro dopo quello della Grecia, è previsto nel DEF elaborato dal Governo Meloni al 142,1% del PIL quest’anno, e dovrebbe scendere al 141,4% nel 2024, al 140,9% nel 2025 e al 140,4% nel 2026.

I rischi dell’Italia sono evidenti anche con il PNRR per un debito pubblico troppo alto. Le agenzie di rating hanno messo in guardia l’Italia da  ulteriori ritardi o revisioni degli obiettivi di stabilità con l’Unione nell’ambito del PNRR, che potrebbero avere ripercussioni sulle prospettive di crescita e sulla sostenibilità del debito. Si ricorda che circa un mese fa la Commissione Europea ha congelato una tranche di fondi da 19 miliardi, chiedendo al Governo chiarimenti sui lavori in corso per centrare gli obiettivi da cui dipende l’erogazione del denaro. L’Italia è anche in ritardo nell’utilizzo di 67 miliardi già ricevuti da Bruxelles.

L’aumento del debito non è una buona notizia per tre ragioni. La prima è che è un nuovo record storico. La seconda è che è un incremento di 15,5 miliardi, che vanno ad indebitare ulteriormente un Paese già sovraindebitato. La terza è che, quando il debito aumenta in termini assoluti, significa che esso vada finanziato in qualche modo. Nel nostro caso emettiamo  titoli di Stato lì dove gli introiti fiscali non bastano. Oggi non li emettiamo più a un costo irrisorio vicino allo zero, ma ad un costo intorno al 4% (rendimento del decennale italiano, n.d.r.). Questo significa che il debito ci costa molto di più. Questo costo è già rilevabile, confrontando ad esempio la spesa per interessi del 2021, oltre 63 miliardi di euro, con quella del 2022, circa 83 miliardi di euro: un aumento di 20 miliardi in una voce di spesa pura, cioè non impiegata in investimenti di utilità nazionale (ad esempio per infrastrutture, sistema scolastico, sanitario, etc). Costa di più in termini di interessi, soprattutto considerando che il 4% peserà per almeno dieci anni.  È stato stimato che da questo livello di 2.772 miliardi si dovrebbe gradualmente salire sino a giugno su valori che stimiamo tra 2.801 e 2.830 miliardi. Il fatto che l’inflazione alleggerisca il costo del debito pubblico è sopravvalutato di questi tempi: con un’inflazione non transitoria e su livelli persistentemente attorno al 10%, l’unico effetto concreto è che viene eroso prepotentemente il potere d’acquisto delle persone, come una patrimoniale occulta che rischia di portarci in recessione.

L’azione per la pace e la lotta alla povertà sono sorelle. Farci carico delle situazioni di miseria e combatterle è possibile: cambiando le regole del gioco economico; introducendo un nuovo ordine economico; aprendo gli occhi ad una nuova realtà, quella di una economia di pace.☺

 

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