Giorno di marmo
7 Novembre 2019
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Giorno di marmo

“In punta di vita, lapsus volevo dire/ in punta di matita”. Sono due dei versi con cui la scrittrice milanese Vivian Lamarque definisce la sua poesia, “coinquilina” della sua vita. Una poesia sempre caratterizzata da grazia e leggerezza. A partire dalla prima raccolta, Teresino, del 1981, il cui titolo è una sorta di anagramma del suo paesino natale, Tesero, in provincia di Trento, incrociato con Terezin, il campo di concentramento nazista per bambini. E fino all’ultima opera pubblicata, nel 2016, Madre d’inverno, che ruota intorno al trauma originario della sua vita. Figlia illegittima, la Lamarque viene data in adozione a nove mesi e a quattro anni perde anche il padre adottivo. Dalla scoperta, a dieci anni, di avere due madri, nascono i suoi primi versi e la ricerca affannosa della madre biologica. Ma solo a sessant’anni circa di distanza, dopo la malattia e la morte della madre adottiva, l’interrogativo che pare sotteso a molti dei suoi versi, ovvero da che cosa si possa riconoscere una madre, sembra trovare una risposta in Madre d’inverno (che sottolinea, fin dal titolo, il freddo di un’assenza): madre è colei che ci insegna a vivere e che ci mostra come si abbandona la vita. Il tutto passando per la trilogia, uscita fra il 1986 e il 1992, Il signore d’oro, Poesie dando del Lei e Il signore degli spaventati, che ha al centro le cure psicanalitiche da parte dello junghiano dottor B.M. Ma più che recuperare un contenuto inconscio rimosso, la Lamarque pone qui in primo piano la sua situazione presente: la separazione dal marito Paolo Lamarque (il cognome di Vivian è Comba Provera Pellegrinelli) e il problema del cosiddetto transfert, ovvero la proiezione di un sentimento, in questo caso amoroso, dall’analizzato all’analista, e destinato a culminare nei versi della poesia Paura: “ma da chi potrò andare Dottore/ se per caso un giorno Lei mi muore?”

Questo distico, volutamente quasi buffo, tocca un altro tema centrale della sua poesia, quello della morte. Tema centrale non solo nelle Poesie dedicate, scritte spesso in ricordo di vari poeti (Sandro Penna, Dario Bellezza, Giorgio Caproni) e poetesse (Sylvia Plath e Amelia Rosselli, morte nello stesso “giorno di marmo”, l’11 febbraio, rispettivamente del 1963 e del 1996). Ma anche nelle strofe apparentemente ingenue, eppure terribili, del poemetto Questa quieta polvere. Questo titolo discende dai versi This quiet Dust/ was Ladies and Gentleman di Emily Dickinson, protagonista anche di una delle Poesie dedicate. E la morte ritorna in alcuni toccanti versi del poemetto L’albero, forse ispirati a Cosimo Piovasco di Rondò, l’eccentrico protagonista del romanzo Il barone rampante di Italo Calvino, che si arrampica su un albero del giardino di casa per non scendervi mai più. L’io poetico della Lamarque non solo sale su un albero, ma da lì dialoga con quelli di lassù: “Morti ma come vi hanno messi?/ divisi per millennio? per secolo?/ per causa di decesso? per precocità?/ o siete tutti in disordine come stracci/ là? o siete polvere quieta come di mobili?/ siete grigi? o d’argento?/ siete una polvere bella? sì?”. Una serie incalzante di domande, che danno voce in modo anche tagliente agli eterni interrogativi di fondo sulla morte. Ma a ingentilire il tema e a celebrare quel “giorno di marmo” che è per tutti noi il prossimo 2 novembre, può valere questo poetico frammento di saggezza, che emerge da un tenero dialogo della Lamarque con il suo gattino Ignazio, al quale sono dedicate le Poesie per un gatto (2007):

– Ripeto la domanda

ci sarà o non ci sarà

questo aldilà?

– Forse Ignazio non lo so.

– Come non lo sai?

– Ma sì vedrai è come una specie

di giardino si diventa tutti erba fiori.

– Fiori? un fiore io? mai!

– E perché? essere un fiore

è un onore non lo sai?☺

 

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