giovanni di nome
1 Marzo 2010 Share

giovanni di nome

 

Sarà che, dopo soli otto anni di insegnamento, sono stanca di portare al guinzaglio (anzi, sguinzagliati) sciami di assonnati studenti che guardano distrattamente una cattedrale tra un sms e l’altro.

Sarà che in estate non mi piace abdicare del tutto alle funzioni cerebrali, come generalmente la tv, berlusconiana e non, ci invita a fare dal 1 giugno al 31 agosto.

Sarà che il tema dell’educazione alla legalità mi piace almeno quanto scotta, in un paese dove ormai il confine fra il lecito e l’illecito sfuma ogni giorno di più fra i particolari piccanti (o patetici?) di Villa Certosa e quelli non meno amorali degli scranni parlamentari.

Sarà per tutta una serie di ragioni, insomma, ma tra le mie letture estive ho scelto, non senza sfidare l’occhio un po’ perplesso dei vicini d’ombrellone, un bel testo di Luigi Garlando (giornalista della Gazzetta dello Sport con una lunga esperienza nel mondo del fumetto) che può definirsi una sorta di romanzo sociale d’attualità: Per questo mi chiamo Giovanni (Fabbri, 2006), cronaca leggera e garbata (adatta, anzi pensata per la sensibilità dei più piccoli) di una “giornata particolare”.

Padre e figlio, un giorno come tanti, a Palermo. Fra le strade, gli angoli, gli edifici, le pietre che hanno visto nascere, crescere e poi morire Giovanni Falcone. E tutti i colleghi del pool che ha fatto la storia della lotta alla mafia.

Buono il pretesto col quale l’autore riesce a raccontare ai più giovani, attraverso la finzione letteraria e con la collaborazione di Maria Falcone – sorella del giudice -, la figura eroica e quotidiana (e le battaglie) del magistrato ucciso dalla mafia il 23 maggio del 1992: il sospetto che il figlio stia subendo manifestazioni di bullismo a scuola da parte di un compagno prepotente e minaccioso che gli estorce sistematicamente le “paghette”, porta il protagonista a fare al ragazzino un regalo speciale. Una giornata insieme, in giro per Palermo, tutta per loro, in cui fargli conoscere la storia di un personaggio che ha saputo mettersi in gioco fino al sacrificio della propria vita per combattere la mafia, quel sistema di sopruso fondato sulla paura e sul silenzio che affonda le sue radici proprio nel sottobosco quotidiano delle piccole ingiustizie, della microcriminalità di quartiere che condiziona, imbevendole di rassegnazione, le giovani generazioni.

Quelle a cui invece bisogna parlare senza stancarsi perché possono ancora reagire, cambiare, lottare. Come ha fatto Falcone, presentato qui non come un eroe senza macchia e senza paura che alla fine è dovuto soccombere, vittima, sotto le grinfie della piovra. Bensì come un uomo tenace, coraggioso, non privo di dubbi come di entusiasmi infantili, che ha vinto comunque perché ha saputo seminare la speranza, e perché alla speranza tante volte frustrata dei siciliani ha dato un volto e un motivo per rifiorire. Quella speranza che tutta la letteratura siciliana moderna (da Verga, a Tomasi di Lampedusa, a Pirandello, a Sciascia) ha guardato da lontano con un misto di malinconia, di fatalismo e di compassione per chi ci provava a credere.

Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tutti quelli che come loro per quella speranza hanno vissuto e di quella sono morti: gli uomini, gli “eroi borghesi” che hanno svegliato i siciliani dal loro sonno millenario, dal silenzio atavico, dalla paura che addormenta le coscienze.

L’intreccio riserva qualche sorpresa, e i particolari della vicenda non vanno svelati prima per non togliere quel piacere di scoprire “come va a finire” cui ogni lettore ha diritto: perché il ragazzino si chiami Giovanni, e cosa c’entri il suo orsacchiotto Bum, dalle zampine bruciacchiate, in tutta la vicenda, è cosa da capire lentamente, nel dipanarsi serrato ma agevole delle pagine.

Una riflessione però si può fare subito perché arriva ghiotta ghiotta nella testolina dei docenti come me, quelli, per capirci, stanchi di trascinare sui pullman e sui marciapiedi frotte di ragazzi dal passo pesante e dalla palpebra calante. Settembre è ormai alle porte e odora di banchi di scuola: un progetto di educazione alla legalità potrebbe proprio partire dalla lettura di un testo come questo, che consentirebbe – per esempio – di ripercorrere fisicamente proprio il percorso di padre e figlio per le strade di Palermo (con tanto di cartina topografica alla mano), alla ricerca/scoperta dei luoghi in cui i due protagonisti approdano: via Castrofilippo 1 (dove Falcone abitava da bambino), piazza Sett’Angeli, sede del Convitto Nazionale dove ha studiato, il Palazzo di Giustizia, e poi la guardiola blindata in cui i poliziotti controllavano a vista, giorno e notte, il suo portone, e ancora l’Albero Falcone (a voi scoprire cos’è, e portarci i vostri alunni, se ne avete) e così via, in una sorta di caccia al tesoro che conduca gli studenti a scoprire una Palermo diversa, e forse non meno bella di quella tradizionalmente associata a Palazzo dei Normanni, a Monreale e quant’altro. L’ideale sarebbe poi quello di abbinare a Palermo una selezione di luoghi di un’ “altra Sicilia”: aziende che sono sorte su terreni confiscati a Cosa Nostra, cooperative nate per il reinserimento lavorativo di detenuti e di ragazzi con disagio mentale, i luoghi di Peppino Impastato, i prodotti agricoli di Libera.. Un viaggio d’istruzione che coinvolga i ragazzi in prima persona, parlando loro della vita.

Per questo mi chiamo Giovanni si presta ad una lettura interattiva non solo per il ricco apparato didattico che contiene, e che aiuta ad analizzare il linguaggio e i contenuti della vicenda in modo approfondito, ma anche perché consente di mettere a fuoco i tanti protagonisti che hanno segnato la storia della lotta alla mafia dal maxiprocesso (e dintorni) in poi: dai giudici agli “uomini d’onore”. Spazi, date, personaggi, parole-chiave come pizzo o appalti pubblici, possono diventare utili puntelli per una conoscenza ramificata del fenomeno mafioso, del concetto di legalità, e per una riflessione feconda su come un giovane, oggi, può incontrare e contrastare la mentalità mafiosa nel suo giro di amicizie, interessi, studi e affetti quotidiani. Scoprendo anche un modo diverso di “andare in gita”.☺

gadelis@libero.

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