eutanasia socio-industriale   di Antonello Miccoli
1 Dicembre 2013 Share

eutanasia socio-industriale di Antonello Miccoli

Nel nostro Paese la deindustrializzazione sta assumendo i contorni di un processo inarrestabile: una sorta di suicidio assistito. Tale dinamica non è attribuibile alla sola  globalizzazione dei mercati: molti dei mali economici affondano, infatti, le proprie  radici nell’incapacità di un’intera classe dirigente. Un’oligarchia che non ha saputo o voluto costruire una nazione che facesse dell’ innovazione e del merito la base fondante del proprio agire. Si parla spesso dei costi della politica, ma nessuno quantifica quanto gravi un sistema lobbistico che, invece di premiare il merito e la competenza, tende a premiare la fedeltà e la rete delle amicizie. La stessa università, che dovrebbe valorizzare solo i talenti, assurge troppo spesso agli onori della cronaca per aver favorito carriere accademiche a danno di altri candidati.
Nel frattempo la condizione industriale dell’Italia e della nostra regione, mostra i segni di un declino che rischia di stravolgere l’intero assetto democratico del paese. Basti pensare che sull’intero territorio nazionale sono stati analizzati dati che rispecchiano la drammaticità di una situazione dagli esiti sociali ed economici imprevedibili. Più specificatamente le ore, registrate nel lasso temporale gennaio-agosto 2013 e comparate con il 2012, fanno emergere una realtà estremamente complessa: Cigo 227.692.892 (+7,36%); Cigs 286.035.322 (+11,80%); Cigd 190.262.584 (-20,26%). In riferimento alla Cassa Integrazione guadagni ordinaria, il Molise raggiunge in Italia la variazione percentualmente più elevata rispetto all’anno precedente: 2012 (995.110) 2013 (1.980.681), un differenziale pari a + 99,04%.
All’interno di questo scenario desolante ed incerto vivono milioni di famiglie che rischiano di soccombere rispetto ad un sistema che appare incapace di riprendere un cammino virtuoso. Il   calo stesso delle ore lavorate ha determinato la riduzione del monte salari: mensili più leggeri e ritardo nei pagamenti hanno infatti reso estremamente difficoltoso poter affrontare le semplici spese quotidiane (fare la spesa, curarsi, mandare i figli a scuola, onorare le tasse). Nel contempo i servizi franano, proprio quando vi sarebbe maggiore bisogno di assistenza: la debolezza del sistema sanitario non offre, ad esempio, la possibilità di effettuare in tempi celeri una visita specialistica o un esame diagnostico. Un deficit che induce un cittadino in difficoltà economiche ad attendere tempi lunghissimi, mentre altri, che possono contare su maggiori risorse finanziarie, si rivolgono al settore privato; altri ancora non sono neppure in grado di pagare il ticket sanitario. Mentre, sul versante dell’istruzione, molte famiglie non riescono più a sostenere i figli all’università: si sta, in definitiva, ricreando lo spartiacque tra le classi sociali più ricche e quelle meno abbienti. La stessa imposta sulla casa perde di vista l’aspetto sociale che ogni forma di tassazione dovrebbe racchiudere in sé; pagare il dovuto non significa infatti far parti uguali tra diseguali: se due cittadini hanno un’abitazione dello stesso valore, ma i redditi complessivi risultano differenti, anche quanto richiesto dal fisco dovrebbe variare. Nei fatti le cose vanno diversamente e così il disoccupato, il cassaintegrato o il lavoratore posto in mobilità sono chiamati a pagare la stessa tassa di chi lavora o guadagna il doppio. A questa tipologia di cittadini si dovrebbe dare la possibilità di pagare almeno in 12 rate quanto dovuto in due. Sarebbe inoltre utile, vista l’emergenza, giungere ad un protocollo d’intesa tra parti sociali, Anci, Provincia e Regione, affinché si pervenga a contemplare un programma di tassazione locale che tenga conto delle difficoltà delle famiglie espulse dal mondo del lavoro o in gravi difficoltà economiche.
Risulta tra l’altro indecoroso il perdurare dell’abbandono di coloro che, superata la soglia dei 57/58 anni, si ritrovano senza lavoro e senza rete di protezione sociale: a questi cittadini la normativa non consente di andare in pensione neppure con 40 anni di contributi (attualmente sono necessari 42 anni e 5 mesi per gli uomini e 42 anni e 1 mese per le donne). Un’azione politica, che abbandona la parte più vulnerabile del proprio tessuto sociale, mostra di non riconoscere la dignità di quanti esprimono bisogni di natura primaria. In attesa che il governo centrale corregga le rigidità del sistema pensionistico, s’impone la costituzione  di un fondo di solidarietà regionale: una rete di protezione che la Regione Molise potrebbe costituire disegnando una graduatoria strutturata sulla condizione finanziaria dell’intero nucleo familiare. Il ritorno dei tributi pagati deve necessariamente avere delle priorità: partire dai più deboli affinché la Costituzione declini nella quotidianità i princìpi in essa racchiusi. ☺
antonello.miccoli@libero.it

 

eoc

eoc