Il docente esperto
10 Settembre 2022
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Il docente esperto

Caro Ministro Bianchi,

a parte che si potrebbe anche fare quel simpatico gioco proposto tempo fa da Enrico Galiano, che diceva più o meno così: facciamo che di scuola parla solo chi di scuola sa? Ma poiché pare che a questa challenge non ci voglia partecipare nessuno, lei compreso, lasciamola stare.

A parte questo, dicevo, andiamo al cuore della sua ultima trovata, che sta suscitando un pizzico di disappunto tra i lavoratori della scuola. Il decreto “aiuti bis” prevede una nuova figura professionale in ambito scolastico, quella del cosiddetto “docente esperto”, titolo che sarà accessibile a tutti gli insegnanti di ruolo, di ogni ordine e grado, al termine di un percorso formativo triennale (e solo in caso di superamento con valutazione positiva, naturalmente), e che comporterà una retribuzione accessoria una tantum del 15% circa dello stipendio, nei limiti delle risorse disponibili. Il tutto, tra soli dieci anni. In sintesi, è ciò che ha partorito il suo ministero pur di non rinnovare il contratto a decine di migliaia di insegnanti sottopagati, quelli che mandano avanti la scuola con dignità e competenza e che, a settembre, la riapriranno. Gli unici di cui la scuola abbia bisogno.

“Docente esperto”, dunque. Che espressione infelice, caro ministro. Come se bastassero tre step formativi per diventarlo, e non una vita. E come se gli altri non lo fossero. Non ha riflettuto sull’indelicatezza di classificare automaticamente, con questo slogan, tutti i docenti attualmente in servizio come lavoratori dalle competenze azzoppate e inadeguate al ruolo ricoperto? Mi spiace, ma esperti lo siamo già, ciascuno nel proprio campo, nella propria disciplina, altrimenti in classe non potremmo entrarci al mattino: è una questione di contratto, non di pignolerìe linguistiche o di permalosità di categoria. Esperti, caro ministro, lo siamo già. Certo, perfettibili, bisognosi di aggiornamento e stranamente inclini a rimetterci in discussione di continuo sull’efficacia dei nostri metodi, delle nostre scelte, quindi mai statici, mai “arrivati”, per carità: ma “esperti”, la prego, siamo già. E di docenti “esperti”, che magari guarderanno dall’alto in basso i poveri colleghi rimasti al palo, e magari pretenderanno di avere più voce in capitolo di altri in merito alle scelte organizzative e didattiche dell’istituto (non li vede già svolazzare nei corridoi con la verità in tasca? Io sì…), e magari mineranno alla base la già scarsa coesione di categoria che ci caratterizza da sempre… no, di questi non abbiamo davvero alcun bisogno.

Sa di cosa avremmo realmente bisogno? Visto che proprio non se n’è accorto, provo ad aprirle gli occhi: anzitutto di dignità. Abbiamo urgente bisogno che si ricostruisca lo spessore del nostro ruolo professionale, che esso venga valorizzato, promosso, difeso. Abbiamo bisogno di un riconoscimento sociale che passi anche e anzitutto per una gratificazione economica, stipendiale, adeguata al carico di lavoro che portiamo avanti ogni giorno, mattina e pomeriggio (e pure notte, spesso), e a tutta la fatica e i sacrifici che abbiamo affrontato (e continuiamo ad affrontare) per aggiornarci e stare al passo.

Bella la storia dell’insegnamento come missione, ha il suo fascino da social. I primi anni di insegnamento ha abbindolato anche me, poi mi sono svegliata dalla sbornia e ho capito il raggiro: non sono una volontaria, sono una professionista. Il potenziale umanitario che il mio mestiere richiede (soprattutto in termini di competenze relazionali, sociologiche, psicologiche) è un’altra storia, ma ciò non toglie che il mio sia un mestiere, che va pagato per ciò che valgo, che mi costa, che faccio.

Abbiamo bisogno di una formazione e di un aggiornamento seri, rigorosi, non risibili come spesso ci succede di considerare alcuni corsi di una inutilità mostruosa, fatti per pagare i sedicenti formatori e per mortificare la vita professionale (e, perché no?, pure quella privata, messa duramente alla prova) dei corsisti.

Abbiamo bisogno di figure di supporto stabili all’interno della scuola, che facciano quello che non sappiamo fare, che non ci tocca fare e che non ci tocca nemmeno imparare a fare. Perché non è che ci si possa chiedere di imparare tutto, eh! Abbiamo bisogno, almeno almeno, di uno psicologo e di uno o più mediatori culturali e linguistici. Professionisti stabili, con ore e ore da destinare alle infinite esigenze di una popolazione scolastica variegata, complessa, cangiante. Difficile.

Abbiamo bisogno di un contratto che riconosca, una buona volta, tutto il lavoro sommerso che siamo stanchi di fare e di far bene nel silenzio assordante. Centinaia di ore regalate ogni anno, letteralmente, ignorate, ore di lavoro accurato, costoso, tolte a tanto altro. Ore di lezioni progettate, di documenti e relazioni minuziose, di compiti corretti e preparati, ore “dietro le quinte” per svolgere al meglio i ruoli di coordinatori di classe, responsabili di plesso, di dipartimento, referenti di progetto, collaboratori della dirigenza, figure strumentali, e chi più ne ricorda, più ne aggiunga. Ore gratuite, o retribuite scandalosamente poco. Una vergogna.

Abbiamo bisogno di un progetto coraggioso, serio, di edilizia scolastica.

Abbiamo bisogno di essere reclutati sulla base di prove che permettano di dimostrare la nostra preparazione culturale, in modo approfondito, non la nostra abilità a mettere crocette in un tot. E vai che ci colgo pure se sono fortunato.

Abbiamo bisogno di essere controllati, valutati, scelti, mandati a casa (se non siamo adeguati al ruolo), aggiornati, con un rigore da far tremare i polsi a chi vuole diventare insegnante.

Guardi, che lei si sia inventato questa furbata del docente esperto pur di non rinnovare il contratto lo abbiamo capito tutti. E io spero che si renda conto in tempo del passo falso, magari con l’aiuto di una mobilitazione popolare oceanica, che faccia tremare l’inizio delle lezioni.

Ma, intanto, le chiedo una cosa, e chiudo: ma lei ce l’ha a cuore la serenità e la qualità del lavoro dei suoi docenti? No perché mi viene da pensare che, se non ha a cuore le nostre, non le stanno a cuore nemmeno quelle dei suoi studenti, e questo è più grave. Perché se uno non lavora, potendolo fare, per garantire la massima qualità del proprio sistema scolastico, quello che prepara i futuri cittadini (non si dice così?), vuol dire due cose: o non sa fare il suo mestiere, oppure non trova conveniente avere dei cittadini colti, preparati, pensanti.

Scelga lei.

Cordiali saluti da un’insegnante.☺

 

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