fisserò le stelle  di Giulia D’Ambrosio
30 Ottobre 2011 Share

fisserò le stelle di Giulia D’Ambrosio

 

La fase storica che stiamo vivendo pare ci stia portando lontani dall'aspirazione all'uguaglianza e sempre più all'individualismo. Dove c'è disuguaglianza non c'è dimensione collettiva. Questa è l'operazione scientifica e strutturale di questo governo. La campagna dell'antipolitica parte dal governo per dominarci meglio. Certo non avremmo mai immaginato di dover vivere così tanti conflitti individuali e pubblici contemporaneamente. Le disuguaglianze sociali, i privilegi abnormi nelle mani di pochi, i soprusi e gli affari occulti, colpiscono al cuore le famiglie italiane e quella condizione di vivibilità che ci rendeva maggiormente inclini alla fiducia.

Non ci sentiamo sicuri né del nostro lavoro né dei nostri rapporti umani, privati del nostro diritto alla salute, assistendo ai privilegi quotidiani di chi gode dei sacrifici fiscali di noi che abbiamo già poco e rischiamo di avere molto meno.

La mente mi riporta inesorabilmente al vissuto recente e scottante delle elezioni regionali. Il Molise, plagiato e costretto per bisogno, rivive un incubo dal quale chiunque avrebbe dovuto cercare di uscire con ogni mezzo. Nessuno può e deve “possedere” un territorio per dieci anni per essere riconfermato, dopo aver subìto così tante ingiustizie. Eppure è accaduto. Le colpe non sono ascrivibili a chi domina ma a chi è posseduto. Il sistema clientelare è la voragine del pensiero, è il tunnel di cui difficilmente si vede l'uscita, è la morte del desiderio.

Abbiamo respirato un'aria di felicità nei momenti che hanno preceduto l'epilogo di questa consultazione, se ne sono accorti i centri più grandi, perché nelle piccole comunità tutto dipende dai sindaci con i quali il giorno dopo ci si confronta e si convive. Chi gestisce il potere lo sa bene, anche se parla della mancanza di risorse di cui soffre il nostro territorio. È il famoso cane che si morde la coda,  il potere ti affama per poi concederti le briciole.

E’ fondamentale che il luogo di riflessione sia psicologicamente aperto, che assuma il dolore, il disagio, la rabbia, la frustrazione, l’aggressione, il conflitto, i silenzi, le urla come elementi del campo (humani nihil a me alienum puto), perché sono le emozioni a rimettere in movimento il pensiero e spingerci a trovare un senso.

E la ricerca di senso non è mai contro ma insieme. Lo dobbiamo ai giovani, alle loro ansie, alle loro paure alla loro voglia di gridare e distruggere che non può essere pericolosamente alimentata. Non può essere convogliata in movimenti populistici, ma organizzata in un vero movimento di idee, che risiede solo in ambienti rassicuranti e costituzionalmente desiderabili.

Per i giovani non è semplice tollerare di vivere in condizioni estreme, sentirsi attaccati e disconosciuti da ogni parte e partire sempre dall’interrogarsi su di sé; conservare se stessi nelle avversità piuttosto che immaginare che siano eliminabili. Non è una filosofia della rassegnazione, tutt’altro, è una filosofia della resistenza e dell’educazione perché è questa capacità di superare le frustrazioni, le sconfitte e le ingiustizie che ci avvicina veramente ai giovani che pretendiamo di educare.

E’ solo scendendo nel loro inferno che noi ci eleveremo alla loro altezza e ci renderemo capaci di guidarli fuori da esso. Siamo piombati in un governo dal pensiero autoritario che pretende di eliminare i diversi, mentre quello superficialmente democratico elimina la diversità, si rifiuta di pensarla e di renderla visibile.

Insisto sull'idea già ribadita su queste pagine che solo il desiderio ci porterà fuori dal guado. Spesso mi capita di cercare l'etimologia della parola per capirne davvero il senso: desiderio dal latino de-sidera, un termine legato alle stelle (un'ipotesi etimologica del termine affonderebbe nel De bello Gallico, dove i de siderantes erano soldati che attendevano, fissando attentamente le stelle, i destini della battaglia dell'indomani). Fisserò le stelle questa notte.☺

giuliadambrosio@hotmail.it

 

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