Doveri e desideri
30 Aprile 2017
La Fonte (351 articles)
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Doveri e desideri

“Dovere!”. Una volta le buone maniere imponevano, come replica ai ringraziamenti, che si pronunciasse questa sintetica affermazione, in circostanze come una visita di cortesia, nel porgere le condoglianze, nel formulare congratulazioni.
L’espressione quasi non esiste più, ha abbandonato il terreno della comunicazione quotidiana, ed è stata sostituita – nella interazione telematica – da emoticon (faccine o icone simili che spopolano sui social media). La sua scomparsa potrebbe spiegarsi semplicemente perché il vocabolo rimanda ad una sfera semantica di imposizione, di regole o precetti cui attenersi e da seguire rigidamente, pena la punibilità. Un ambito, quello del “dover fare”, che ormai non riscuote ampio consenso!
Paradossalmente, però, la parola “dovere” è ricomparsa nel nostro idioma nella sua versione anglofona, con una comprensione “edulcorata”, solo all’apparenza però, perché l’intrinseco valore semantico del vocabolo inglese è conservato .
Il linguaggio contemporaneo ha accolto con disinvoltura il termine must [pronuncia: mast] e ne ha incrementato la diffusione e l’uso. Must è un verbo modale, vale a dire si accompagna ad altri verbi per rendere l’idea di obbligo, imposizione dall’esterno: regolamenti, ordini, decisioni prese da altre persone. È il verbo della “legge”, esprime e pretende il rispetto rigoroso di codici; nella sua forma negativa mustn’t [pronuncia: mastnt] traduce il divieto assoluto di effettuare un’azione o di compiere una determinata attività.
Dall’inglese il vocabolo, cosi come utilizzato nella lingua italiana, è passato ad indicare una “cosa indispensabile, o considerata tale”; da verbo è diventato sostantivo. Come suggerisce il vocabolario Treccani must si riferisce ad “oggetti o prodotti di cui non si può fare a meno e si devono perciò acquistare, a libri che non si possono ignorare, a spettacoli o manifestazioni a cui è dovere assistere o partecipare, e simili”. Nel mondo della moda poi, già di per sé prescrittivo per quanti direttamente o indirettamente tentano di seguirne i consigli, must sono quei capi o accessori che non possono mancare nel guardaroba di stagione.
Si potrebbero elencare must anche per altri ambiti. Il veicolo privilegiato per la loro trasmissione è senza dubbio la pubblicità: proporre, sedurre, convincere a volte possono tradursi in un’unica azione, must appunto, alla quale non ci si può sottrarre, perché va rispettata e seguita, anche inconsapevolmente!
Viene da chiedersi come mai, nel nostro tempo, persone così insofferenti a qualsiasi costrizione o obbligo, pronte ad esprimere in qualsiasi situazione il proprio punto di vista, determinate a far valere il proprio diritto di scelta, si sottopongano ed accettino alcune imposizioni. Ed ancora: a quali criteri fanno riferimento questi must? Quali ragioni, quali motivazioni li hanno individuati, scelti, creati? Chi stabilisce cosa si deve o non si deve fare, possedere, comprare, desiderare?
A ben vedere, l’idea guida dei must sembra derivare dalla ricerca, propria del nostro mondo occidentale, di una condizione di vita agiata e tranquilla: quella che in maniera riduttiva è denominata “ricerca della felicità” e che invece costituisce un fertile terreno di indagine e di riflessione. Secondo la lucida analisi di Zygmunt Bauman – recentemente scomparso – felicità è solo qualcosa legato alla vita quotidiana, e questo “ha indebolito l’idea della felicità come obiettivo. A ciò si lega anche la parallela evoluzione del concetto di desiderio. Ora, non ci si ferma soddisfatti, e felici, quando un nostro desiderio si realizza. Piuttosto, ci si spinge subito a desiderare qualcos’altro che ci possa soddisfare in maniera migliore. Desideriamo il desiderio più che la realizzazione di esso. Quest’atteggiamento dà luogo ad una catena tendenzialmente infinita di frustrazioni e insoddisfazioni”.
I must appaiono come la risposta al senso di inadeguatezza che ci accompagna ogni qual volta non riusciamo a realizzare le nostre aspirazioni. Racchiudono tutto ciò che potrebbe recarci piacere, gioia, soddisfazione, ma non li creiamo noi: ci vengono dall’ esterno, sono al di fuori di noi, li accogliamo senza porci alcun dubbio. Non ci appartengono, ma ci rendono appagati!
Dovere, must: la loro origine è cambiata, la loro comprensione modificata. “Il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”: cosa resta di ciò che sosteneva il grande filosofo Immanuel Kant, alla fine del Settecento?

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