Nell’antichità la palma (da dattero) era ritenuta l’emblema della vittoria e un ramo veniva concesso agli atleti vittoriosi nei Giochi olimpici. Questa simbologia fu ripresa dai Cristiani, che la unirono a quella evangelica della Domenica delle Palme, durante la quale, nel corso della liturgia, si distribuiscono rametti di ulivo e di palma in segno di pace. Perché? Per ricordare l’ingresso a Gerusalemme di Gesù, accolto da una folla festante che agitava rametti di palma. Nel Vangelo secondo Giovanni 12, 12-15, non si parla quindi dei rami di ulivo. Sebbene oggi siano familiari a tutti noi, furono introdotti in seguito nella tradizione popolare, data la scarsità di piante di palma nelle altre regioni, tra cui la stessa Italia. Nell’Europa settentrionale, dove non cresce nemmeno l’ulivo, si ricorre addirittura a fiori e foglie intrecciate.
Ma la palma non è solo quella “della vittoria” o il noto simbolo di pace. Spesso evoca anche un’idea di sapienza. Come in questo significativo aforisma orientale: “Ci sono maestri-cedro e maestri-palma. I primi levano verso il cielo i loro rami irraggiungibili, carichi di frutti. I secondi, invece, hanno i datteri già nei loro rami bassi e anche chi è piccolo può afferrarli e gustarli”.
Nella nostra carriera scolastica – breve o lunga che sia stata – tutti abbiamo avuto la sfortuna di imbatterci in “maestri-cedro”, che ex cathedra sentenziano con sussiego e perentorietà, in modo dogmatico e inaccessibile ai più. Arroccati nelle loro torri d’avorio, alte e imponenti come gli alberi di cedro, sono incapaci di uscire da quel mondo o da quell’atmosfera dove si rinchiudono in attività slegate dalla vita di ogni giorno e non riescono a trasmettere agli altri la loro cultura. Ma per fortuna tutti – dalle elementari all’Università – abbiamo senz’altro incontrato anche “maestri-palma”, in grado di far raccogliere frammenti della loro saggezza ai più semplici. Disponibili al di fuori dell’orario scolastico, attenti ai progressi quotidiani di ogni singolo studente, pronti ad un approccio divertente nello studio degli argomenti, ricchi di parole di incoraggiamento. Ma soprattutto in grado di arrivare anche a “chi è piccolo” con l’esempio quotidiano del loro insegnamento.
Come scriveva lo statunitense Robert Raynolds, in un suo suggestivo romanzo dedicato a uno dei grandi Padri della Chiesa, The Sinner of Saint Ambrose (Il peccatore di Sant’Ambrogio), “a man teaches what he is”: si insegna quello che si è, non solo quello che si sa.
Nell’antichità la palma (da dattero) era ritenuta l’emblema della vittoria e un ramo veniva concesso agli atleti vittoriosi nei Giochi olimpici. Questa simbologia fu ripresa dai Cristiani, che la unirono a quella evangelica della Domenica delle Palme, durante la quale, nel corso della liturgia, si distribuiscono rametti di ulivo e di palma in segno di pace. Perché? Per ricordare l’ingresso a Gerusalemme di Gesù, accolto da una folla festante che agitava rametti di palma. Nel Vangelo secondo Giovanni 12, 12-15, non si parla quindi dei rami di ulivo. Sebbene oggi siano familiari a tutti noi, furono introdotti in seguito nella tradizione popolare, data la scarsità di piante di palma nelle altre regioni, tra cui la stessa Italia. Nell’Europa settentrionale, dove non cresce nemmeno l’ulivo, si ricorre addirittura a fiori e foglie intrecciate.
Ma la palma non è solo quella “della vittoria” o il noto simbolo di pace. Spesso evoca anche un’idea di sapienza. Come in questo significativo aforisma orientale: “Ci sono maestri-cedro e maestri-palma. I primi levano verso il cielo i loro rami irraggiungibili, carichi di frutti. I secondi, invece, hanno i datteri già nei loro rami bassi e anche chi è piccolo può afferrarli e gustarli”.
Nella nostra carriera scolastica – breve o lunga che sia stata – tutti abbiamo avuto la sfortuna di imbatterci in “maestri-cedro”, che ex cathedra sentenziano con sussiego e perentorietà, in modo dogmatico e inaccessibile ai più. Arroccati nelle loro torri d’avorio, alte e imponenti come gli alberi di cedro, sono incapaci di uscire da quel mondo o da quell’atmosfera dove si rinchiudono in attività slegate dalla vita di ogni giorno e non riescono a trasmettere agli altri la loro cultura. Ma per fortuna tutti – dalle elementari all’Università – abbiamo senz’altro incontrato anche “maestri-palma”, in grado di far raccogliere frammenti della loro saggezza ai più semplici. Disponibili al di fuori dell’orario scolastico, attenti ai progressi quotidiani di ogni singolo studente, pronti ad un approccio divertente nello studio degli argomenti, ricchi di parole di incoraggiamento. Ma soprattutto in grado di arrivare anche a “chi è piccolo” con l’esempio quotidiano del loro insegnamento.
Come scriveva lo statunitense Robert Raynolds, in un suo suggestivo romanzo dedicato a uno dei grandi Padri della Chiesa, The Sinner of Saint Ambrose (Il peccatore di Sant’Ambrogio), “a man teaches what he is”: si insegna quello che si è, non solo quello che si sa.
“a man teaches what he is”: si insegna quello che si è, non solo quello che si sa [...] Disponibili al di fuori dell'orario scolastico, attenti ai progressi quotidiani di ogni singolo studente, pronti ad un approccio divertente nello studio degli argomenti, ricchi di parole di incoraggiamento. Ma soprattutto in grado di arrivare anche a “chi è piccolo” con l'esempio quotidiano del loro insegnamento. Sono i “maestri-palma”..
Nell’antichità la palma (da dattero) era ritenuta l’emblema della vittoria e un ramo veniva concesso agli atleti vittoriosi nei Giochi olimpici. Questa simbologia fu ripresa dai Cristiani, che la unirono a quella evangelica della Domenica delle Palme, durante la quale, nel corso della liturgia, si distribuiscono rametti di ulivo e di palma in segno di pace. Perché? Per ricordare l’ingresso a Gerusalemme di Gesù, accolto da una folla festante che agitava rametti di palma. Nel Vangelo secondo Giovanni 12, 12-15, non si parla quindi dei rami di ulivo. Sebbene oggi siano familiari a tutti noi, furono introdotti in seguito nella tradizione popolare, data la scarsità di piante di palma nelle altre regioni, tra cui la stessa Italia. Nell’Europa settentrionale, dove non cresce nemmeno l’ulivo, si ricorre addirittura a fiori e foglie intrecciate.
Ma la palma non è solo quella “della vittoria” o il noto simbolo di pace. Spesso evoca anche un’idea di sapienza. Come in questo significativo aforisma orientale: “Ci sono maestri-cedro e maestri-palma. I primi levano verso il cielo i loro rami irraggiungibili, carichi di frutti. I secondi, invece, hanno i datteri già nei loro rami bassi e anche chi è piccolo può afferrarli e gustarli”.
Nella nostra carriera scolastica – breve o lunga che sia stata – tutti abbiamo avuto la sfortuna di imbatterci in “maestri-cedro”, che ex cathedra sentenziano con sussiego e perentorietà, in modo dogmatico e inaccessibile ai più. Arroccati nelle loro torri d’avorio, alte e imponenti come gli alberi di cedro, sono incapaci di uscire da quel mondo o da quell’atmosfera dove si rinchiudono in attività slegate dalla vita di ogni giorno e non riescono a trasmettere agli altri la loro cultura. Ma per fortuna tutti – dalle elementari all’Università – abbiamo senz’altro incontrato anche “maestri-palma”, in grado di far raccogliere frammenti della loro saggezza ai più semplici. Disponibili al di fuori dell’orario scolastico, attenti ai progressi quotidiani di ogni singolo studente, pronti ad un approccio divertente nello studio degli argomenti, ricchi di parole di incoraggiamento. Ma soprattutto in grado di arrivare anche a “chi è piccolo” con l’esempio quotidiano del loro insegnamento.
Come scriveva lo statunitense Robert Raynolds, in un suo suggestivo romanzo dedicato a uno dei grandi Padri della Chiesa, The Sinner of Saint Ambrose (Il peccatore di Sant’Ambrogio), “a man teaches what he is”: si insegna quello che si è, non solo quello che si sa.
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