Sostegno alla crescita
2 Ottobre 2014 Share

Sostegno alla crescita

L’Europa, che dal 2008 è stata contagiata dalla crisi dei subprime americani, ha scoperto di essere molto più fragile di quanto credesse. È bastato uno scossone dall’esterno per rompere i precari equilibri che mantenevano in piedi la sua struttura finanziaria, economica e sociale. L’assenza di solide istituzioni comuni a livello continentale ha fatto il resto, impedendo di dare una risposta unitaria, pronta ed efficace, alla prima onda d’urto e gettando nel panico i singoli paesi europei, i quali, invece di unire le forze, hanno adottato la tecnica del “si salvi chi può”.

Se, in quel contesto, non ci fosse stata una moneta comune e i vincoli che essa crea per ciascuno dei paesi dell’eurozona, la sopravvivenza stessa dell’Unione Europea sarebbe stata a rischio. Per necessità, più che per scelta, e solo in data 12 marzo 2012, è stato firmato il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione Europea, meglio noto come “fiscal compact”. Non c’è dubbio che il fiscal compact è stato indispensabile per contrastare gli attacchi speculativi sull’euro e sui debiti sovrani dei paesi più esposti tra quelli che lo avevano adottato. È però altrettanto evidente che la sua applicazione ha comportato cambiamenti profondi che stanno producendo lacerazioni dolorose nel tessuto sociale, senza peraltro risolvere nel breve e medio periodo il problema cruciale dell’intero spazio europeo: il mancato sviluppo ed il conseguente dramma della disoccupazione.

Si sta capendo con molta fatica e con molto ritardo che l’austerità, derivante dal fiscal compact in vigore, è insostenibile ed è ormai chiaro che a questo strumento bisogna affiancare interventi mirati allo sviluppo e all’occupazione in tutti i paesi europei,  con l’obiettivo esplicito  di ridurre i divari esistenti tra le varie aree del continente. Ed è qui che il dramma si fa farsa. Scendono in campo coloro che si oppongono all’austerità, si fanno sentire i propugnatori degli investimenti della crescita e dell’occupazione, qualcuno vuole il rigore purché sia flessibile, qualcun altro vuole gli investimenti, ma a patto che ogni paese ne sopporti l’onere in proprio. Ce n’è abbastanza per dire che bisogna smetterla di recitare cento parti in commedia e bisogna che l’UE  intervenga  per garantire la stabilità con un fiscal compact più intelligente e meno amorale e, contemporaneamente, per promuovere la crescita con investimenti massicci e immediati.

Se è vero che l’intero continente europeo, Germania compresa, è in difficoltà, si metta in moto in tutti i paesi europei un processo riformatore capace di tagliare inefficienze, sprechi e privilegi, si metta in atto una lotta efficace contro l’evasione, la corruzione e l’economia illegale, si usi la leva fiscale per ridurre la distanza tra chi ha troppo e chi ha troppo poco. Si faccia spazio ad una società delle opportunità per tutti e del riconoscimento del merito per chi ne è titolare. Si restituisca respiro alla cultura, alla creatività e alla capacità di innovare in tutti i campi. Tutto questo si inserisca in un processo solidale, cooperativo e sinergico in cui ognuno dei paesi europei metta a disposizione le sue esperienze migliori. Si rinunci ad una applicazione esclusivamente ragionieristica del fiscal compact e lo si trasformi in leva fondamentale del cambiamento necessario per rendere più giusta la società europea e più vicina, forte e duratura la ripresa che verrà.

Contestualmente, e non dopo, si definiscano le strategie di sostegno alla crescita e all’occupazione, partendo da un paio di iniziative che sono state messe in campo e per il cui successo serve sia il sostegno dei governanti, sia quello dei cittadini.

La prima iniziativa da sostenere e perfezionare è quella del nuovo presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, il quale ha dichiarato: “La prima priorità è rafforzare la competitività e stimolare gli investimenti. Nei primi tre mesi, presenterò un ambizioso pacchetto per lavoro, crescita e investimenti che attraverso la Bei e il bilancio europeo mobilizzerà fino a 300 miliardi in tre anni”. Siamo di fronte ad un impegno che va nella direzione giusta, ma che ha bisogno di correttivi e precisazioni. La più importante delle correzioni da apportare al progetto Juncker riguarda l’ammontare degli stanziamenti, perché uno stanziamento di 300 miliardi di euro in tre anni sarebbe decisamente insufficiente per il raggiungimento degli obiettivi dichiarati. La principale delle precisazioni attese è relativa al reperimento dei fondi in questione. Si tratta di somme aggiuntive o di una rimodulazione degli stanziamenti già decisi? Sono soldi interamente pubblici o comprendono anche i previsti cofinanziamenti privati?

La seconda e ben più utile iniziativa è partita con una raccolta di firme, tuttora in corso, in calce alla proposta di incrementare le risorse proprie del bilancio europeo tramite una tassa sulle transazioni finanziarie e una carbon tax. Si tratterebbe di circa 80-100 miliardi aggiuntivi di euro per anno da destinare agli investimenti e all’occupazione.

L’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) si chiama “New Deal 4 Europe” e va fortemente sostenuta con una valanga di firme.

Il Piano Juncker e il New Deal 4 Europe hanno bisogno della pressione e della vigilanza democratica perché vengano entrambi definiti ed attuati tempestivamente e correttamente per offrire una prospettiva nuova e migliore a tutti gli europei. Se, poi, le forze politiche volessero provare a ricollegarsi ai cittadini ed attuarne, anche a livello europeo, le indicazioni, tutto diventerebbe più semplice. Ma su questa volontà non nascondo di avere qualche dubbio.☺

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