il teatro che non finge
1 Marzo 2010 Share

il teatro che non finge

 

Un fiore non sboccia mai dal nulla. Anche quello che si direbbe un semplice schiudersi di petali, è, in realtà, il frutto di determinate e complesse condizioni che si incontrano e permettono ad una creatura di esistere, ovvero di sfoggiare la bellezza del proprio esserci.

E noi, il 12 di agosto siamo in un angolo della terra che separa Petacciato da Montenero, siamo lì ad abitare il nostro solito domicilio che, però, oggi ha un’aria diversa: oggi la nostra collina prende voce.

Sono le 18,00. Il sole è ancora abbastanza vivo e splende impetuoso sulle lunghe file di sedie poste ordinatamente sul retro della casa. Anche il sole sembra incuriosito, ma speriamo in un quieto congedo, visto che dovrà essere proprio lui a condurre il gioco di luci sullo scenario. Intanto eleganti signore, vestite a lutto, percorrono l’interno della casa che oggi funge da “quinta” per lo spettacolo, danno l’ultima carezza estetica ai propri volti e si traghettano nello spazio meditativo che precede il tuffo nella scena: sono le attrici che reciteranno nella prima parte dello spettacolo, quella che ruota attorno alla morte di un ragazzo coinvolto in un letale giro di droga e che precede una seconda in cui entreremo in scena noi.

Ore 18,30. Strimpellii di chitarra, prove vocali, oggetti e costumi scenici, aroma di dolci, odore di erba tagliata, essenza di festa riempiono la nostra attesa.

Ore 19,00. L’ora X sta arrivando, lo dice la posizione del sole che si avvia a nascondersi dietro la Maiella in lontananza e lo risalta la stradina sterrata che porta alla nostra casa, sulla quale cominciano ad affilarsi un’auto dietro l’altra, dato che anche l’ampio parcheggio si è ormai riempito. Gli sguardi del gruppo, adesso, si fanno più indecifrabili perché la trepidazione deriva dalla paura ma anche dalla voglia di entrare in scena.

Ore 19,30. Il bocciolo si schiude e la scena si riempie di noi stessi. Avremmo potuto trascorrere gli ultimi minuti a ripassare il copione, ma Daniela ci ha ripetuto che dobbiamo essere noi stessi. Quindi non c’è copione in cui si possa sbirciare il proprio io, ma bisogna fare appello alla propria natura e lasciare che tutto scorra.

Ore 20,30. Un lungo scroscio di applausi scandisce la fine dell’esibizione.

Mentre lentamente lo stato adrenalinico scema, lasciando una beata sensazione di spossatezza, comincia a farsi chiara nella nostra mente l’idea che oggi sulla collinetta della Fattoria Il Noce sia avvenuto molto più che un semplice spettacolo. Quello che abbiamo inscenato, infatti, è lo spettacolo della nostra vita all’interno della comunità, tra regole e orari da rispettare, attività lavorative, riunioni terapeutiche, il tutto evidenziando con ironia le peculiarità del singolo individuo che si mostra come egli è. Dal punto di vista teatrale l’idea partorita da Massimo De Vita e Daniela Airoldi Bianchi del Teatro Officina di Milano, è stata quella di contrapporre una prima parte luttuosa ad una seconda in cui, invece si celebrasse la vita. E così, grazie a loro e agli altri che con loro e noi hanno pazientemente lavorato a questo progetto (Domenico, Lina, Gabriella e Isabella), siamo stati condotti alla ricerca dei più spontanei dei nostri atteggiamenti e di loro è stato fatto uno spettacolo. Ognuno di noi si è trovato a gestire le proprie insicurezze e paure, a superare le proprie barriere caratteriali, mettendosi al centro di molte attenzioni e superando una grande prova con se stessi. Al contempo questa esperienza ha stimolato la coesione all’in- terno del gruppo in cui ognuno si è sentito un remo di una stessa barca.

Un fiore non cambia l’e- quilibrio biodinamico della terra, ma niente dopo la sua nascita è come prima. Questo è ciò che ci hanno insegnato Massimo e Daniela. Nel nostro cammino abbiamo incontrato persone che hanno saputo coinvolgerci e guidarci all’interno della loro realtà, riuscendo innanzitutto a calarsi nella nostra. Il ricordo che conserveremo di loro sarà per noi lo spettacolo più grande. Abbiamo vissuto l’emozione di un accostarsi reciproco irruento e dolce al tempo stesso, che mirando ad un comune traguardo, ha sviluppato la curiosità della scoperta dell’altro. Questo è il miracolo che abbiamo vissuto con due grandi professionisti del teatro, che ci ricorda che per quanto sia importante il raggiungimento di un obiettivo, la strada da percorrere va affrontata in tutti i suoi avvallamenti perché parte dura e tenera, parte dissestata e omogenea, parte oscura e illuminante del dolce miracolo che è la vita.☺

coopilnoce@libero.it

 

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