il molise è vivo   di Francesco De Lelis
4 Ottobre 2013 Share

il molise è vivo di Francesco De Lelis

 

Il Molise è vivo e – parafrasando uno slogan di altri tempi – lotta insieme a noi. Il moto di reazione quando ho letto l'articolo di Sabrina sul numero dello scorso settembre (dal titolo amore e rabbia) è stato immediato, tant'è che quelle sue parole di rabbia hanno continuato a ronzarmi in testa, e alla fine mi sono convinto a scrivere questa risposta. Perché la mia esperienza personale degli ultimi tempi mi ha portato a una conclusione diametralmente opposta al suo “il Molise è morto”.

Il Molise è vivo, mi sono ripetuto tante volte ultimamente, mentre me ne convincevo sempre di più. Eppure, anche io come Sabrina (da quel che mi sembra di capire) faccio parte di quella razza di studenti o ex-studenti che sembra non poter avere un posto nella sua terra di origine. Un posto non solo lavorativo, ma apparentemente anche una collocazione sociale, che valorizzi i nostri saperi e le nostre esperienze. Sradicati e sospesi, spesso ci chiediamo: ma io che ci faccio qua? Tutto questo rafforza la tesi di quei tanti che si sono ormai convinti che non c'è più niente da fare, se non andarsene (chi può), o pensare a sistemare se stessi, uniche scelte possibili una volta constatato il decesso del malato. E allora? Dove sta questa vivacità? Come è possibile ri-amare questo Molise non come qualcosa di ormai perduto per sempre, da relegare alla nostalgia e ai periodi di vacanza?

Saranno stati i compagni di strada con cui ho camminato negli ultimi tempi, saranno state le letture, gli incontri fatti, ma io, senza credere ai miracoli, non me la sento proprio di dire che “il Molise è morto”. Forse mi accontento di poco, forse sono troppo ingenuo, ma io lo vedo già un altro Molise, il cambiamento (la rivoluzione?) in corso. Mi basta vedere i tanti focolai di resistenza al malaffare e allo sviluppo imposto dall'alto (a partire dall'esistenza stessa di questo giornale, ma anche, per fare solo qualche esempio, la lotta per l'acqua pubblica combattuta, e finora vinta, a Termoli, la mobilitazione contro le manze Granarolo, ecc.); mi basta conoscere i “vecchi” e nuovi contadini (spesso anche loro ex-emigrati che tornano) che praticano un'idea diversa di agricoltura e quindi, con grande consapevolezza, trasformano il territorio, riappropriandosi delle sementi, dicendo no alla chimica, alle pale eoliche, ai ricatti dell'agroindustria, aprendo le fattorie ai bambini e alle famiglie, restituendo ai cittadini il rapporto diretto con il cibo e con chi lo produce; mi basta fare un pezzo di strada con gente che ricomincia (o forse non aveva mai smesso) a camminare i tratturi, recuperando le tradizioni che li attraversavano per trasmetterle ai più giovani; mi basta una passeggiata tra i sentieri di un bosco insieme a persone che lo amano e se ne prendono cura, spiegandomi quanto la sua conoscenza e tutela siano importanti per l'esistenza stessa della nostra vita; mi basta incontrare di tanto in tanto persone che conoscono a fondo il patrimonio storico, culturale e artistico del Molise e con passione, senza aspettare finanziamenti milionari dalla Regione, mettono in piedi piccoli progetti per la valorizzazione e la trasmissione di saperi non dimenticati, ma ormai ignorati da tanti; o ancora, esperienze comunitarie dove migranti e rifugiati, pur tra mille difficoltà, contaminano e arricchiscono la vita del territorio che abitano, contribuendo anche al suo benessere materiale.

Ma poi davvero altrove le cose vanno molto meglio? Se il sistema che impoverisce le nostre regioni e ci “costringe” ad emigrare è poi lo stesso che per tanti significa una vita da precari, sfruttati o disoccupati in una grande città o all'estero, non vale forse la pena di cominciare a re-immaginare il nostro futuro a partire da queste esperienze semplici eppure “ribelli”?

Per chi ancora ci sperava, la fine dell'era Iorio e l'avvicendamento di nuovi amministratori regionali hanno dimostrato, se ce ne fosse stato ancora il bisogno, che cambiano i reggenti, ma non il sistema che li deleghiamo a governare. Non ce l'ho affatto con Sabrina e con chi la vede come lei, anzi, questo è un richiamo che faccio prima di tutto a me stesso, perché come tutti spesso sono tentato anch'io dal disfattismo. Quello che, mi dico, dovremmo cercare di fare, e che già in tanti praticano quotidianamente, lo ha espresso perfettamente Paul Goodman, scrittore e intellettuale anarchico: “Immagina di aver realizzato la rivoluzione di cui oggi parli e sogni. Immagina che la tua parte abbia vinto, e che si sia realizzato il tipo di società che volevi. Come vivresti, tu personalmente, in quella società? Bene, comincia a vivere in quel modo, adesso! Qualunque cosa faresti, falla adesso. E quando incontrerai ostacoli, persone o cose che non ti lasceranno vivere in quel modo, allora comincia a pensare a come passare sopra, sotto o di lato quegli ostacoli, o a come rimuoverli dalla strada: allora la tua politica sarà concreta e pratica”.

Vista così, la sorte del Molise non è poi così funerea.☺

francescodelellis@autistici.org

 

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