il nobel all'europa di Giovanni Di Stasi | La Fonte TV
Il 10 dicembre scorso l'Unione Europea ha ricevuto il premio Nobel 2012 per la pace per aver "contribuito a trasformare la maggior parte dell'Europa da un continente di guerra in un continente di pace" .
All'annuncio del premio, avvenuto a Oslo il 12 ottobre, sono seguite reazioni critiche, delle quali è opportuno dar conto citandone un paio:
– il Telegraph, in linea con il consolidato euro-scetticismo britannico, ha subito sentenziato: “l'Unione Europea ha vinto il Premio Nobel per la Pace nonostante un anno segnato da rivolte nelle strade di molte capitali e la prospettiva incombente di una brusca rottura nel bel mezzo di una crisi economica causata dall'euro”;
– Perez Esquivel, premio Nobel per la pace nel 1980 per il suo impegno contro la dittatura Argentina, ha rincarato la dose dicendo: "Un premio senza senso: un riconoscimento per la pace dato a chi fa la guerra. No, il mio consenso non lo avranno mai".
Questi due giudizi non saranno certamente piaciuti a Thorbiorn Jagland, Presidente del Comitato Norvegese del Premio Nobel e Segretario Generale del Consiglio d'Europa, come non gli sarà piaciuta la sottolineatura del fatto che dalla Norvegia, della quale Jagland è stato Primo Ministro, arrivano apprezzamenti per l'Unione Europea, ma non la richiesta di adesione alla stessa.
Per parte nostra, non abbiamo difficoltà a riconoscere che tutte queste osservazioni critiche hanno un fondamento, ma dobbiamo aggiungere che esse nulla tolgono al valore della scelta fatta a Oslo. In una fase storica nella quale si tende ad ancorare il giudizio sulle istituzioni europee alle quotidiane difficoltà e contraddizioni dell'Unione Europea, appare assai utile un messaggio capace di richiamare sulla scena una vicenda storica che in pochi decenni ha capovolto il profilo geopolitico ed etico del vecchio continente.
Appare utile proprio perché nella nostra memoria collettiva si vanno affievolendo i contorni di un'Europa preda di opposti e feroci assolutismi per i quali la vita dei cittadini era tenuta nel massimo disprezzo; perché lasciamo agli impolverati libri di storia il compito di ricordare che i rapporti tra i popoli europei erano stati regolati per molti secoli sui sanguinosi campi di battaglia anziché intorno ai tavoli della diplomazia; perché riusciamo perfino a tollerare teorie che negano la verità storica degli stermini di massa. E poi ci meravigliamo che il sogno europeo di Ventotene scivoli lentamente verso la periferia del nostro cuore!
Il Premio Nobel per la pace, assegnato all'Unione Europea, ci aiuta a riflettere sul valore storico della costruzione europea e sul fatto che, attraverso l'Unione Europea ed il Consiglio d'Europa, siamo riusciti a realizzare uno spazio continentale di convivenza civile, di libertà, di democrazia. Un continente nel quale milioni di cittadini erano stati sterminati, ha cancellato, con l'eccezione della Bielorussia, la barbara pratica della pena di morte.
Quando il Comitato per il Nobel afferma di voler premiare l'UE per aver contribuito a “trasformare la maggior parte dell'Europa da un continente di guerra in un continente di pace" esprime, dunque, un giudizio fondato ed incontrovertibile e ci pone di fronte alle nostre responsabilità. Se è vero, infatti, che con il processo di costruzione europea abbiamo avviato un'opera imponente e preziosa, non possiamo sottrarci al dovere di implementare quel processo di costruzione perché l'Unione Europea sta attraversando una fase di turbolenza finanziaria, economica, sociale e perfino di smarrimento valoriale.
Al contrario, dobbiamo ripartire dall'immenso valore del progetto europeo fin qui realizzato e portarlo a compimento perseguendo con nuovo slancio l'obiettivo di realizzare in questo decennio gli Stati Uniti d'Europa. La costruzione politico-istituzionale incompiuta di cui disponiamo si è rivelata assai utile per il superamento dei conflitti bellici tra i popoli, per lo sviluppo di una crescente cooperazione e la condivisione di fondamentali valori civili ed etici. Essa, però, non è sufficiente per dare al vecchio continente una coesione economica, sociale e territoriale che consenta a tutti gli europei di godere concretamente dei diritti fondamentali contenuti nella Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo del Consiglio d'Europa e nella Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea.
Il Premio Nobel per la Pace assegnato all'Unione Europea è, dunque, un riconoscimento dell'alto valore del compito fin qui svolto dall'Unione Europea, ma è sopratutto un formidabile stimolo a portarlo a termine.
In quel Premio Nobel c'è anche l'implicito invito ai Norvegesi ad essere presenti nella prossima foto storica dell'Unione Europea e l'auspicio inespresso che gli inglesi assumano un atteggiamento più European e meno British quando quella foto sarà scattata.☺
giovanni.distasi@gmail.com
Il 10 dicembre scorso l'Unione Europea ha ricevuto il premio Nobel 2012 per la pace per aver "contribuito a trasformare la maggior parte dell'Europa da un continente di guerra in un continente di pace" .
All'annuncio del premio, avvenuto a Oslo il 12 ottobre, sono seguite reazioni critiche, delle quali è opportuno dar conto citandone un paio:
– il Telegraph, in linea con il consolidato euro-scetticismo britannico, ha subito sentenziato: “l'Unione Europea ha vinto il Premio Nobel per la Pace nonostante un anno segnato da rivolte nelle strade di molte capitali e la prospettiva incombente di una brusca rottura nel bel mezzo di una crisi economica causata dall'euro”;
– Perez Esquivel, premio Nobel per la pace nel 1980 per il suo impegno contro la dittatura Argentina, ha rincarato la dose dicendo: "Un premio senza senso: un riconoscimento per la pace dato a chi fa la guerra. No, il mio consenso non lo avranno mai".
Questi due giudizi non saranno certamente piaciuti a Thorbiorn Jagland, Presidente del Comitato Norvegese del Premio Nobel e Segretario Generale del Consiglio d'Europa, come non gli sarà piaciuta la sottolineatura del fatto che dalla Norvegia, della quale Jagland è stato Primo Ministro, arrivano apprezzamenti per l'Unione Europea, ma non la richiesta di adesione alla stessa.
Per parte nostra, non abbiamo difficoltà a riconoscere che tutte queste osservazioni critiche hanno un fondamento, ma dobbiamo aggiungere che esse nulla tolgono al valore della scelta fatta a Oslo. In una fase storica nella quale si tende ad ancorare il giudizio sulle istituzioni europee alle quotidiane difficoltà e contraddizioni dell'Unione Europea, appare assai utile un messaggio capace di richiamare sulla scena una vicenda storica che in pochi decenni ha capovolto il profilo geopolitico ed etico del vecchio continente.
Appare utile proprio perché nella nostra memoria collettiva si vanno affievolendo i contorni di un'Europa preda di opposti e feroci assolutismi per i quali la vita dei cittadini era tenuta nel massimo disprezzo; perché lasciamo agli impolverati libri di storia il compito di ricordare che i rapporti tra i popoli europei erano stati regolati per molti secoli sui sanguinosi campi di battaglia anziché intorno ai tavoli della diplomazia; perché riusciamo perfino a tollerare teorie che negano la verità storica degli stermini di massa. E poi ci meravigliamo che il sogno europeo di Ventotene scivoli lentamente verso la periferia del nostro cuore!
Il Premio Nobel per la pace, assegnato all'Unione Europea, ci aiuta a riflettere sul valore storico della costruzione europea e sul fatto che, attraverso l'Unione Europea ed il Consiglio d'Europa, siamo riusciti a realizzare uno spazio continentale di convivenza civile, di libertà, di democrazia. Un continente nel quale milioni di cittadini erano stati sterminati, ha cancellato, con l'eccezione della Bielorussia, la barbara pratica della pena di morte.
Quando il Comitato per il Nobel afferma di voler premiare l'UE per aver contribuito a “trasformare la maggior parte dell'Europa da un continente di guerra in un continente di pace" esprime, dunque, un giudizio fondato ed incontrovertibile e ci pone di fronte alle nostre responsabilità. Se è vero, infatti, che con il processo di costruzione europea abbiamo avviato un'opera imponente e preziosa, non possiamo sottrarci al dovere di implementare quel processo di costruzione perché l'Unione Europea sta attraversando una fase di turbolenza finanziaria, economica, sociale e perfino di smarrimento valoriale.
Al contrario, dobbiamo ripartire dall'immenso valore del progetto europeo fin qui realizzato e portarlo a compimento perseguendo con nuovo slancio l'obiettivo di realizzare in questo decennio gli Stati Uniti d'Europa. La costruzione politico-istituzionale incompiuta di cui disponiamo si è rivelata assai utile per il superamento dei conflitti bellici tra i popoli, per lo sviluppo di una crescente cooperazione e la condivisione di fondamentali valori civili ed etici. Essa, però, non è sufficiente per dare al vecchio continente una coesione economica, sociale e territoriale che consenta a tutti gli europei di godere concretamente dei diritti fondamentali contenuti nella Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo del Consiglio d'Europa e nella Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea.
Il Premio Nobel per la Pace assegnato all'Unione Europea è, dunque, un riconoscimento dell'alto valore del compito fin qui svolto dall'Unione Europea, ma è sopratutto un formidabile stimolo a portarlo a termine.
In quel Premio Nobel c'è anche l'implicito invito ai Norvegesi ad essere presenti nella prossima foto storica dell'Unione Europea e l'auspicio inespresso che gli inglesi assumano un atteggiamento più European e meno British quando quella foto sarà scattata.☺
Il 10 dicembre scorso l'Unione Europea ha ricevuto il premio Nobel 2012 per la pace per aver "contribuito a trasformare la maggior parte dell'Europa da un continente di guerra in un continente di pace" .
All'annuncio del premio, avvenuto a Oslo il 12 ottobre, sono seguite reazioni critiche, delle quali è opportuno dar conto citandone un paio:
– il Telegraph, in linea con il consolidato euro-scetticismo britannico, ha subito sentenziato: “l'Unione Europea ha vinto il Premio Nobel per la Pace nonostante un anno segnato da rivolte nelle strade di molte capitali e la prospettiva incombente di una brusca rottura nel bel mezzo di una crisi economica causata dall'euro”;
– Perez Esquivel, premio Nobel per la pace nel 1980 per il suo impegno contro la dittatura Argentina, ha rincarato la dose dicendo: "Un premio senza senso: un riconoscimento per la pace dato a chi fa la guerra. No, il mio consenso non lo avranno mai".
Questi due giudizi non saranno certamente piaciuti a Thorbiorn Jagland, Presidente del Comitato Norvegese del Premio Nobel e Segretario Generale del Consiglio d'Europa, come non gli sarà piaciuta la sottolineatura del fatto che dalla Norvegia, della quale Jagland è stato Primo Ministro, arrivano apprezzamenti per l'Unione Europea, ma non la richiesta di adesione alla stessa.
Per parte nostra, non abbiamo difficoltà a riconoscere che tutte queste osservazioni critiche hanno un fondamento, ma dobbiamo aggiungere che esse nulla tolgono al valore della scelta fatta a Oslo. In una fase storica nella quale si tende ad ancorare il giudizio sulle istituzioni europee alle quotidiane difficoltà e contraddizioni dell'Unione Europea, appare assai utile un messaggio capace di richiamare sulla scena una vicenda storica che in pochi decenni ha capovolto il profilo geopolitico ed etico del vecchio continente.
Appare utile proprio perché nella nostra memoria collettiva si vanno affievolendo i contorni di un'Europa preda di opposti e feroci assolutismi per i quali la vita dei cittadini era tenuta nel massimo disprezzo; perché lasciamo agli impolverati libri di storia il compito di ricordare che i rapporti tra i popoli europei erano stati regolati per molti secoli sui sanguinosi campi di battaglia anziché intorno ai tavoli della diplomazia; perché riusciamo perfino a tollerare teorie che negano la verità storica degli stermini di massa. E poi ci meravigliamo che il sogno europeo di Ventotene scivoli lentamente verso la periferia del nostro cuore!
Il Premio Nobel per la pace, assegnato all'Unione Europea, ci aiuta a riflettere sul valore storico della costruzione europea e sul fatto che, attraverso l'Unione Europea ed il Consiglio d'Europa, siamo riusciti a realizzare uno spazio continentale di convivenza civile, di libertà, di democrazia. Un continente nel quale milioni di cittadini erano stati sterminati, ha cancellato, con l'eccezione della Bielorussia, la barbara pratica della pena di morte.
Quando il Comitato per il Nobel afferma di voler premiare l'UE per aver contribuito a “trasformare la maggior parte dell'Europa da un continente di guerra in un continente di pace" esprime, dunque, un giudizio fondato ed incontrovertibile e ci pone di fronte alle nostre responsabilità. Se è vero, infatti, che con il processo di costruzione europea abbiamo avviato un'opera imponente e preziosa, non possiamo sottrarci al dovere di implementare quel processo di costruzione perché l'Unione Europea sta attraversando una fase di turbolenza finanziaria, economica, sociale e perfino di smarrimento valoriale.
Al contrario, dobbiamo ripartire dall'immenso valore del progetto europeo fin qui realizzato e portarlo a compimento perseguendo con nuovo slancio l'obiettivo di realizzare in questo decennio gli Stati Uniti d'Europa. La costruzione politico-istituzionale incompiuta di cui disponiamo si è rivelata assai utile per il superamento dei conflitti bellici tra i popoli, per lo sviluppo di una crescente cooperazione e la condivisione di fondamentali valori civili ed etici. Essa, però, non è sufficiente per dare al vecchio continente una coesione economica, sociale e territoriale che consenta a tutti gli europei di godere concretamente dei diritti fondamentali contenuti nella Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo del Consiglio d'Europa e nella Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea.
Il Premio Nobel per la Pace assegnato all'Unione Europea è, dunque, un riconoscimento dell'alto valore del compito fin qui svolto dall'Unione Europea, ma è sopratutto un formidabile stimolo a portarlo a termine.
In quel Premio Nobel c'è anche l'implicito invito ai Norvegesi ad essere presenti nella prossima foto storica dell'Unione Europea e l'auspicio inespresso che gli inglesi assumano un atteggiamento più European e meno British quando quella foto sarà scattata.☺
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