Il vino blu
18 Settembre 2020
laFonteTV (3191 articles)
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Il vino blu

“Un tuffo dove l’acqua è più blu… Niente di più”. Cosi si cantava un po’ di tempo fa e con il caldo di questa estate è certamente invitante un tuffo: ma cosa direste se invece dell’acqua ci tuffassimo nel vino?

Quando si pensa al blu si pensa al firmamento di notte, ai piccoli buffi Puffi, al Curaçao che colora i cocktail dell’estate o al mare dalle coste rocciose, ma mai e poi mai si penserebbe al vino! E invece ci si può rinfrescare gustando un ottimo calice di ghiacciato vino blu. Idea malsana o trovata geniale, il merito o il demerito, va ad una start up spagnola formata da “quattro amici al bar”, non vignaioli né tantomeno enologi bensì giovani ingegneri “che volevano cambiare il mondo”… del vino, cambiare le regole di uno dei settori più antichi, rigidi e tradizionali, soprattutto in Europa, introducendo l’innovazione anche nella – altrimenti intatta da secoli – produzione del vino. Così, partiti nel 2014, i ragazzi della Gik, hanno cominciato a studiare il modo di poter innovare lavorando per alterare il colore, passando dai soli e inevitabili rosso e bianco a un più moderno blu ottenuto mescolando uve bianche e rosse vinificate in bianco senza zuccheri aggiunti (come se fosse normale aggiungerli) e aggiungendo pigmenti naturali blu (antocianine e indaco) contenuti nelle bucce, scomposti in laboratorio solo per prelevare la parte blu. Il solo pensiero, inutile dirlo, ha fatto rizzare i capelli a enologi e sommelier di tutto il mondo, che non solo hanno considerato il colore blu una blasfemia fatta e finita, ma hanno anche trovato il vino di qualità decisamente scarsa. Tutte le sommeller italiane ed europee hanno alzato gli scudi contro un prodotto che è stato studiato per i Millennials, allargato però a una forbice generazionale tra i 22 e 34 anni, con focus sul mercato inglese. Gli esperti di marketing considerano  i giovani di quella fascia, quelli inglesi soprattutto, un segmento influenzabile e ancora non influente, come dire clienti che non capiscono di vino. Mah! La start up si difende chiamando in causa gli orange wine; peccato che questi ultimi derivino da una  filosofia naturalmente enologica e non da uno zip di Photoshop.

Ma di cosa sa il Gik? Al naso ha un profumo di lavanda netto e franco. In realtà ricorda più un detersivo alla lavanda che il fiore dei campi, aromi secondari o terziari inesistenti. Al palato, indubbiamente, funziona, è armonioso e intenso, un po’ troppo dolce forse ma tutto sommato “gira” abbastanza bene. Sa effettivamente di vino. È fresco, acidità accennata ma non intensa, e nella persistenza si evidenzia una nota sapida che ricorda un po’ le caramelle gommose.

Nel complesso non una grande esperienza sensoriale. Un vino senza infamia e senza lode, la cui peculiarità degna di nota è semplicemente la sua sfumatura color Tiffany. Tanto basta per promuoverlo come un vino fresco ed estivo, che ricorda il Mar Mediterraneo, originale e sorprendente. Chissà che con uno spumante blu non brinderemo alla fine del 2020! Cheers!

 

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