L’esercizio del potere
29 Marzo 2014 Share

L’esercizio del potere

Da decenni è invalso, nel nostro idioma, l’uso del termine authority [pronuncia: òthòriti] per indicare quelle istituzioni che devono vigilare sulla corretta applicazione delle norme in un particolare settore, che si tratti della riservatezza dei dati personali, della esatta corresponsione di prestazioni e prezzi oppure della leale concorrenza di mercato. Noi cittadini italiani ne facciamo esperienza ogni qualvolta vengono diffuse informazioni riguardanti i diritti dei consumatori, il costo delle bollette per l’energia o ancora la possibilità di vederci riconosciute prerogative a salvaguardia della nostra persona.

L’inglese authority traduce il nostro “autorità”; la ragione del suo utilizzo al posto del termine italiano sembrerebbe essere prevalsa proprio per veicolare con maggiore immediatezza l’aspetto pragmatico della parola. I dizionari anglofoni rimandano infatti al diritto e alla possibilità di esercitare “potere” in un particolare campo; di qui la sua applicazione, imposta dalla economia di mercato, specie quella del mondo occidentale.

Autorità. Il vocabolo italiano rimanda senza dubbio a sfere e ambiti molto ricchi di significati, accezioni, sfumature. Spesso non riceve la giusta attenzione, confuso con altri termini quali “autoritarismo” o “autorevolezza”. Vorrei qui limitarmi a proporre qualche suggestione che questa parola evoca: “l’autorità, lo sappiamo, si trova associata alla politica e al potere; tanto basta a far intendere, non solo la sua importanza, ma anche la probabile origine di molta confusione che circonda il suo significato, e quella della nostra diffidenza” (Luisa Muraro, autorità).

Svincolando l’autorità dal potere le si restituisce un ruolo fondamentale nell’esperienza umana perché essa può essere compresa soprattutto come “relazione” tra le persone. Secondo la filosofa Luisa Muraro l’autorità non ha un fondamento, né trascendente, né materiale che dir si voglia; è essa stessa un fondamento per la vita delle società umane, per le regole cui una comunità deve attenersi e con cui gestirsi, per corretti rapporti interpersonali. Senza dover necessariamente fare ricorso a metodi coercitivi, soprusi o violenze, l’autorità si caratterizza per un aspetto fondamentale: la necessità di un suo riconoscimento. In virtù di questo aspetto si possono comprendere le relazioni umane, ad esempio quella tra genitori e figli, tra docenti ed allievi, ed altre ancora. “L’autorità non può agire se l’altro non la riconosce”. Quello che la differenzia dal potere è che quest’ultimo “può saltare il consenso o carpirlo con l’inganno”.

Negli ultimi tempi si parla con insistenza di new authority [pronuncia: niu òthòriti], nuova autorità: si vuole forse sottolineare, in maniera quasi ossessiva, l’insoddisfazione per il presente (e per il passato) e la proiezione illusoria in una dimensione diversa, migliore? Sembra che alla nostra cultura manchi qualcosa in tema di autorità per cui ci si dovrebbe porre alla ricerca del senso di quest’ultima – ci suggerisce ancora Luisa Muraro – poiché spesso si oscilla tra l’abuso di autorità e lo sbandamento che è la perdita di ogni riferimento.

Il campo politico, nazionale e regionale non appare immune da questa perdita del senso dell’autorità quando essa è soppiantata dall’arroganza di comandare ad ogni costo, dall’ allontanamento dal consenso popolare, dall’ affievolimento del rapporto di fiducia con i cittadini.

Scriveva Hannah Arendt, “la vita pubblica senza l’autorità e senza l’indipendenza che questa dà nei confronti del potere, toglie alla politica dignità e grandezza”.☺

eoc

eoc