A quanti di noi piacerebbe vedersi attribuita una etichetta? Essere guardati o considerati in base ad un tagliandino – metaforico – che sostituisca la nostra “vera” persona? Credo a nessuno. Eppure il nostro tempo riserva grande spazio ad etichette e definizioni precostituite.
Il mondo della comunicazione, l’informazione tramite carta stampata o televisioni, ricorrono ampiamente a semplificazioni ed approssimazioni per riferirsi ad argomenti o problemi che sarebbe troppo lungo declinare attraverso una definizione propria e rispondente: si pensi a come viene denominata la legge elettorale vigente! E poi, quando protagonisti diventano i personaggi noti della politica, dello spettacolo, dello sport, sembra essere invalsa l’abitudine ad attenersi a sommarie indicazioni o sigle, per non citare gruppi o componenti della società, designati in maniera più che riduttiva … E noi cittadini “comuni”?
Se guardiamo più da vicino al nostro rapporto con le nuove tecnologie, dobbiamo constatare che a molti ormai piace connettersi ad Internet, utilizzare la rete informatica anche per mettersi in contatto con altre persone. I cosiddetti social network [letteralmente: rete di comunicazione sociale], i notissimi Facebook o Twitter per citarne alcuni, frequentati non soltanto da giovani e giovanissimi, hanno prepotentemente preso il nome di “piazze virtuali” in quanto consentono – e ciò è un pregio – di collegare persone da un capo all’altro del globo; favoriscono lo scambio di informazioni e l’espressione di opinioni anche riguardo a temi di interesse generale. Non si dimentichi che gran parte della campagna di sensibilizzazione riguardo ai referendum dello scorso giugno ha ricevuto un contributo notevole da questi nuovi mezzi di interazione comunicativa!
Accedere ai servizi di un social network comporta però sottoporsi, oltre alla fornitura dei dati anagrafici (tradotti in nome utente e password), ad una operazione di etichettatura che va sotto il nome di tag (sostantivo) o più compiutamente tagging (forma verbale), che nell’italiano corrente – che ha fatto inorridire gli Accademici della Crusca – si è trasformato (traslitterato) in taggare, da cui il participio taggato, di uso frequente.
Il semplice significato del sostantivo inglese è quello di “contrassegno, cartellino”, solitamente collocato accanto a prodotti che devono essere venduti o catalogati per l’esposizione o la conservazione, ne riporta il prezzo o altre caratteristiche. Per estensione il tag è anche la firma apposta su un graffito da parte di un “artista di strada”. In quanto forma verbale traduce “munire di etichetta”, o ancora “soprannominare” riferito a persone.
Da quanto ci dicono gli esperti informatici, sulla rete il tag non è altro che una etichetta “virtuale” su cui viene riportato sinteticamente il contenuto di una foto o di un video. Come per un banale contenitore, la targhetta che riporti la denominazione di ciò che vi è contenuto ne consente l’uso agevole, fa risparmiare tempo, ma soprattutto cataloga. L’uso dei tag facilita la ricerca: è necessario perciò ricorrere a parole chiave, inequivocabili, capaci di rendere in breve l’idea di ciò che si vuole indicare. Tra i suggerimenti che si possono cogliere in rete relativamente ad un proficuo tagging, si fa strada quello di scegliere parole che siano “maniglie” che aiutano coloro che fanno ricerche a trovare gli oggetti catalogati – e le persone! Quindi non semplicemente un elenco di nomi o numeri telefonici, come le usuali rubriche, ma un sistema sofisticato che può essere gestito esclusivamente facendo ricorso alle “etichette”. Sembra che ciò che vincola gli utenti dei social network sia l’approvazione di tale operazione di etichettatura da parte delle persone coinvolte, in quanto, una volta inserito il nome di una persona, si attiva un collegamento che rimanda a quell’utente. In breve, un modo più elegante per indicare un’operazione che in un passato non molto lontano si era soliti chiamare “schedatura”.
Innegabile il pregio di condividere e scambiare le opinioni, incoraggiante l’entusiasmo che spinge sempre più utenti, in una società definita ormai dell’incomunicabilità, a cercare il contatto con altri, lodevole questa rivoluzionaria opportunità di cui molti ormai non riescono a fare a meno! Resta soltanto qualche perplessità su come, forse anche in maniera affrettata, qualcuno ci taggerà, riducendoci ad un semplice cartellino. “Quando si è impossibilitati a rivelare da soli la propria verità, è il modo in cui veniamo raccontati l’unica strada che ci rende intelligibili agli altri. Solo che spesso quella strada conduce da qualche altra parte” (Michela Murgia, Ave Mary). ☺
dario.carlone@tiscali.it
A quanti di noi piacerebbe vedersi attribuita una etichetta? Essere guardati o considerati in base ad un tagliandino – metaforico – che sostituisca la nostra “vera” persona? Credo a nessuno. Eppure il nostro tempo riserva grande spazio ad etichette e definizioni precostituite.
Il mondo della comunicazione, l’informazione tramite carta stampata o televisioni, ricorrono ampiamente a semplificazioni ed approssimazioni per riferirsi ad argomenti o problemi che sarebbe troppo lungo declinare attraverso una definizione propria e rispondente: si pensi a come viene denominata la legge elettorale vigente! E poi, quando protagonisti diventano i personaggi noti della politica, dello spettacolo, dello sport, sembra essere invalsa l’abitudine ad attenersi a sommarie indicazioni o sigle, per non citare gruppi o componenti della società, designati in maniera più che riduttiva … E noi cittadini “comuni”?
Se guardiamo più da vicino al nostro rapporto con le nuove tecnologie, dobbiamo constatare che a molti ormai piace connettersi ad Internet, utilizzare la rete informatica anche per mettersi in contatto con altre persone. I cosiddetti social network [letteralmente: rete di comunicazione sociale], i notissimi Facebook o Twitter per citarne alcuni, frequentati non soltanto da giovani e giovanissimi, hanno prepotentemente preso il nome di “piazze virtuali” in quanto consentono – e ciò è un pregio – di collegare persone da un capo all’altro del globo; favoriscono lo scambio di informazioni e l’espressione di opinioni anche riguardo a temi di interesse generale. Non si dimentichi che gran parte della campagna di sensibilizzazione riguardo ai referendum dello scorso giugno ha ricevuto un contributo notevole da questi nuovi mezzi di interazione comunicativa!
Accedere ai servizi di un social network comporta però sottoporsi, oltre alla fornitura dei dati anagrafici (tradotti in nome utente e password), ad una operazione di etichettatura che va sotto il nome di tag (sostantivo) o più compiutamente tagging (forma verbale), che nell’italiano corrente – che ha fatto inorridire gli Accademici della Crusca – si è trasformato (traslitterato) in taggare, da cui il participio taggato, di uso frequente.
Il semplice significato del sostantivo inglese è quello di “contrassegno, cartellino”, solitamente collocato accanto a prodotti che devono essere venduti o catalogati per l’esposizione o la conservazione, ne riporta il prezzo o altre caratteristiche. Per estensione il tag è anche la firma apposta su un graffito da parte di un “artista di strada”. In quanto forma verbale traduce “munire di etichetta”, o ancora “soprannominare” riferito a persone.
Da quanto ci dicono gli esperti informatici, sulla rete il tag non è altro che una etichetta “virtuale” su cui viene riportato sinteticamente il contenuto di una foto o di un video. Come per un banale contenitore, la targhetta che riporti la denominazione di ciò che vi è contenuto ne consente l’uso agevole, fa risparmiare tempo, ma soprattutto cataloga. L’uso dei tag facilita la ricerca: è necessario perciò ricorrere a parole chiave, inequivocabili, capaci di rendere in breve l’idea di ciò che si vuole indicare. Tra i suggerimenti che si possono cogliere in rete relativamente ad un proficuo tagging, si fa strada quello di scegliere parole che siano “maniglie” che aiutano coloro che fanno ricerche a trovare gli oggetti catalogati – e le persone! Quindi non semplicemente un elenco di nomi o numeri telefonici, come le usuali rubriche, ma un sistema sofisticato che può essere gestito esclusivamente facendo ricorso alle “etichette”. Sembra che ciò che vincola gli utenti dei social network sia l’approvazione di tale operazione di etichettatura da parte delle persone coinvolte, in quanto, una volta inserito il nome di una persona, si attiva un collegamento che rimanda a quell’utente. In breve, un modo più elegante per indicare un’operazione che in un passato non molto lontano si era soliti chiamare “schedatura”.
Innegabile il pregio di condividere e scambiare le opinioni, incoraggiante l’entusiasmo che spinge sempre più utenti, in una società definita ormai dell’incomunicabilità, a cercare il contatto con altri, lodevole questa rivoluzionaria opportunità di cui molti ormai non riescono a fare a meno! Resta soltanto qualche perplessità su come, forse anche in maniera affrettata, qualcuno ci taggerà, riducendoci ad un semplice cartellino. “Quando si è impossibilitati a rivelare da soli la propria verità, è il modo in cui veniamo raccontati l’unica strada che ci rende intelligibili agli altri. Solo che spesso quella strada conduce da qualche altra parte” (Michela Murgia, Ave Mary). ☺
A quanti di noi piacerebbe vedersi attribuita una etichetta? Essere guardati o considerati in base ad un tagliandino – metaforico – che sostituisca la nostra “vera” persona? Credo a nessuno. Eppure il nostro tempo riserva grande spazio ad etichette e definizioni precostituite.
Il mondo della comunicazione, l’informazione tramite carta stampata o televisioni, ricorrono ampiamente a semplificazioni ed approssimazioni per riferirsi ad argomenti o problemi che sarebbe troppo lungo declinare attraverso una definizione propria e rispondente: si pensi a come viene denominata la legge elettorale vigente! E poi, quando protagonisti diventano i personaggi noti della politica, dello spettacolo, dello sport, sembra essere invalsa l’abitudine ad attenersi a sommarie indicazioni o sigle, per non citare gruppi o componenti della società, designati in maniera più che riduttiva … E noi cittadini “comuni”?
Se guardiamo più da vicino al nostro rapporto con le nuove tecnologie, dobbiamo constatare che a molti ormai piace connettersi ad Internet, utilizzare la rete informatica anche per mettersi in contatto con altre persone. I cosiddetti social network [letteralmente: rete di comunicazione sociale], i notissimi Facebook o Twitter per citarne alcuni, frequentati non soltanto da giovani e giovanissimi, hanno prepotentemente preso il nome di “piazze virtuali” in quanto consentono – e ciò è un pregio – di collegare persone da un capo all’altro del globo; favoriscono lo scambio di informazioni e l’espressione di opinioni anche riguardo a temi di interesse generale. Non si dimentichi che gran parte della campagna di sensibilizzazione riguardo ai referendum dello scorso giugno ha ricevuto un contributo notevole da questi nuovi mezzi di interazione comunicativa!
Accedere ai servizi di un social network comporta però sottoporsi, oltre alla fornitura dei dati anagrafici (tradotti in nome utente e password), ad una operazione di etichettatura che va sotto il nome di tag (sostantivo) o più compiutamente tagging (forma verbale), che nell’italiano corrente – che ha fatto inorridire gli Accademici della Crusca – si è trasformato (traslitterato) in taggare, da cui il participio taggato, di uso frequente.
Il semplice significato del sostantivo inglese è quello di “contrassegno, cartellino”, solitamente collocato accanto a prodotti che devono essere venduti o catalogati per l’esposizione o la conservazione, ne riporta il prezzo o altre caratteristiche. Per estensione il tag è anche la firma apposta su un graffito da parte di un “artista di strada”. In quanto forma verbale traduce “munire di etichetta”, o ancora “soprannominare” riferito a persone.
Da quanto ci dicono gli esperti informatici, sulla rete il tag non è altro che una etichetta “virtuale” su cui viene riportato sinteticamente il contenuto di una foto o di un video. Come per un banale contenitore, la targhetta che riporti la denominazione di ciò che vi è contenuto ne consente l’uso agevole, fa risparmiare tempo, ma soprattutto cataloga. L’uso dei tag facilita la ricerca: è necessario perciò ricorrere a parole chiave, inequivocabili, capaci di rendere in breve l’idea di ciò che si vuole indicare. Tra i suggerimenti che si possono cogliere in rete relativamente ad un proficuo tagging, si fa strada quello di scegliere parole che siano “maniglie” che aiutano coloro che fanno ricerche a trovare gli oggetti catalogati – e le persone! Quindi non semplicemente un elenco di nomi o numeri telefonici, come le usuali rubriche, ma un sistema sofisticato che può essere gestito esclusivamente facendo ricorso alle “etichette”. Sembra che ciò che vincola gli utenti dei social network sia l’approvazione di tale operazione di etichettatura da parte delle persone coinvolte, in quanto, una volta inserito il nome di una persona, si attiva un collegamento che rimanda a quell’utente. In breve, un modo più elegante per indicare un’operazione che in un passato non molto lontano si era soliti chiamare “schedatura”.
Innegabile il pregio di condividere e scambiare le opinioni, incoraggiante l’entusiasmo che spinge sempre più utenti, in una società definita ormai dell’incomunicabilità, a cercare il contatto con altri, lodevole questa rivoluzionaria opportunità di cui molti ormai non riescono a fare a meno! Resta soltanto qualche perplessità su come, forse anche in maniera affrettata, qualcuno ci taggerà, riducendoci ad un semplice cartellino. “Quando si è impossibilitati a rivelare da soli la propria verità, è il modo in cui veniamo raccontati l’unica strada che ci rende intelligibili agli altri. Solo che spesso quella strada conduce da qualche altra parte” (Michela Murgia, Ave Mary). ☺
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.