La Casa delle Cose, una favola scaturita dai sogni di catarsi del poliziotto-scrittore Gianpaolo Trevisi, è stata presentata dalla casa editrice Emi (Edizioni Missionarie Italiane) di Bologna sul numero di gennaio 2012 della rivista CEM Mondialità, nella rubrica “la pedagogia della lumaca” di Gianfranco Zavalloni che del libro è anche illustratore.
Sono stata attratta dal titolo. Anche la mia casa può essere così definita e allo stesso modo la casa di ciascuno di noi. In ogni casa abita un certo numero di persone – a volte una sola come nella mia – ma il resto dello spazio è pieno di “cose” di cui nessuno nella nostra civiltà può fare a meno: dai vari utensili, agli arredi di ogni tipo, ai libri, alle piante… Tutte queste cose hanno un rapporto così intenso con noi umani da portare i segni rivelatori – a saper ben guardare – dei gesti, dei gusti, delle abitudini di chi le possiede e le usa. Entrano nella nostra realtà quotidiana assorbendo, per così dire, la personalità di ciascuno di noi. E col tempo, che ne appanna la lucentezza, le scalfisce, le mutila rendendole non più adatte alla loro funzione, conseguono un valore superiore: diventano “sacramenti di vita” e ci seducono con un linguaggio famigliare, carezzevole al cuore, ristoratore, stimolante.
Ma in questa fantasmagorica favola le “cose” non sono un semplice riflesso della persona cui appartengono: hanno una vita autonoma, una fiera coscienza di sé, grazie al miracolo di aver ricevuto un nome proprio, di essere “nominate”: “chiamate” da una opaca solitudine o, peggio, da un triste destino di “usa e getta” a una vita di relazione dove conoscersi è la chiave per amarsi.
È un gioco fanciullesco, di chi vede e sente un’anima in ogni cosa, per Giampo e Lella dare un nome a ciascuna delle mille cose che nel tempo hanno raccolto da ogni dove e ospitato nel loro colorato appartamento all’ultimo piano di un condominio di una città del nord: Iko il serpente, Cip1 e Cip2, Tirillo il paperino, che era nato dentro Duna, la prima macchina nuova di Giampo ed era poi cresciuto dentro Peppone il maggiolone, la sua nuova macchina grande, Tigrotta la vecchia bici rossa di Lella, Chiarra la chitarra di Giampo, Samba la cocorita che canta, vola e balla… Vezzeggiativi che rispecchiano la cosa e dicono la gratitudine dei due romantici ragazzi verso ciò che una cosa è in grado di donare.
“Nella Casa non contava il prezzo pagato, o quanti euro valesse una cosa regalata. Contavano il tempo, l’affetto, la pazienza di essere quella cosa quando serviva proprio quella, e di essere viva quando c’era bisogno che anche la carta, la plastica, il vetro o mille altre cose prendessero vita. Per questo, forse, nella casa c’era sempre allegria ed era come se una banda intera, vestita di rosso, suonasse tutto il giorno le musiche più belle del mondo”. Conta la qualità dei legami. E quando il clima di convivialità corre il rischio di scadere nella noia del “trantran” oppure nella malinconia di un giorno di pioggia, ecco lì pronto Ciuf Ciof, il trenino nato dalla voglia di bricolage di Giampo e venuto male ma che sa le vie invisibili per arrivare alle stelle. A un suo fischio speciale imbarca tutti, nessuno escluso, in un viaggio di sogno o, meglio, in un sogno di viaggio intorno al mondo. Ne ridiscendono carichi di sole, neve, girasoli, papaveri, mare e cielo, rinfrancati e pronti, Giampo e Lella, a correre al lavoro.
“Un alfabeto della gioia”, questa favola si snoda attraverso ventuno capitoli, secondo le lettere dell’alfabeto. Intessuta di cuore e di fantasia accompagna i giovani lettori in crescita, e gli adulti smarriti di oggi, ad accendere la scintilla di luce nascosta nelle pieghe, anche le più dolorose, dell’esistenza.
Samba, volando via con la sua vita, mormora felice: “Uh, che bella storia che ho vissuto…” e altre parole dolci che sanno di sole. Il suo funerale è tutto un canto gioioso di libertà con le note e le parole di “Volare”. Di qui ha origine la grande sommossa di tutte le cose del mondo che non hanno nome: avrà due sbocchi, l’uno magico per i piccoli, l’altro realistico ma velato di sogno per i grandi, nello stile dell’autore.
Gianpaolo Trevisi, vice questore e capo della squadra mobile di Verona, sa coniugare nel lavoro l’imperativo della legge con la mitezza del cuore e trova rifugio nel privato sotto l’ala salvifica della poesia. In un libro precedente, Fogli di via, scritto quando dirigeva l’ufficio immigrazione e ora in seconda edizione Emi con disegni di Vauro, ha raccontato storie tragiche di clandestini immaginando per ciascuna di esse un lieto fine, quale egli stesso avrebbe desiderato, “a regalare agli stranieri protagonisti dei racconti un futuro alternativo migliore della realtà”.
Nella Casa delle Cose dedica il libro, e in particolare il secondo finale, a mamma Maria Teresa, che ha perduto due figli, Massimiliano e Davide, entrambi poliziotti, uccisi a distanza di undici anni l’uno dall’altro per strada, mentre svolgevano il loro lavoro: a lei “sono rimasti un dolore nero che non ha mai fine e un sorriso magico che fa sorridere anche tutti quelli che si domandano come faccia ancora a sorridere”.☺
terelaba@alice.it
La Casa delle Cose, una favola scaturita dai sogni di catarsi del poliziotto-scrittore Gianpaolo Trevisi, è stata presentata dalla casa editrice Emi (Edizioni Missionarie Italiane) di Bologna sul numero di gennaio 2012 della rivista CEM Mondialità, nella rubrica “la pedagogia della lumaca” di Gianfranco Zavalloni che del libro è anche illustratore.
Sono stata attratta dal titolo. Anche la mia casa può essere così definita e allo stesso modo la casa di ciascuno di noi. In ogni casa abita un certo numero di persone – a volte una sola come nella mia – ma il resto dello spazio è pieno di “cose” di cui nessuno nella nostra civiltà può fare a meno: dai vari utensili, agli arredi di ogni tipo, ai libri, alle piante… Tutte queste cose hanno un rapporto così intenso con noi umani da portare i segni rivelatori – a saper ben guardare – dei gesti, dei gusti, delle abitudini di chi le possiede e le usa. Entrano nella nostra realtà quotidiana assorbendo, per così dire, la personalità di ciascuno di noi. E col tempo, che ne appanna la lucentezza, le scalfisce, le mutila rendendole non più adatte alla loro funzione, conseguono un valore superiore: diventano “sacramenti di vita” e ci seducono con un linguaggio famigliare, carezzevole al cuore, ristoratore, stimolante.
Ma in questa fantasmagorica favola le “cose” non sono un semplice riflesso della persona cui appartengono: hanno una vita autonoma, una fiera coscienza di sé, grazie al miracolo di aver ricevuto un nome proprio, di essere “nominate”: “chiamate” da una opaca solitudine o, peggio, da un triste destino di “usa e getta” a una vita di relazione dove conoscersi è la chiave per amarsi.
È un gioco fanciullesco, di chi vede e sente un’anima in ogni cosa, per Giampo e Lella dare un nome a ciascuna delle mille cose che nel tempo hanno raccolto da ogni dove e ospitato nel loro colorato appartamento all’ultimo piano di un condominio di una città del nord: Iko il serpente, Cip1 e Cip2, Tirillo il paperino, che era nato dentro Duna, la prima macchina nuova di Giampo ed era poi cresciuto dentro Peppone il maggiolone, la sua nuova macchina grande, Tigrotta la vecchia bici rossa di Lella, Chiarra la chitarra di Giampo, Samba la cocorita che canta, vola e balla… Vezzeggiativi che rispecchiano la cosa e dicono la gratitudine dei due romantici ragazzi verso ciò che una cosa è in grado di donare.
“Nella Casa non contava il prezzo pagato, o quanti euro valesse una cosa regalata. Contavano il tempo, l’affetto, la pazienza di essere quella cosa quando serviva proprio quella, e di essere viva quando c’era bisogno che anche la carta, la plastica, il vetro o mille altre cose prendessero vita. Per questo, forse, nella casa c’era sempre allegria ed era come se una banda intera, vestita di rosso, suonasse tutto il giorno le musiche più belle del mondo”. Conta la qualità dei legami. E quando il clima di convivialità corre il rischio di scadere nella noia del “trantran” oppure nella malinconia di un giorno di pioggia, ecco lì pronto Ciuf Ciof, il trenino nato dalla voglia di bricolage di Giampo e venuto male ma che sa le vie invisibili per arrivare alle stelle. A un suo fischio speciale imbarca tutti, nessuno escluso, in un viaggio di sogno o, meglio, in un sogno di viaggio intorno al mondo. Ne ridiscendono carichi di sole, neve, girasoli, papaveri, mare e cielo, rinfrancati e pronti, Giampo e Lella, a correre al lavoro.
“Un alfabeto della gioia”, questa favola si snoda attraverso ventuno capitoli, secondo le lettere dell’alfabeto. Intessuta di cuore e di fantasia accompagna i giovani lettori in crescita, e gli adulti smarriti di oggi, ad accendere la scintilla di luce nascosta nelle pieghe, anche le più dolorose, dell’esistenza.
Samba, volando via con la sua vita, mormora felice: “Uh, che bella storia che ho vissuto…” e altre parole dolci che sanno di sole. Il suo funerale è tutto un canto gioioso di libertà con le note e le parole di “Volare”. Di qui ha origine la grande sommossa di tutte le cose del mondo che non hanno nome: avrà due sbocchi, l’uno magico per i piccoli, l’altro realistico ma velato di sogno per i grandi, nello stile dell’autore.
Gianpaolo Trevisi, vice questore e capo della squadra mobile di Verona, sa coniugare nel lavoro l’imperativo della legge con la mitezza del cuore e trova rifugio nel privato sotto l’ala salvifica della poesia. In un libro precedente, Fogli di via, scritto quando dirigeva l’ufficio immigrazione e ora in seconda edizione Emi con disegni di Vauro, ha raccontato storie tragiche di clandestini immaginando per ciascuna di esse un lieto fine, quale egli stesso avrebbe desiderato, “a regalare agli stranieri protagonisti dei racconti un futuro alternativo migliore della realtà”.
Nella Casa delle Cose dedica il libro, e in particolare il secondo finale, a mamma Maria Teresa, che ha perduto due figli, Massimiliano e Davide, entrambi poliziotti, uccisi a distanza di undici anni l’uno dall’altro per strada, mentre svolgevano il loro lavoro: a lei “sono rimasti un dolore nero che non ha mai fine e un sorriso magico che fa sorridere anche tutti quelli che si domandano come faccia ancora a sorridere”.☺
La Casa delle Cose, una favola scaturita dai sogni di catarsi del poliziotto-scrittore Gianpaolo Trevisi, è stata presentata dalla casa editrice Emi (Edizioni Missionarie Italiane) di Bologna sul numero di gennaio 2012 della rivista CEM Mondialità, nella rubrica “la pedagogia della lumaca” di Gianfranco Zavalloni che del libro è anche illustratore.
Sono stata attratta dal titolo. Anche la mia casa può essere così definita e allo stesso modo la casa di ciascuno di noi. In ogni casa abita un certo numero di persone – a volte una sola come nella mia – ma il resto dello spazio è pieno di “cose” di cui nessuno nella nostra civiltà può fare a meno: dai vari utensili, agli arredi di ogni tipo, ai libri, alle piante… Tutte queste cose hanno un rapporto così intenso con noi umani da portare i segni rivelatori – a saper ben guardare – dei gesti, dei gusti, delle abitudini di chi le possiede e le usa. Entrano nella nostra realtà quotidiana assorbendo, per così dire, la personalità di ciascuno di noi. E col tempo, che ne appanna la lucentezza, le scalfisce, le mutila rendendole non più adatte alla loro funzione, conseguono un valore superiore: diventano “sacramenti di vita” e ci seducono con un linguaggio famigliare, carezzevole al cuore, ristoratore, stimolante.
Ma in questa fantasmagorica favola le “cose” non sono un semplice riflesso della persona cui appartengono: hanno una vita autonoma, una fiera coscienza di sé, grazie al miracolo di aver ricevuto un nome proprio, di essere “nominate”: “chiamate” da una opaca solitudine o, peggio, da un triste destino di “usa e getta” a una vita di relazione dove conoscersi è la chiave per amarsi.
È un gioco fanciullesco, di chi vede e sente un’anima in ogni cosa, per Giampo e Lella dare un nome a ciascuna delle mille cose che nel tempo hanno raccolto da ogni dove e ospitato nel loro colorato appartamento all’ultimo piano di un condominio di una città del nord: Iko il serpente, Cip1 e Cip2, Tirillo il paperino, che era nato dentro Duna, la prima macchina nuova di Giampo ed era poi cresciuto dentro Peppone il maggiolone, la sua nuova macchina grande, Tigrotta la vecchia bici rossa di Lella, Chiarra la chitarra di Giampo, Samba la cocorita che canta, vola e balla… Vezzeggiativi che rispecchiano la cosa e dicono la gratitudine dei due romantici ragazzi verso ciò che una cosa è in grado di donare.
“Nella Casa non contava il prezzo pagato, o quanti euro valesse una cosa regalata. Contavano il tempo, l’affetto, la pazienza di essere quella cosa quando serviva proprio quella, e di essere viva quando c’era bisogno che anche la carta, la plastica, il vetro o mille altre cose prendessero vita. Per questo, forse, nella casa c’era sempre allegria ed era come se una banda intera, vestita di rosso, suonasse tutto il giorno le musiche più belle del mondo”. Conta la qualità dei legami. E quando il clima di convivialità corre il rischio di scadere nella noia del “trantran” oppure nella malinconia di un giorno di pioggia, ecco lì pronto Ciuf Ciof, il trenino nato dalla voglia di bricolage di Giampo e venuto male ma che sa le vie invisibili per arrivare alle stelle. A un suo fischio speciale imbarca tutti, nessuno escluso, in un viaggio di sogno o, meglio, in un sogno di viaggio intorno al mondo. Ne ridiscendono carichi di sole, neve, girasoli, papaveri, mare e cielo, rinfrancati e pronti, Giampo e Lella, a correre al lavoro.
“Un alfabeto della gioia”, questa favola si snoda attraverso ventuno capitoli, secondo le lettere dell’alfabeto. Intessuta di cuore e di fantasia accompagna i giovani lettori in crescita, e gli adulti smarriti di oggi, ad accendere la scintilla di luce nascosta nelle pieghe, anche le più dolorose, dell’esistenza.
Samba, volando via con la sua vita, mormora felice: “Uh, che bella storia che ho vissuto…” e altre parole dolci che sanno di sole. Il suo funerale è tutto un canto gioioso di libertà con le note e le parole di “Volare”. Di qui ha origine la grande sommossa di tutte le cose del mondo che non hanno nome: avrà due sbocchi, l’uno magico per i piccoli, l’altro realistico ma velato di sogno per i grandi, nello stile dell’autore.
Gianpaolo Trevisi, vice questore e capo della squadra mobile di Verona, sa coniugare nel lavoro l’imperativo della legge con la mitezza del cuore e trova rifugio nel privato sotto l’ala salvifica della poesia. In un libro precedente, Fogli di via, scritto quando dirigeva l’ufficio immigrazione e ora in seconda edizione Emi con disegni di Vauro, ha raccontato storie tragiche di clandestini immaginando per ciascuna di esse un lieto fine, quale egli stesso avrebbe desiderato, “a regalare agli stranieri protagonisti dei racconti un futuro alternativo migliore della realtà”.
Nella Casa delle Cose dedica il libro, e in particolare il secondo finale, a mamma Maria Teresa, che ha perduto due figli, Massimiliano e Davide, entrambi poliziotti, uccisi a distanza di undici anni l’uno dall’altro per strada, mentre svolgevano il loro lavoro: a lei “sono rimasti un dolore nero che non ha mai fine e un sorriso magico che fa sorridere anche tutti quelli che si domandano come faccia ancora a sorridere”.☺
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