Ipse dixit
20 Ottobre 2017
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Ipse dixit

Settembre è arrivato, con lui i primi temporali, e con loro i primi disagi, allagamenti, frane, alluvioni, un po’ ovunque: Livorno, Roma, Avellino, etc. Ipse dixit, in volgare dicett’ chill’, (vedi lo scorso numero).

Purtroppo, “…non c’è nulla di naturale, in un disastro naturale. Dovremmo ricordarci che la responsabilità massima (che è della politica, cioè di tutti noi) è nella mancanza di prevenzione, manutenzione del suolo …” quanto rilasciato da Salvatore Settis in una recente intervista. Ancora, nel rapporto datato 2015 dell’ISPRA sui dissesti idrogeologici, si determina che l’Italia ha un 19% di superficie del territorio interessato a frane, mentre le alluvioni vanno da un minimo di pericolosità che interessa il 10% del territorio ad uno scenario di massima pericolosità che arriva al 4% del territorio. Apparentemente piccoli numeri, ma se sommiamo le aree soggette a frana con rischio medio/alto, e le aree a rischio idraulico medio, queste corrispondono all’88% dei comuni italiani da Nord a Sud.

Ma soprattutto, nell’introduzione del rapporto si dichiara “coraggiosamente” che “le attuali condizioni di rischio idrogeologico in Italia sono legate sia alle caratteristiche geologiche, morfologiche e idrografiche del territorio, sia al forte incremento, a partire dagli anni ’50, delle aree urbanizzate, industriali e infrastrutturali, che spesso è avvenuto in assenza di una corretta pianificazione territoriale e con alte percentuali di abusivismo”.

Quindi? Ritornando al Settis, abbiamo visto come finora la responsabilità politica è stata alta, per ogni ente preposto. Basta citare la Provincia: sorta, istituzionalmente parlando, per occuparsi di strade, scuole e ambiente, è stata utilizzata come trampolino di lancio o paracadute per i moderni feudatari, e i risultati sono evidenti, sotto gli occhi di tutti.

Se vogliamo considerare la prevenzione, stavolta non c’è da disperarsi, apparentemente. I soldi ci sono (almeno così pare): 7,7 miliardi di euro da spendere entro il 2023 per rinforzare argini, costruire scolmatori e casse di espansione per le piene, allargare i canali tombati, tirar su muri di contenimento. Per fare, dunque, ciò che avrebbe evitato le stragi da nubifragio del passato, e forse anche quella di Livorno. Quelli che mancano, e non è poco, sono i progetti esecutivi, per accelerare i tempi ed eliminare i tanti progetti pervenuti ma solo con l’etichetta: “preliminare”, “studio di fattibilità”, “in fase istruttoria”.

Negli ultimi cinquanta anni in Italia la maggior parte dei fiumi è stata purtroppo solo oggetto di aggressioni da parte dell’uomo che ne ha modificato radicalmente assetti e dinamiche. I corsi d’acqua sono stati considerati, e in molti casi trasformati in canali, ignorando che si tratta di ecosistemi naturali regolati non solo dalle leggi dell’idraulica. La biodiversità di questi ambienti si è drasticamente ridotta e con essa la funzionalità ecologica che li caratterizza. E quello che si prospetta dai finanziamenti dello Stato è un ripetersi di opere spesso inutili oltre che dannose.☺

 

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