il barocco nell’età orsiniana
24 Febbraio 2010 Share

il barocco nell’età orsiniana

Nel Maggio del 1686 frà Vincenzo Maria Orsini, domenicano, fece l’ingresso in Benevento su una mula bianca, secondo un rituale risalente all’alto medioevo. Era stato nominato Arcivescovo di Benevento da Papa Innocenzo XI e veniva da Cesena, dove era approdato dall’Arcidiocesi di Siponto (Manfredonia). Eletto Sommo Pontefice, non rinunciò ad essere titolare dell’Arcidiocesi di Benevento. Memorabili furono le sue visite in veste di Pontefice del 1727 e del 1729 (seconda occasione per consacrare la Basilica di S. Bartolomeo da lui voluta… che però lo vide deluso a causa della esiguità dell’impianto architettonico… “questa è la sagrestia!… e la Basilica?”). L’episcopato Orsiniano nell’arcidiocesi beneventana fu condizionato dal terremoto del 5 giugno del 1688 che rase al suolo la città, e da quello di minore intensità del 14 marzo 1702, comunque devastante a causa del precedente. Il tessuto urbano venne devastato e l’Arcivescovo Orsini impegnò anche capitali propri per la sua riedificazione.

Passione per la ricostruzione

L’Orsini era convinto che la religiosità si intensificasse con templi, chiese e fondazioni ecclesiastiche decorose. “Non doveva esserci polvere, il calice non doveva recare tracce di vino”. Il Presule aveva a cuore il decoro degli edifici e delle celebrazioni ecclesiastiche. Fortemente impregnato di una religiosità in senso “Alto Medievale” era particolarmente legato all’affermazione dei precetti del Concilio Tridentino, quelli della Controriforma. Nel sovrintendere l’opera della ricostruzione degli edifici ecclesiastici ritenne valori preminenti il decoro e l’eleganza delle forme.

Diede grande impulso alla vita ecclesiale dal centro fino alla periferia della diocesi, che si estendeva in Molise e Puglia. Ai Sinodi, riunione di tutti i Prelati, diede l’impulso alla formazione permanente e per l’istruzione del clero ampliò il Seminario Regionale che ha dato lustro all’Arcidiocesi.

Il culto dei Santi

Fu particolarmente devoto a S. Filippo Neri, S. Domenico e S. Tommaso,  S. Francesco e S. Antonio di Padova. Attento alla cura e alla devozione delle S. Reliquie che Benevento e l’Arcidiocesi custodivano grazie all’opera dei Principi Longobardi. Il culto dei Santi, la celebrazione solenne delle feste religiose, le processioni e l’impegno nel pronunciare i sermoni (non retorica, ma incentrati sulla Sacra Scrittura, punto fermo della tradizione del Concilio  Tridentino), erano le attività volte a far risaltare la Fede ed accrescere la coesione della comunità (nella tradizione popolare vi è un detto “sembri Papa Orsini” per indicare una persona pomposa). Il fondo Orsini, che consta di mille sermoni in 38 anni di episcopato, è la certificazione dell’impegno con il quale egli svolse le visite pastorali per controllare decoro e senso del dovere dei prelati. Il suo cattolicesimo intransigente e severo, profondamente animato da spirito di servizio verso la comunità, gli valse l’amore incondizionato dell’Arcidiocesi, che rese ancor più orgogliosa quando divenuto Papa rimase titolare della sua Chiesa Particolare. Devoto alla Vergine, non perdeva occasione per chiedere la protezione della Madonna delle Grazie.

Attività artistica

L’attività artistica ed architettonica incoraggiata da frà Vincenzo Maria Orsini fu efficace nel senso pedagogico e culturale. Il rispetto delle proporzioni, la simmetria e la semplicità strutturale delle fabbriche, la severità e la compostezza dei dipinti erano le caratteristiche salienti delle chiese dell’Orsini. I pittori che lavorarono per Papa Benedetto XIII, tra gli altri il Castellano e il Boraglia, dovettero attenersi a quei criteri di compostezza e rigore anelati dal prelato, dal momento che le tele e le architetture non dovevano ispirare altro che senso di devozione. La presenza di opere del Boraglia in Molise, in particolare nella Chiesa di S. Maria di Loreto a Toro (CB),di cui troviamo una replica  nella cappella delle Suore di Campodipietra, è una testimonianza dell’azione didattico-religiosa dell’Orsini. Originariamente il soffitto della Chiesa del Convento di Toro era un tavolato dipinto con cinque tele, smontato alla fine degli anni Cinquanta; recuperata e restaurata la tela centrale, la Madonna di Loreto nella traslazione della S. Casa, questa venne collocata  nuovamente sul soffitto, recante la testimonianza: “ex amore Benedicti XIII”.

Il soffitto ligneo nella Chiesa di S. Maria delle Grazie dei Frati Minori in Manfredonia offre l’idea dell’opera perduta del soffitto di Toro; il raffinato gusto dell’Orsini, che esternava simpatia verso i Francescani, tanto vicini all’Ordine Domenicano, lo spingeva nelle visite pastorali a soggiornare nei loro conventi.

Sull’altare, entrando alla destra della Chiesa, è collocata una grande tela: la Madonna del Rosario di Nicola Boraglia (1721). L’impianto piramidale con la Vergine in trono e il Bambino sulle ginocchia che offre la corona del rosario a S. Domenico, vede S. Caterina da Siena, con la corona di spine sul capo, in atto prostrante. Curioso è il richiamo al sogno del cane con la fiaccola in bocca ispirato alla nascita di S. Domenico, rappresentato accanto al Santo. S. Rosa da Lima che riceve la corona  dal Bambino e S. Filippo Neri con accanto un santo che regge una statuetta della Vergine sullo sfondo, invitano a contemplare la scena. Il Boraglia, pur nell’alveo del movimento barocco napoletano ne rifiuta la libertà stilistica ed espressiva, com’è manifestata dalla scuola di Luca Giordano. ☺

jacobuccig@gmail.com

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