la brocca rotta    di Michele Tartaglia
29 Settembre 2012 Share

la brocca rotta di Michele Tartaglia

 

Sono ormai passati venti anni da quando nel panorama politico italiano è giunto al culmine un processo di erosione della credibilità della politica. La storia seguente è stata fatta di effimere speranze e di uomini della provvidenza che si sono rivelati solo il prodotto di scarto dell’abbuffata precedente, mettendo in evidenza il vuoto pauroso di idee contro il quale solo isolate voci profetiche come Carlo Maria Martini hanno posto un tentativo di argine, mentre altri suoi “illustri” colleghi continuavano a martellare sulle fondamenta della società con inciuci e pretese di essere guide di ciechi, rivelatesi altrettanto cieche e poco lungimiranti perché per nulla  profetiche. La fine di una lunga stagione politica è stata annunciata in modo impressionante da un uomo fatto prigioniero dai figli malati di un’ideologia: sto parlando di Aldo Moro, che dalla sua prigione prefigurò la fine del suo partito e di quel sistema di potere bigotto.

Mi è facile associare la figura di Moro al profeta Geremia, anch’egli pratico di imprigionamenti e persecuzioni, il quale, nonostante i rischi che correva, ha deciso di non tacere e quindi di denunciare anche con gesti simbolici, l’ingiustizia che si consumava nella società in cui viveva, annunciando la fine di quel mondo. Uno dei gesti compiuti dal profeta è quello della rottura di una brocca (Ger 19), che simboleggiava la fine del regno e il dramma dell’esilio. Il senso di quel gesto è che quell’oggetto rotto non potrà mai essere ricostruito per essere utile a contenere acqua. Sarà lo stesso profeta, tuttavia, ad annunciare anche la speranza, attraverso l’immagine di un germoglio (23,5-6) e una nuova alleanza, basata non su una legge tradita, ma su una convinzione profonda, generata da Dio stesso (31,31-34). L’imma- gine della brocca frantumata è molto adatta anche per noi, per descrivere la situazione di totale caos in quel che resta della politica ai nostri giorni, sia in Italia che in un’Europa che non riesce a completare un’unificazione politica essenziale per guidare il “drago” dell’economia.

Se guardiamo alla nostra situazione nazionale, è spaventoso pensare ad attori della politica che pensano solo a conservare la poltrona, mandando a rotoli l’impegno di ridare una parvenza di democrazia alle elezioni, incapaci di guidare la società in un momento cruciale della crisi mondiale, dovendosi affidare a tecnici che, nonostante le scelte a volte ingiuste, costituiscono tuttora il male minore nel panorama attuale. L’anatema lanciato da Moro più di trent’anni fa ha preannunciato la frantumazione attuale in cui sembra non esserci via d’uscita se non con un radicale stravolgimento dell’assetto istituzionale attuale, tenendo anche conto che la crisi italiana fa parte di una situazione globale altrettanto caotica. La lezione di Geremia che annuncia una speranza, la venuta di un “germoglio giusto” non ci consente di considerare irrimediabile la situazione in cui siamo. Il problema semmai è dove voltarci per trovare questo personaggio o questo progetto che possa rimettere insieme i cocci. Guardandoci intorno non pare esserci molta speranza e ripensando ai profeti biblici, quando essi annunciavano una rinascita, era sempre dopo la catastrofe. Probabilmente siamo ancora nella fase preesilica della politica, quasi a ridosso di un cataclisma che non si è ancora perfettamente consumato, in quanto troviamo sempre le stesse facce, persino dei contestatori, che sono stati sulla scena nell’ultimo ventennio.

La rinascita di Israele non è avvenuta a Gerusalemme ma a Babilonia, dove alcune menti illuminate hanno posto le basi per una società nuova, basata sull’ascolto della Parola e sul primato dell’etica. Se il meglio del pensiero politico italiano (la costituzione) è stato formulato sulle rovine della guerra, e dopo la caduta di un regime, non possiamo pensare che una vera rinascita possa avvenire a costo zero, semplicemente con una tornata elettorale. Chi ha a cuore il bene della società non deve solo elaborare dei programmi, ma essere disposto a seguire il popolo nell’esilio, come ha fatto Ezechiele e abbandonare la terra delle illusioni, come ha fatto Geremia, per poter partire dalla solidarietà che nasce dalla fame e dal lutto e rifondare un senso di comunione sociale ormai eclissato dal rumore dei centri commerciali e del gioco d’azzardo legalizzato e dilagante. La colla per rimettere insieme i cocci non sono i politici di turno o dei vuoti proclami elettorali, ma l’esperienza del limite che ci fa vedere nell’altro un fratello di sventura con cui essere solidale e insieme al quale costruire una società basata sul senso di corresponsabilità.☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

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