Dubbi e rabbia
3 Febbraio 2015 Share

Dubbi e rabbia

Sono quasi incapace di scrivere una frase coerente. Volevo scrivere un contributo che contenesse qualche speranza, ma gli eventi di Parigi hanno cambiato tutto. Invece di speranza c’è la paura, ci sono i dubbi, ci sono molte domande cui non posso rispondere.

Mi domando: Sono anch’io Charlie? Non lo so, non sono convinta che le caricature che feriscono il credo di altri, sia esso religioso o laico, siano un simbolo della libertà. Allo stesso tempo sono totalmente convinta che questa diffamazione di sentimenti altrui non giustifica una strage come quella di Parigi. No, il terrorismo non si può giustificare!

Mi domando: siamo veramente in guerra? In una guerra ci sono due parti che sparano, gettano bombe, ammazzano non solo i soldati della parte opposta, ma anche donne e bambini. I politici europei che dicono “Siamo in guerra!” parlano solo di quello che fanno i terroristi, ma se ciò lo chiamano “Guerra” significa che li tradisce il loro subconscio e riconoscono che anche loro sparano, gettano bombe, ammazzano donne e bambini in Afganistan e nel Medio Oriente. Allora, sì, siamo in guerra, ma non è una guerra unilaterale.

Mi domando: se fossi stata in Italia invece di stare a Berlino, avrei comprato Il fatto quotidiano con l’ultimo numero di Charlie Hebdo? Non sono sicura, ma credo piuttosto che non l’avrei comprato, perché non mi piace che si facciano affari con la morte di 17 persone.

Mi domando: se fossi stata a Parigi domenica scorsa, sarei andata alla manifestazione? Sì, questa è l’unica domanda cui posso rispondere: sì, certo, sarei andata. Le immagini di quella manifestazione sono l’unica cosa, in questi giorni, che ha riscaldato un poco il mio cuore. Ma c’erano anche i politici (europei e non) che hanno fatto qualche passo, lontani dalla folla, tenendosi per il braccio, accettando la presenza di politici come Netanyahu e Poroshenko che stanno portando avanti le guerre a Gaza e nell’Est dell’Ucraina. E fra quei “difensori della libertà d’espressione” c’erano parecchi che nei loro paesi non permettono questa libertà.

Mi domando: 17 morti a Parigi valgono di più di mille, duemila morti in Nigeria?

Mi domando: perché la strage di Parigi, (della quale sono stati responsabili almeno tre cittadini francesi, figli di immigrati maghrebini e africani, cresciuti in Francia) riscalda nei paesi europei la discussione intorno ai rifugiati di oggi, intorno all’immigrazione attuale? Invece di chiedere la revisione del trattato di Schengen, perché questi politici non si chiedono che cosa non ha funzionato nei loro paesi rispetto all’integrazione degli immigrati che sono venuti nei nostri paesi 20, 30 anni fa?

Mi domando: conosciamo veramente tutta la verità intorno alla strage di Parigi? Non mi piace la dietrologia, ma ci sono dei punti oscuri in questa storia. Forse, fra qualche decennio, avremo delle sorprese quando verrà alla luce il ruolo dei servizi segreti.

In tutte queste domande che mi tormentano c’è la rabbia, perché in Germania, dopo la strage di Parigi, è cresciuto il numero di quelli che, ogni lunedì, partecipano alle manifestazioni del movimento anti-islamico e xenofobo Pegida, del quale ho fatto cenno nel mio ultimo contributo. È vero che cresce anche il movimento di quelli che protestano contro Pegida, ma questo confronto fra due parti della popolazione tedesca è giunto, lunedì 12 gennaio, ad un nuovo livello, perché è successo un fatto del quale quasi non si parla nella stampa tedesca e  non so se è stato menzionato nella stampa italiana.

Il fatto è questo: nella città di Dresda, dove è nato Pegida e dove di lunedì in lunedì cresce il numero dei manifestanti, gli immigrati residenti nella città evitano di uscire il lunedì, perché hanno paura di trovarsi faccia a faccia con questi “cittadini contro l’islamizzazione dell’ occidente”. Il 12 gennaio, Khalif Bahray, un giovane rifugiato di nazionalità eritrea, ha vinto la sua paura ed è uscito di casa per comprare qualcosa che gli occorreva urgentemente. È uscito alle ore 20 e non è ritornato. La mattina dopo, martedì 13, hanno trovato il suo cadavere nel cortile della casa dove abitava con altri rifugiati. Il suo corpo era in mezzo ad una pozza di sangue, lo avevano ammazzato con un coltello. La polizia “non era sicura” che questo assassinio avesse un fondo di xenofobia… Ma come è possibile? Come potevano avere dei dubbi se alla stessa ora, proprio nel momento nel quale Khalif ha trovato il coraggio di uscire da casa sua, si svolgeva la manifestazione di Pegida? Manifestazione della gente che ha paura di tutti quelli che sono differenti, gente che grida “Prima i tedeschi”, “Stop all’immigrazione” ecc.?

Non so. Non ho parole. Ho solo domande, dubbi e… rabbia.☺

 

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