don rodrigo e la costituzione
1 Ottobre 2010 Share

don rodrigo e la costituzione

 

Per molti secoli gli italiani non hanno avuto alcun rispetto per la legge e lo Stato. A ben considerare, forse non avevano tutti i torti. Né la legge né lo Stato apparivano, infatti, «rispettabili», in una società che sino alle soglie del XX secolo era sempre rimasta fondata sulla pietra angolare del rapporto servo-padrone, secondo assetti di potere di tipo tardofeudale, tranne poche isole felici. In una società siffatta, nella quale meno del dieci per cento della popolazione concentrava nelle proprie mani circa il novanta per cento della ricchezza nazionale, la legge era – come scriveva Gaetano Salvemini – «la voce del padrone». Anche la giustizia era la voce del padrone: forte con i deboli e debole con i forti. Era la giustizia dei fori speciali dove gli appartenenti alla casta dei privilegiati (aristocratici, ecclesiastici, notabili e ricchi commercianti) erano giudicati dai loro pari secondo regole separate, diverse da quelle riservate a «I nessuno mischiati con niente» per i quali funzionava invece il foro comune. Nel romanzo I promessi sposi, ambientato nel Seicento, Manzoni ha messo in scena la secolare impotenza della legge dinanzi ai potenti. Coloro che circondano don Abbondio, per impedirgli il matrimonio tra Renzo e Lucia, non erano banditi ma bravi. I primi  potevano essere denunciati al potestà del luogo mentre i secondi erano criminali al servizio del potente – nel caso don Rodrigo – al di sopra delle leggi, appartenente al mondo che la legge non la subiva ma ne imponeva la propria. Solo la morte per peste, l’unica uguale per tutti, riesce a fermare la prepotenza di don Rodrigo. Un  parto letterario che delinea un prototipo che, cavalcando i secoli e riproducendosi nel tempo, è giunto sino ai nostri giorni.

Oggi sembra si stia ritornando al buon tempo antico. L’occulto ripristino dei fori privilegiati avanza attraverso la strisciante costruzione di un diritto della disuguaglianza che si articola nella sostanziale decriminalizzazione dei delitti dei potenti (dall’abuso di potere al falso in bilancio), nell’emanazione di leggi ad personam, ad castam, e nella contemporanea ipercriminalizzazione dei comportamenti devianti degli ultimi: dai ladruncoli ai metallari, dagli immigrati ai piccoli spacciatori, ai taroccatori di cd e via elencando, che costituiscono, unitamente ai mafiosi dell’ala militare, la popolazione stanziale delle carceri. Proprio perché le carceri sono da sempre destinate solo ai cittadini senza potere, nessuno sembra curarsi delle loro condizioni di permanente invivibilità.

Come è possibile che un popolo con tale storia alle spalle, appena uscito dalle ceneri della dittatura fascista, abbia potuto esprimere e darsi una Costituzione, quale quella del 1948, che, per unanime riconoscimento internazionale, costituisce uno dei massimi vertici della cultura europea dello Stato democratico di diritto? Una Costituzione che, per la prima volta, poneva le fondamenta per la costruzione di uno Stato e di una legge finalmente «rispetta- bili». Di una legge cioè che non fosse più la «voce del padrone», espressione di un potere forte con i deboli e debole con i forti, o vuota grida manzoniana, ma espressione invece di una repubblica fondata sulla pari dignità sociale di tutti i cittadini. Una Costituzione che, cancellando una secolare storia di servi e padroni, si faceva garante della promozione di una giustizia sociale ed economica, premessa indispensabile per realizzare una giustizia che si concretasse in una legge veramente uguale per tutti: ricchi e poveri, potenti e impotenti, furbi e ingenui, fragili e forti.

La risposta, a mio parere, è semplice e disarmante allo stesso tempo. La Costituzione del 1948 (così come era già avvenuto con lo Stato liberale del 1860), non fu affatto espressione della maggioranza dell’Italia reale nella sua duplice componente padronale e popolare, ma di alcune minoranze.  Viene da chiedersi, allora, cosa ha messo in sicurezza la Costituzione custodendola in questi sessantanni trascorsi dal 1948 ad oggi?

Una camicia di forza alla Storia

Il primo fattore che mette in sicurezza la Costituzione è la guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica e la divisione geopolitica del mondo che mettono una camicia di forza alla storia italiana: i comunisti non possono andare al potere, ma, di converso, neanche è possibile in Italia realizzare un colpo di Stato come quello dei colonnelli in Grecia. Il sovversivismo della componente più reazionaria della classe dirigente si  è nutrito dell’alibi dell’antico- munismo nei ripetuti progetti di colpi di Stato, nella guerra sporca della strategia della tensione, talora coperta da apparati dello Stato, ma, nonostante l’altissimo prezzo di sangue, la Costituzione si è salvata dal pericolo di colpi di Stato restauratori perché una simile soluzione autoritaria avrebbe potuto scatenare un conflitto internazionale tra le due superpotenze.  Il tentativo di svuotamento della Costituzione prenderà allora la strada della piduizzazione dello Stato, cioè della privatizzazione dei processi decisionali all’interno dei circoli dei grandi «decisori», trasversalmente appartenenti ai poteri forti del paese.

Il secondo fattore che preserva la Costituzione durante la Prima Repubblica, è l’esistenza in Italia di una delle classi operaie più forti e politicizzate dell’Occidente. Tutta la vita politica della Prima Repubblica è caratterizzata dal pericolo del sorpasso a sinistra. La classe dirigente doveva autolimitarsi e venire a patti, essendo costretta a misurarsi con la realtà sociale e politica del più forte Partito comunista europeo e, soprattutto, di una classe operaia che aspirava a divenire classe generale e ad assumere la direzione dello Stato, mediante alleanze strategiche con il mondo riformista cattolico e la parte più evoluta della società civile.

Il terzo fattore che mette in sicurezza la Costituzione è la creazione da parte dei padri costituenti di alcune cellule salvavita e di alcune enclave istituzionali in grado di disinnescare i possibili revisionismi autoritari da parte delle maggioranze contingenti del paese. Il procedimento di revisione costituzionale di cui all’articolo 138 prevede un doppio passaggio parlamentare con la maggioranza di due terzi del Parlamento. Nel caso in cui si raggiunga solo la maggioranza assoluta, occorre un referendum confermativo popolare. L’articolo 139 sottrae comunque alle maggioranze, anche quelle qualificate di due terzi, la possibilità di revisione della forma repubblicana dello Stato.

Quanto alle enclave istituzionali, la Corte Costituzionale viene costituita con modalità tali da consentirle di poter operare come variabile indipendente rispetto agli equilibri politici delle maggioranze. Le garanzie di indipendenza e di autonomia della magistratura ordinaria la sottraggono al pericolo di condizionamenti politici di vertice nel sollevare eccezioni di incostituzionalità delle leggi, raccordandola dal basso con la Corte Costituzionale.

Grazie a tale particolare habitat istituzionale, si rende possibile che le minoranze, le élite culturali che hanno assimilato in profondità i valori dello Stato democratico di diritto, troppo avanzati rispetto alla realtà del paese, troppo al di sopra delle sue possibilità etiche, possano svolgere una funzione di resistenza contro i possibili tentativi di restaurazione e di svuotamento della Costituzione da parte delle maggioranze.

La fine del bipolarismo internazionale ha restituito il paese alla sua storia «naturale» che riprende, non a caso, dal punto in cui era stata interrotta prima che si aprisse la parentesi costituzionale. La globalizzazione e il passaggio all’economia postindustriale hanno determinato la scomparsa o l’irrilevanza sociale della classe operaia. La smobilitazione di questo soggetto collettivo è equivalsa tout court alla smobilitazione delle masse popolari e alla perdita di un baricentro per le componenti più evolute della nazione. Le masse sono tornate ad essere, così come erano sempre state nel tardo feudalesimo, soggetto passivo della storia, manipolabile dall’alto.

Stiamo assistendo alla straordinaria  reviviscenza di codici culturali premoderni tipicamente nazionali, un passaggio dalla modernità di uno Stato di diritto alla premodernità di un potere di tipo signorile, svincolato dai controlli  e al di sopra delle leggi. È sufficiente accennare ad alcuni dei principali passaggi. La sovranità popolare svuotata mediante la privazione  del diritto di scegliere i propri candidati; il Parlamento ridotto ad una assemblea di nominati dal Principe; la separazione tra potere esecutivo e legislativo fortemente ridimensionata; leggi di riforma della magistratura miranti a ricondurla sotto il controllo del potere esecutivo; la sistematica occupazione degli oligarchi di tutti gli spazi dell’informazione televisiva e l’eliminazione della visibilità della reale macchina del potere; la censura della libera stampa e l’infantilizzazione delle masse riconsegnate all’analfabetismo democratico; la legittimazione culturale del conflitto d’interesse che sdoganato al vertice è divenuto una componente della costituzione materiale del paese. Il neofeudalsimo italiano affollato di tanti vassalli in cerca del loro principe, da tanti sudditi contenti di esserlo, da tanti intellettuali aspiranti a divenire “consigliori” del principe di turno e di essere iscritti  nel suo libro paga, sembra essere la riedizione della storia più vera e autentica del paese.

Il conflitto d’interessi e tutto il resto

È infatti significativo che la mancata interiorizzazione dei valori costituzionali appare trasversale alle maggioranze interne ai due schieramenti di centro-destra e di centro-sinistra, anche se  con modalità diverse. Quanto al primo schieramento non è il caso di dilungarsi, essendo sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo schieramento, si consideri la sperimentata disponibilità di tanti autorevoli esponenti di vertice del centro-sinistra a considerare i princìpi costituzionali, non come inderogabili, ma come possibile merce di scambio all’interno di ordinarie negoziazioni politiche contingenti; su un piatto della bilancia i princìpi fondanti dello Stato e della democrazia, sull’altro contropartite utili al galleggiamento della maggioranza o al conseguimento di obiettivi politici del momento. Emblematiche sono, ad esempio, le vicende che riguardano la ponderata decisione di non regolare, nei governi di centro-sinistra, il conflitto di interessi e l’assetto televisivo pubblico-privato che incidono sul modo di essere dello Stato e della democrazia.

Che fare? Chi salverà questo paese da se stesso? La lezione della storia dimostra come in alcuni frangenti cruciali il paese non sia stato salvato dalle sue maggioranze ma dalle sue minoranze. Hanno fatto il Risorgimento, trasformando un popolo di tribù in una nazione, hanno fatto la Resistenza e hanno concepito la Costituzione.

Alle  minoranze  oggi sembra essere affidata la difesa della Costituzione. Sino a quando resterà in vita, sapremo sempre da dove ricominciare. Sarà sempre possibile far cancellare dalla Corte Costituzionale l’ennesima legge «non rispettabile» che uno schieramento politico approva. Salvare la Costituzione significa salvare la parte migliore della nostra storia. Non deve scoraggiare fare parte di una minoranza.

Viviamo una fase della storia nella quale le minoranze eredi di quelli che vollero la Costituzione, che vollero il Concilio Vaticano II, che realizzarono lo Statuto dei lavoratori – semi e simboli di un’altra Italia possibile – sembrano divenute orfane di rappresentanza e guida politica perché tradite da oligarchie partitiche paralitiche, autoreferenziali e interessate solo alla propria riproduzione.

È tempo che ognuno assuma su di sé l’onere e la responsabilità di aiutare il vecchio a morire per consentire al nuovo di nascere. E – per ricordare Salvemini – ciascuno troverà nell’avvenire quel tanto che ci ha messo di se stesso. Solo chi si arrende ai fatti non vi troverà nulla, perché non vi avrà messo nulla.☺

(Sintesi dell’articolo di Roberto Scarpinato, procuratore generale a Caltanisetta, in  Micromega 24 giugno 2010, pp. 87-102. L’articolo integrale di Scarpinato si può trovare anche nel nostro sito) (leggi allegato a questo articolo)

 

eoc

eoc