Le situazioni legate al mondo del lavoro, si sa, sono situazioni di stretta e vigorosa attualità. Sia per chi il lavoro non riesce a trovarlo (e ci si riferisce ad una ampia fetta della popolazione in età “attiva”) sia per chi il lavoro è riuscito ad averlo e vorrebbe tenerselo ben stretto.
All'interno del mondo del lavoro, una prassi che certamente non è sconosciuta quasi a nessuno (che abbia un minimo di onestà, non solo intellettuale) è quella delle cosiddette dimissioni in bianco. Si tratta di fenomeno assai diffuso nell'uso aziendale e che consiste nell'imporre al lavoratore, contestualmente all'assunzione, la sottoscrizione di una lettera di dimissioni pre-compilata o, più spesso, di un foglio in bianco ove poi sarà – a tempo debito – aggiunto il testo delle dimissioni, ciò al fine di sbarazzarsi di un lavoratore per qualsiasi motivo, anche futile, senza affrontare i rischi ed i “fastidi” di un licenziamento. Sono migliaia i lavoratori che, annualmente, ricorrono all'assistenza sindacale e legale per recessi così congegnati.
Come si può dedurre è una prassi abusiva i cui effetti negativi non si sostanziano solo nella perdita del posto di lavoro (forse l'effetto più vistoso), ma anche nella soggezione da parte del dipendente – durante tutto il rapporto – alla volontà del datore, che “ricatterà”, di fatto, il sottoscrittore delle dimissioni.
Avere un lavoro, quindi, da diritto, si trasforma in un incubo, comprimendo altre libertà, quali quella di pensiero, opinione, parola, sindacale ecc., tutte garantite costituzionalmente ma compresse, se non limitate, da questa odiosa pratica, perché su esse grava la spada di Damocle dell'interruzione del rapporto di lavoro.
Che dire, poi, della maternità, della costituzione di una famiglia (di fatto o meno, ma nucleo essenziale che tutti i leader, almeno a chiacchiere, amano difendere, specie chi ne ha più d'una), tutte situazioni che andranno a collidere con il disperato tentativo di mantenere almeno un lavoro per puntare alla sopravvivenza.
Il Parlamento, con la maggioranza di centro-sinistra, ha cercato di porre rimedio a questa situazione, intervenendo con la legge 188/07, pubblicata l'8/11/07 sulla Gazzetta Ufficiale. Tale legge ha introdotto una serie di strumenti che puntano a rendere più “ufficiale”, più controllato, il ricorso alle dimissioni. Strumenti che da un lato potrebbero essere utili, ma dall'altro potrebbero creare una “presunzione di genuinità” della volontà dimissionaria, con la conseguenza che potrebbe, paradossalmente, essere più difficile per il lavoratore dimostrare che le sue dimissioni non erano, in realtà, spontanee.
Quello che stabilisce la nuova normativa è che, escluso il caso di recesso dal rapporto per giusta causa, le dimissioni dovranno essere rassegnate – a pena di nullità – su appositi moduli predisposti, senza spese, dalle Direzioni Provinciali del Lavoro, dagli Uffici Comunali o dai Centri per l'Impiego. Dovranno attenersi alle nuove procedure i lavoratori subordinati (anche se soci di cooperativa), indipendentemente dalle caratteristiche e dalla durata del contratto, i collaboratori a progetto, i
collaboratori occasionali, gli associati in partecipazione (ex art. 2549 c.c.) che forniscano prestazioni lavorative e i cui redditi siano qualificati come redditi di lavoro autonomo, in pratica tutti i dipendenti, anche se mascherati sotto altre formule contrattuali.
I moduli saranno contrassegnati da un codice alfanumerico di identificazione, conterranno la data di emissione e spazi da compilare (da parte di chi firmerà) destinati alla identificazione del lavoratore, del datore, della tipologia di contratto da cui si intende recedere, della data della sua stipulazione ed ogni altro elemento “utile”. I moduli avranno una validità ristretta (15 giorni) in modo che non potranno giacere in un cassetto come una arma impropria contro il dipendente. Si potranno anche scaricare da Internet, previa registrazione univoca, in modo da avere la certezza di identificare il richiedente e di avere certezza sulla data del rilascio.
Come accennato vi sono alcuni problemi. Al di là delle incomprensibili e puerili scuse di alcuni esponenti del centro-destra (il partito azienda e quello degli evasori del nord est su tutti), che hanno parlato di fenomeno marginale (come anche è la mafia per i mafiosi…) e tacciando questa legge di essere mossa da motivazioni ideologiche (come se questo fosse un reato), e tacendo anche di una posizione francamente poco chiara come quella dei “moderati” di centro, che riconoscono esistere il problema ma ritengono sufficiente continuare ad ingolfare i Tribunali per risolverlo, si deve comunque riconoscere che l'onere probatorio di quei lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni in maniera non spontanea, a causa di pressioni da parte della controparte datoriale, si faccia più grave. Ad esempio nel caso di dimissioni prestate sotto la minaccia di un licenziamento o in caso di costrizione e violenza morale nei confronti del dipendente. In questi casi un giudice ben difficilmente si convincerebbe della non genuinità delle dimissioni, che in pratica diventano un atto pubblico, per cui gli elementi, precisi e concordanti, che finora erano bastati per considerarle nulle, potrebbero non essere sufficienti. Fatta molta attenzione al momento temporale in cui si rassegnano le dimissioni, il legislatore ha trascurato l'introduzione di un meccanismo che certifichi la bontà delle stesse. Se le dimissioni si troveranno su moduli rilasciati da enti che, almeno in teoria, dovrebbero essere garanti della genuinità delle scelte dei lavoratori, sarà difficile convincere un magistrato delle forzature sottostanti a quell'atto, formalmente inattacabile.
Le dimissioni, quindi, non conformi alla nuova normativa (fogli in bianco et similia) non produrranno più alcun effetto. Per i datori i problemi potrebbero sorgere nel caso in cui il lavoratore dovesse ripensarci, restando i primi esposti ad una azione di accertamento della prosecuzione del rapporto. Questo indurrà le imprese più accorte a non accettare dimissioni irrituali e a contestare l'assenza al lavoratore. I lavoratori meno avveduti si esporranno, di conseguenza, al rischio di presentare dimissioni non conformi al tipo normativo e quindi inefficaci. L'assenza del dimissionario, quindi, potrà essere qualificata come assenza ingiustificata legittimando, di conseguenza, il datore, rispettando ovviamente le previsioni di legge e contrattuali, al licenziamento per assenza ingiustificata.
È comunque, la Legge 188/07, un primo e convinto passo in una direzione che punti a abolire comportamenti da “furboni” e che dovrebbe, con i necessari aggiustamenti, portare ad una maggiore stabilizzazione dei rapporti di lavoro, permettendo al lavoratore di essere un uomo (o donna) e un cittadino in grado di poter esercitare con maggiore pienezza i suoi diritti. ☺
marx73@virgilio.it
Le situazioni legate al mondo del lavoro, si sa, sono situazioni di stretta e vigorosa attualità. Sia per chi il lavoro non riesce a trovarlo (e ci si riferisce ad una ampia fetta della popolazione in età “attiva”) sia per chi il lavoro è riuscito ad averlo e vorrebbe tenerselo ben stretto.
All'interno del mondo del lavoro, una prassi che certamente non è sconosciuta quasi a nessuno (che abbia un minimo di onestà, non solo intellettuale) è quella delle cosiddette dimissioni in bianco. Si tratta di fenomeno assai diffuso nell'uso aziendale e che consiste nell'imporre al lavoratore, contestualmente all'assunzione, la sottoscrizione di una lettera di dimissioni pre-compilata o, più spesso, di un foglio in bianco ove poi sarà – a tempo debito – aggiunto il testo delle dimissioni, ciò al fine di sbarazzarsi di un lavoratore per qualsiasi motivo, anche futile, senza affrontare i rischi ed i “fastidi” di un licenziamento. Sono migliaia i lavoratori che, annualmente, ricorrono all'assistenza sindacale e legale per recessi così congegnati.
Come si può dedurre è una prassi abusiva i cui effetti negativi non si sostanziano solo nella perdita del posto di lavoro (forse l'effetto più vistoso), ma anche nella soggezione da parte del dipendente – durante tutto il rapporto – alla volontà del datore, che “ricatterà”, di fatto, il sottoscrittore delle dimissioni.
Avere un lavoro, quindi, da diritto, si trasforma in un incubo, comprimendo altre libertà, quali quella di pensiero, opinione, parola, sindacale ecc., tutte garantite costituzionalmente ma compresse, se non limitate, da questa odiosa pratica, perché su esse grava la spada di Damocle dell'interruzione del rapporto di lavoro.
Che dire, poi, della maternità, della costituzione di una famiglia (di fatto o meno, ma nucleo essenziale che tutti i leader, almeno a chiacchiere, amano difendere, specie chi ne ha più d'una), tutte situazioni che andranno a collidere con il disperato tentativo di mantenere almeno un lavoro per puntare alla sopravvivenza.
Il Parlamento, con la maggioranza di centro-sinistra, ha cercato di porre rimedio a questa situazione, intervenendo con la legge 188/07, pubblicata l'8/11/07 sulla Gazzetta Ufficiale. Tale legge ha introdotto una serie di strumenti che puntano a rendere più “ufficiale”, più controllato, il ricorso alle dimissioni. Strumenti che da un lato potrebbero essere utili, ma dall'altro potrebbero creare una “presunzione di genuinità” della volontà dimissionaria, con la conseguenza che potrebbe, paradossalmente, essere più difficile per il lavoratore dimostrare che le sue dimissioni non erano, in realtà, spontanee.
Quello che stabilisce la nuova normativa è che, escluso il caso di recesso dal rapporto per giusta causa, le dimissioni dovranno essere rassegnate – a pena di nullità – su appositi moduli predisposti, senza spese, dalle Direzioni Provinciali del Lavoro, dagli Uffici Comunali o dai Centri per l'Impiego. Dovranno attenersi alle nuove procedure i lavoratori subordinati (anche se soci di cooperativa), indipendentemente dalle caratteristiche e dalla durata del contratto, i collaboratori a progetto, i
collaboratori occasionali, gli associati in partecipazione (ex art. 2549 c.c.) che forniscano prestazioni lavorative e i cui redditi siano qualificati come redditi di lavoro autonomo, in pratica tutti i dipendenti, anche se mascherati sotto altre formule contrattuali.
I moduli saranno contrassegnati da un codice alfanumerico di identificazione, conterranno la data di emissione e spazi da compilare (da parte di chi firmerà) destinati alla identificazione del lavoratore, del datore, della tipologia di contratto da cui si intende recedere, della data della sua stipulazione ed ogni altro elemento “utile”. I moduli avranno una validità ristretta (15 giorni) in modo che non potranno giacere in un cassetto come una arma impropria contro il dipendente. Si potranno anche scaricare da Internet, previa registrazione univoca, in modo da avere la certezza di identificare il richiedente e di avere certezza sulla data del rilascio.
Come accennato vi sono alcuni problemi. Al di là delle incomprensibili e puerili scuse di alcuni esponenti del centro-destra (il partito azienda e quello degli evasori del nord est su tutti), che hanno parlato di fenomeno marginale (come anche è la mafia per i mafiosi…) e tacciando questa legge di essere mossa da motivazioni ideologiche (come se questo fosse un reato), e tacendo anche di una posizione francamente poco chiara come quella dei “moderati” di centro, che riconoscono esistere il problema ma ritengono sufficiente continuare ad ingolfare i Tribunali per risolverlo, si deve comunque riconoscere che l'onere probatorio di quei lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni in maniera non spontanea, a causa di pressioni da parte della controparte datoriale, si faccia più grave. Ad esempio nel caso di dimissioni prestate sotto la minaccia di un licenziamento o in caso di costrizione e violenza morale nei confronti del dipendente. In questi casi un giudice ben difficilmente si convincerebbe della non genuinità delle dimissioni, che in pratica diventano un atto pubblico, per cui gli elementi, precisi e concordanti, che finora erano bastati per considerarle nulle, potrebbero non essere sufficienti. Fatta molta attenzione al momento temporale in cui si rassegnano le dimissioni, il legislatore ha trascurato l'introduzione di un meccanismo che certifichi la bontà delle stesse. Se le dimissioni si troveranno su moduli rilasciati da enti che, almeno in teoria, dovrebbero essere garanti della genuinità delle scelte dei lavoratori, sarà difficile convincere un magistrato delle forzature sottostanti a quell'atto, formalmente inattacabile.
Le dimissioni, quindi, non conformi alla nuova normativa (fogli in bianco et similia) non produrranno più alcun effetto. Per i datori i problemi potrebbero sorgere nel caso in cui il lavoratore dovesse ripensarci, restando i primi esposti ad una azione di accertamento della prosecuzione del rapporto. Questo indurrà le imprese più accorte a non accettare dimissioni irrituali e a contestare l'assenza al lavoratore. I lavoratori meno avveduti si esporranno, di conseguenza, al rischio di presentare dimissioni non conformi al tipo normativo e quindi inefficaci. L'assenza del dimissionario, quindi, potrà essere qualificata come assenza ingiustificata legittimando, di conseguenza, il datore, rispettando ovviamente le previsioni di legge e contrattuali, al licenziamento per assenza ingiustificata.
È comunque, la Legge 188/07, un primo e convinto passo in una direzione che punti a abolire comportamenti da “furboni” e che dovrebbe, con i necessari aggiustamenti, portare ad una maggiore stabilizzazione dei rapporti di lavoro, permettendo al lavoratore di essere un uomo (o donna) e un cittadino in grado di poter esercitare con maggiore pienezza i suoi diritti. ☺
Le situazioni legate al mondo del lavoro, si sa, sono situazioni di stretta e vigorosa attualità. Sia per chi il lavoro non riesce a trovarlo (e ci si riferisce ad una ampia fetta della popolazione in età “attiva”) sia per chi il lavoro è riuscito ad averlo e vorrebbe tenerselo ben stretto.
All'interno del mondo del lavoro, una prassi che certamente non è sconosciuta quasi a nessuno (che abbia un minimo di onestà, non solo intellettuale) è quella delle cosiddette dimissioni in bianco. Si tratta di fenomeno assai diffuso nell'uso aziendale e che consiste nell'imporre al lavoratore, contestualmente all'assunzione, la sottoscrizione di una lettera di dimissioni pre-compilata o, più spesso, di un foglio in bianco ove poi sarà – a tempo debito – aggiunto il testo delle dimissioni, ciò al fine di sbarazzarsi di un lavoratore per qualsiasi motivo, anche futile, senza affrontare i rischi ed i “fastidi” di un licenziamento. Sono migliaia i lavoratori che, annualmente, ricorrono all'assistenza sindacale e legale per recessi così congegnati.
Come si può dedurre è una prassi abusiva i cui effetti negativi non si sostanziano solo nella perdita del posto di lavoro (forse l'effetto più vistoso), ma anche nella soggezione da parte del dipendente – durante tutto il rapporto – alla volontà del datore, che “ricatterà”, di fatto, il sottoscrittore delle dimissioni.
Avere un lavoro, quindi, da diritto, si trasforma in un incubo, comprimendo altre libertà, quali quella di pensiero, opinione, parola, sindacale ecc., tutte garantite costituzionalmente ma compresse, se non limitate, da questa odiosa pratica, perché su esse grava la spada di Damocle dell'interruzione del rapporto di lavoro.
Che dire, poi, della maternità, della costituzione di una famiglia (di fatto o meno, ma nucleo essenziale che tutti i leader, almeno a chiacchiere, amano difendere, specie chi ne ha più d'una), tutte situazioni che andranno a collidere con il disperato tentativo di mantenere almeno un lavoro per puntare alla sopravvivenza.
Il Parlamento, con la maggioranza di centro-sinistra, ha cercato di porre rimedio a questa situazione, intervenendo con la legge 188/07, pubblicata l'8/11/07 sulla Gazzetta Ufficiale. Tale legge ha introdotto una serie di strumenti che puntano a rendere più “ufficiale”, più controllato, il ricorso alle dimissioni. Strumenti che da un lato potrebbero essere utili, ma dall'altro potrebbero creare una “presunzione di genuinità” della volontà dimissionaria, con la conseguenza che potrebbe, paradossalmente, essere più difficile per il lavoratore dimostrare che le sue dimissioni non erano, in realtà, spontanee.
Quello che stabilisce la nuova normativa è che, escluso il caso di recesso dal rapporto per giusta causa, le dimissioni dovranno essere rassegnate – a pena di nullità – su appositi moduli predisposti, senza spese, dalle Direzioni Provinciali del Lavoro, dagli Uffici Comunali o dai Centri per l'Impiego. Dovranno attenersi alle nuove procedure i lavoratori subordinati (anche se soci di cooperativa), indipendentemente dalle caratteristiche e dalla durata del contratto, i collaboratori a progetto, i
collaboratori occasionali, gli associati in partecipazione (ex art. 2549 c.c.) che forniscano prestazioni lavorative e i cui redditi siano qualificati come redditi di lavoro autonomo, in pratica tutti i dipendenti, anche se mascherati sotto altre formule contrattuali.
I moduli saranno contrassegnati da un codice alfanumerico di identificazione, conterranno la data di emissione e spazi da compilare (da parte di chi firmerà) destinati alla identificazione del lavoratore, del datore, della tipologia di contratto da cui si intende recedere, della data della sua stipulazione ed ogni altro elemento “utile”. I moduli avranno una validità ristretta (15 giorni) in modo che non potranno giacere in un cassetto come una arma impropria contro il dipendente. Si potranno anche scaricare da Internet, previa registrazione univoca, in modo da avere la certezza di identificare il richiedente e di avere certezza sulla data del rilascio.
Come accennato vi sono alcuni problemi. Al di là delle incomprensibili e puerili scuse di alcuni esponenti del centro-destra (il partito azienda e quello degli evasori del nord est su tutti), che hanno parlato di fenomeno marginale (come anche è la mafia per i mafiosi…) e tacciando questa legge di essere mossa da motivazioni ideologiche (come se questo fosse un reato), e tacendo anche di una posizione francamente poco chiara come quella dei “moderati” di centro, che riconoscono esistere il problema ma ritengono sufficiente continuare ad ingolfare i Tribunali per risolverlo, si deve comunque riconoscere che l'onere probatorio di quei lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni in maniera non spontanea, a causa di pressioni da parte della controparte datoriale, si faccia più grave. Ad esempio nel caso di dimissioni prestate sotto la minaccia di un licenziamento o in caso di costrizione e violenza morale nei confronti del dipendente. In questi casi un giudice ben difficilmente si convincerebbe della non genuinità delle dimissioni, che in pratica diventano un atto pubblico, per cui gli elementi, precisi e concordanti, che finora erano bastati per considerarle nulle, potrebbero non essere sufficienti. Fatta molta attenzione al momento temporale in cui si rassegnano le dimissioni, il legislatore ha trascurato l'introduzione di un meccanismo che certifichi la bontà delle stesse. Se le dimissioni si troveranno su moduli rilasciati da enti che, almeno in teoria, dovrebbero essere garanti della genuinità delle scelte dei lavoratori, sarà difficile convincere un magistrato delle forzature sottostanti a quell'atto, formalmente inattacabile.
Le dimissioni, quindi, non conformi alla nuova normativa (fogli in bianco et similia) non produrranno più alcun effetto. Per i datori i problemi potrebbero sorgere nel caso in cui il lavoratore dovesse ripensarci, restando i primi esposti ad una azione di accertamento della prosecuzione del rapporto. Questo indurrà le imprese più accorte a non accettare dimissioni irrituali e a contestare l'assenza al lavoratore. I lavoratori meno avveduti si esporranno, di conseguenza, al rischio di presentare dimissioni non conformi al tipo normativo e quindi inefficaci. L'assenza del dimissionario, quindi, potrà essere qualificata come assenza ingiustificata legittimando, di conseguenza, il datore, rispettando ovviamente le previsioni di legge e contrattuali, al licenziamento per assenza ingiustificata.
È comunque, la Legge 188/07, un primo e convinto passo in una direzione che punti a abolire comportamenti da “furboni” e che dovrebbe, con i necessari aggiustamenti, portare ad una maggiore stabilizzazione dei rapporti di lavoro, permettendo al lavoratore di essere un uomo (o donna) e un cittadino in grado di poter esercitare con maggiore pienezza i suoi diritti. ☺
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