essere in relazione  Michela Di Memmo
30 Marzo 2013 Share

essere in relazione Michela Di Memmo

 

“In ogni periodo di transizione si solleva la canaglia che c’è in ogni società e si solleva non solo senza nessuno scopo, ma senza nemmeno avere l’ombra di un’idea, esprimendo soltanto, con tutte le forze, la propria inquietudine e la propria impazienza” (F. Dostoevskij).

 Con il romanzo I demoni Dostoevskij vuole denunciare ciò che per lui era all’origine del male di una Russia lanciata come un carro folle verso l’ignoto. I demoni sono uomini d’azione, animati da una grande forza vitale, ma questa forza si riduce ad una rappresentazione del male, in quanto essa nega ogni cosa: la cultura, l’arte, il dovere, ma soprattutto l’amore.  Indifferenti a tutto, I Demoni possono arrivare a rinnegare o a disprezzare le proprie radici, a vivere la politica come una mera esperienza intellettuale o ad idolatrare il proprio pensiero con il quale inconsciamente sostituiscono Dio (di cui, nonostante le apparenze, non riescono a fare a meno). Entusiasti difensori delle loro idee distruttive, posso muoversi soltanto in un mondo dove la libertà non ha valore.

Il grande interrogativo di Dostoevskij è: che cosa diventano le certezze dell’uomo se non contengono qualcosa che va “oltre”, una forza morale? Come si potrà realizzare l’uguaglianza mossi solo dalla ragione? Senza la percezione di qualcosa che è moralmente ad di sopra di noi, ci concediamo un arbitrio totale e con esso la possibilità di dominare e di violare l’umanità dell’altro, nel momento in cui noi lo riteniamo giusto. Così si esprime demone: “Il maestro che, davanti ai bambini, si fa beffe di Dio e della loro culla è già uno dei nostri. L’avvocato che difende un colto omicida sostenendo che è più evoluto delle sue vittime e che, per far denaro, non poteva fare a meno di uccidere, è già dei nostri. Gli scolari che ammazzano un contadino per provare una forte emozione sono già dei nostri […] Tra gli amministratori, tra i letterati dei nostri ce ne sono molti, moltissimi, e loro stessi non lo sanno!”

Il rispetto della vita nella sua dimensione più sacra, essenziale per Dostoevskij, non si discosta dalla concezione di Simone Weil, per cui ciò che contraddistingue l’uomo non è la rivendicazione della propria individualità ma l’apertura a qualcosa di estraneo che trova origine nel “bisogno di bene e giustizia”. E anche per la Weil lo sradicamento è una malattia dell’esistenza umana che caratterizza le società materialiste, le cui cause sono "La nostra falsa idea di grandezza; la degradazione del senso della giustizia; la nostra idolatria per il denaro e l’assenza di ispirazione religiosa".

L’uomo si afferma invece in relazione con la natura, con la cultura come bellezza dell’ordine universale e tramite il contatto con se stesso. Anche Gramsci, nel suo umanesimo ateo, aveva intuito l’importanza del radicamento e come anche la battaglia politica dovesse passare necessariamente attraverso di esso. ☺

micheladimemmo@email.it

 

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