
Falchi e colombe
Davide Puccini (Piombino, 1948) è autore di molti saggi e curatele (Ariosto, Fucini, Poliziano, Pulci, Sacchetti e vari altri), due romanzi (Il libro e l’anima, Lietocolle 2015 e Le stagioni del mare, Ladolfi 2018) e di alcune convincenti raccolte di poesie. Ricordo Gente di passaggio (Genesi 2005), Il fondo e l’onda (Nomos 2016) e fra le più orientate su specifici temi, Madonne e donne (Lietocolle 2007), una esplorazione in versi del fascino femminile per come si manifesta nei capolavori della pittura, e Animali diversi ed altri versi (Ladolfi 2021). Nel 2024 è stata pubblicata dall’elegante editore Interlinea la sua ultima raccolta, Il falco e la colomba. Abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi gli sciagurati tempi di soprusi e inaudite violenze soprattutto belliche in cui viviamo. In due poesie dal titolo gemello, che poi è lo stesso dell’intera silloge, il libro si fa forte di due immagini che aprono e chiudono l’arco dell’intera offerta poetica, allegorie della feroce aggressività (il falco ovviamente) e della pace. Tre sono le sezioni in cui si articola il libro: la prima (Oikos) si concentra sull’ambiente in cui viviamo: da sempre Puccini è particolarmente sensibile al delicato e vulnerabile universo degli animali, tanto bistrattato dalla indifferente superficialità degli umani. La seconda si intitola Tramonto per via della malinconica consapevolezza che, colui che prende la parola in questi versi, si trova ormai a un’età che lascia intravedere, con un complesso corollario di memorie e considerazioni, l’ultima linea rerum. E la terza, quasi dislocandosi già nell’oltretempo, si intitola a un Giudizio che sembra alludere a quello che potrebbe attenderci appunto oltre quel margine: «Lo so che un giorno sarò processato/ per un delitto grave, la mancanza/ d’amore […] ma forse mi sarà lecito aggiungere/ che ho imparato dai miei sbagli […]» – e sinceramente il lettore, considerando lo sguardo teneramente vicino a tutte le cose del creato ravvisabile in tutta la produzione di Puccini, fatica a credere che quel processo possa chiudersi in modo a lui sfavorevole. L’auspicio del poeta sembra essere, nella chiusa, divenire un giorno metafisica, angelica colomba. La poesia d’apertura riferisce che l’atteggiamento del falco alto levato (precisamente: un gheppio) e quasi fermo in cielo è paradossalmente allineato alla consueta iconografia di una Colomba con la C maiuscola, poiché «viene chiamato “lo Spirito Santo”». Sacro e profano, violenza e benedizione, sembrano sovrapporsi:
ad ali aperte la Colomba annuncia
(l’atteggiamento è simile) l’avvento
di un soffio di salvezza universale.
Falco e colomba insieme in un blasone
che è sintesi di opposti sovrapposti.
Non diverso dal nostro il suo destino:
rimanere in attesa dell’evento.