grammatica dei conflitti
1 Ottobre 2011 Share

grammatica dei conflitti

 

Educazione alla pace. Un “classico” sempre ricco di risvolti e stimoli, ma anche un’espressione abusata nella scuola italiana, dove viene propinata dai docenti ai ragazzi – spesso come attività progettuale extracurricolare – in buona fede ma senza autentica consapevolezza e senza il fondamento di una metodologia solida ed efficace. Al principio di un nuovo anno scolastico, dunque, riproporre questo ambito di lavoro e di esperienza in una veste nuova, dandogli qualche aggiustatina didattica e concettuale, può risultare utile a chi desidera progettare un percorso formativo innovativo per i propri ragazzi.

Daniele Novara, direttore del Centro Psicopedagogico per la Pace e la Gestione dei Conflitti di Piacenza (www.cppp.it), ci fornisce un ricco strumento di autoformazione, “La grammatica dei conflitti”, il cui scopo è offrire una prospettiva inedita sulla questione: dal conflitto è possibile imparare. Ma, perché ciò accada, non bisogna evitarlo, bensì conoscerlo e affrontarlo, individuandone le componenti fondamentali e acquisendo alcuni strumenti per provare a leggerlo e gestirlo in modo nonviolento. Dall’esperienza personale a quella scolastica il passo è breve, immediato, e può a sua volta estendersi ad un’ampia gamma di sfere relazionali, via via più ampie. 

Tutti i giorni, in realtà, viviamo un numero variabile di conflitti: di alcuni non ci accorgiamo neppure, altri invece lasciano il segno e possono cambiare la vita intera. Comunque tendiamo a sfuggirli, e a considerarli problemi da cui è meglio tenersi alla larga. Eppure i conflitti possono essere incredibili occasioni di apprendimento su noi stessi e sugli altri, possono aiutarci a incrementare le competenze relazionali e sociali e a migliorare la qualità della nostra vita. Chi impara dai conflitti può riuscire a superare modalità relazionali consolidate ma inefficaci, per garantirsi relazioni più stabili e creative.

Uno dei pregi della “Grammatica dei conflitti” è proprio questo essere una vera e propria cassetta degli attrezzi (che però non scade mai nella prescrizione banalizzante) in grado di educarci ad una nuova lettura del conflitto. Un altro è che demolisce una serie di pregiudizi che provocano una marea di danni: che il conflitto, specie nel linguaggio dei media, equivalga alla “guerra” (mentre in un certo senso è l’esatto contrario della violenza, perché comprende l’altro nel proprio orizzonte e non vuole distruggerlo), che il conflitto sia sempre da evitare, che occorra cercare una soluzione subito… È da tempo, d’altronde, che l’educazione alla pace è andata assumendo sempre più la forma di educazione alla trasformazione nonviolenta dei conflitti. Ed è ormai largamente acquisito, sia nella ricerca per la pace sia nel campo educativo, che il conflitto è piuttosto una condizione esistenziale comune, dal micro al macro, che bisogna imparare ad affrontare positivamente.

Tutti noi viviamo in un paradosso: da una parte in genere ci insegnano fin da piccoli che litigare è un male, dall’altra parte dobbiamo continuamente affrontare piccoli e grandi conflitti, spesso senza avere gli strumenti minimi per “starci” senza farne un dramma. Così, c’è chi fugge, chi rimuove, chi prende la scorciatoia della violenza, chi si lamenta e basta… Eppure, il conflitto è una straordinaria opportunità di autoconoscenza e di crescita; perché segna il confine tra “io” e gli altri, le altre; tra le mie esigenze, le mie emozioni, i miei bisogni e quelli altrui. Al contrario della violenza, che cancella l’altro come soggetto, il conflitto esiste solo dove c’è relazione. Il libro di Daniele Novara suggerisce strumenti utili per leggere le situazioni conflittuali, come il “diario” e il “quadrante dei conflitti”, aiuta a fare chiarezza e a procedere per gradi nel districarsi in quel ginepraio di emozioni e reazioni istintive che il conflitto suscita, spiega cosa significa fare mediazione e negoziazione. Ma il messaggio prezioso di questo libro è più profondo: imparare dai conflitti vuol dire innanzitutto imparare a interrogarsi su di sé. A riflettere, per esempio, sui propri “tasti dolenti”, quei residui dolorosi e non risolti dell’infanzia che nei conflitti tornano a far male. Vuol dire imparare a farsi e a fare la domande giuste, base di quell’approccio maieutico che permette una trasformazione reale delle persone e delle relazioni. Quanto bene potrebbe fare tutto questo ad un educatore, al suo rapporto con se stesso e con i conflitti quotidiani che deve “reggere”? E quanto bene potrebbe a sua volta fare un educatore ai suoi ragazzi, educandoli in questo modo?

 “Ogni essere vivente deve saper affrontare le situazioni conflittuali della sua vita, altrimenti muore. Però siamo stati educati ad evitare i conflitti e a sentirci in colpa, come bambini, quando litighiamo. Così finiamo per subire le contrarietà o, peggio, per prendere la scorciatoia della violenza. Non saper “stare” nel conflitto provoca sofferenza: questa grammatica consente di imparare a trasformarla sperimentando il conflitto come esperienza profonda di manutenzione relazionale, ciò che può preservarci dalla violenza e, all’opposto, dalle relazioni simbiotiche. È possibile vivere i conflitti come componenti creative della vita, alleati importanti della convivenza”.

Buon lavoro. ☺

gadelis@libero.it

 

 

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