Molte sono le perplessità che La buona scuola (il documento programmatico in cui sono contenute le linee guida della prossima riforma della scuola, voluta dal governo Renzi) lascia in chi scorre i suoi 12 punti. Proviamo a sintetizzare.
L’abolizione delle graduatorie ad esaurimento e l’immissione in ruolo di 148mila precari (che sarebbero inseriti a vario titolo nel corpo docente titolare di cattedra) è cosa buona in sé, l’unico neo della questione è che il presidente non specifica con quali risorse verranno assunte queste persone; senza contare che, in ogni caso, sarà tagliato il fondo cui si attinge per tutte le attività extra e per le funzioni aggiuntive a quelle d’insegnamento. Altre restrizioni, dunque, all’arricchimento dell’offerta formativa. Anche se, a dirla tutta, più lavoro e cresco nella scuola della cosiddetta “auto- nomia”, più mi raffreddo all’idea che ogni anno bisogna tirar fuori il progetto dal cilindro. Si vede di tutto. Una stanca routine, in cui pochi lavorano seriamente (pochi docenti, dico) e molti arraffano semplicemente compensi aggiuntivi, senza produrre nulla che abbia un’effettiva ricaduta didattica e formativa sui ragazzi. Ho visto collaboratori scolastici (smaniosi di emergere, ben protetti da chi avrebbe dovuto tenerli a bada) preparare materiali didattici che poi sono stati spediti a concorsi e selezioni nazionali, e che sono stati spacciati per elaborati degli studenti. Vincere un premio val bene queste sciocchezze, vero?
Dunque, sebbene un fondo per le attività aggiuntive è cosa buona, io direi che è ora di smetterla di identificare la qualità della scuola con i “progetti”: possono essere utili, ma non quanto il lavoro di trincea (letteralmente trincea) in classe, che va privilegiato, in assoluto, e curato nei minimi dettagli, con una premura e un amore che non vedo.
Tornando a noi e alla “buona scuola” (buona, poi: perché, quella di prima faceva pena? Non le sembra un po’ offensivo, presidente in maniche di camicia?), c’è un altro punto interrogativo: come funzionerà la mobilità per i neoimmessi? Dove lavoreranno se nel territorio di residenza non ci saranno posti disponibili? Si rischierà di restare tagliati fuori dalla possibilità di un’ immissione in ruolo se non si accetta di trasferirsi, di punto in bianco, da Palermo a Forlì? Sono domande che nascono. Come quella, piuttosto inquietante, che riguarda il ruolo dei sindacati nella discussione su questo piano: perché non sono nominati, all’interno delle linee guida? Chi, dall’alto, si vanta di parlare direttamente al cittadino, eliminando i corpi intermedi (come può essere un sindacato), fa populismo, non democrazia. Ed è pericoloso, perché chi cerca così il consenso non porta mai nulla di buono, la storia lo insegna, sia quella più vecchia che quella più recente. Il sindacato (con tutti i suoi limiti ed errori) ha una visione globale, d’insieme delle problematiche e delle prospettive, che al singolo manca. Ma gli interrogativi non sono finiti.
Quello che mi sta più a cuore riguarda, in realtà, le modalità (nebulose o fin troppo chiare?) con cui saranno premiati, dal 2019, i docenti cosiddetti “meritevoli”, attraverso i famigerati “scatti di competenza” che sostituiranno quelli di anzianità, di cui tutti possono attualmente godere (e da che mondo è mondo) con il proprio servizio, gradualmente. Chi li sceglierà, questi docenti più bravi degli altri, che avranno uno stipendio più alto? I dirigenti, a quanto pare. E come saranno individuati? Grazie a corsi di aggiornamento, titoli, collaborazioni con la dirigenza. Ora, mi chiedo, anzi chiederei al presidente in maniche di camicia: ma lei ha un’idea della qualità dei nostri dirigenti, presidente? Sa che per la maggior parte (mi perdonino, ma sono nella scuola da 14 anni e qualcosina ho imparato) sono persone senza la più pallida idea di cosa sia una competenza relazionale e gestionale? Sa che, di norma, si circondano di una ristretta, eletta cerchia di collaboratori compiacenti che farebbero di tutto per mantenere il “prestigioso” e remunerativo ruolo di primo o secondo vice? Di funzione strumentale? Di responsabile del servizio tal dei tali? È da questi dirigenti (così obiettivi, così professionali, così limpidi e capaci) che devo vedere valutata la mia professionalità in vista di uno scatto di stipendio? Non distinguono un docente che butta il sangue da uno che butta fumo, non sanno mettere a posto uno che ne insulta ingiustamente un altro. Come possono avere anche la responsabilità di decidere in merito al mio avanzamento di carriera? Avanzamento, per giunta, che toccherà solo al 66% del corpo docente di ogni scuola, per cui il restante 34% sarà necessariamente considerato di serie B.
La levata di scudi da parte dei sindacati è già in corso. Si parla di una professione che non può essere svilita da queste meschinità: accaparrarsi l’ennesimo titolo (magari fasullo, magari comprato online) o strisciare ai piedi di un dirigente per arraffare gli ultimi spiccioli e guadagnarsi lo scatto di competenza. No! Un docente non può ridursi così! Siamo tutti indignati. Eh già. Io, forse un po’ meno. Mi sento più disincantata che indignata. Queste guerre intestine non le creerà Renzi. No. Renzi farà solo l’errore (o la geniale intuizione) di istituzionalizzare per legge quello che è già un diffuso atteggiamento di tanti docenti: la lotta per i compensi aggiuntivi c’è già, solo chi non insegna nella scuola può credere ancora alla favoletta dell’insegnante disinteressato, duro e puro. Forse uno su mille, sì. Ma molti, troppi altri no. E ammalano la scuola, loro sì. Poveri di risorse e competenze, di valori. Come i dirigenti che li coprono.
La buona scuola? Non so quale sarà, non so come verrà fuori da questa ennesima riforma. So che una buona scuola c’è già, è quella degli insegnanti onesti e laboriosi, che si rimettono in discussione ogni giorno e sanno chiudersi la porta alle spalle per dare ai ragazzi tutto quello che si può, per dar valore al proprio lavoro quotidiano, anche senza fare progetti (detto da una che ne ha fatti tanti). Ma so anche che c’è una cattiva scuola. E, per quanto Renzi non sia esattamente il tipo di “riformatore” che avrei voluto, non ci nascondiamo dietro ai suoi errori per dire che ci danneggerà: la scuola, buona o cattiva, la facciamo noi. La scuola l’abbiamo distrutta noi. E siamo noi e noi soltanto a poterle dare, invece, qualità. Finché non ci sarà una profonda riforma della mentalità e della qualità morale ed intellettuale della classe insegnante, oggi assai in declino, ogni riforma sarà una cattiva riforma, e la scuola rimarrà una cattiva scuola. Con buona pace di Renzi e della sue camicie bianche.☺
Molte sono le perplessità che La buona scuola (il documento programmatico in cui sono contenute le linee guida della prossima riforma della scuola, voluta dal governo Renzi) lascia in chi scorre i suoi 12 punti. Proviamo a sintetizzare.
L’abolizione delle graduatorie ad esaurimento e l’immissione in ruolo di 148mila precari (che sarebbero inseriti a vario titolo nel corpo docente titolare di cattedra) è cosa buona in sé, l’unico neo della questione è che il presidente non specifica con quali risorse verranno assunte queste persone; senza contare che, in ogni caso, sarà tagliato il fondo cui si attinge per tutte le attività extra e per le funzioni aggiuntive a quelle d’insegnamento. Altre restrizioni, dunque, all’arricchimento dell’offerta formativa. Anche se, a dirla tutta, più lavoro e cresco nella scuola della cosiddetta “auto- nomia”, più mi raffreddo all’idea che ogni anno bisogna tirar fuori il progetto dal cilindro. Si vede di tutto. Una stanca routine, in cui pochi lavorano seriamente (pochi docenti, dico) e molti arraffano semplicemente compensi aggiuntivi, senza produrre nulla che abbia un’effettiva ricaduta didattica e formativa sui ragazzi. Ho visto collaboratori scolastici (smaniosi di emergere, ben protetti da chi avrebbe dovuto tenerli a bada) preparare materiali didattici che poi sono stati spediti a concorsi e selezioni nazionali, e che sono stati spacciati per elaborati degli studenti. Vincere un premio val bene queste sciocchezze, vero?
Dunque, sebbene un fondo per le attività aggiuntive è cosa buona, io direi che è ora di smetterla di identificare la qualità della scuola con i “progetti”: possono essere utili, ma non quanto il lavoro di trincea (letteralmente trincea) in classe, che va privilegiato, in assoluto, e curato nei minimi dettagli, con una premura e un amore che non vedo.
Tornando a noi e alla “buona scuola” (buona, poi: perché, quella di prima faceva pena? Non le sembra un po’ offensivo, presidente in maniche di camicia?), c’è un altro punto interrogativo: come funzionerà la mobilità per i neoimmessi? Dove lavoreranno se nel territorio di residenza non ci saranno posti disponibili? Si rischierà di restare tagliati fuori dalla possibilità di un’ immissione in ruolo se non si accetta di trasferirsi, di punto in bianco, da Palermo a Forlì? Sono domande che nascono. Come quella, piuttosto inquietante, che riguarda il ruolo dei sindacati nella discussione su questo piano: perché non sono nominati, all’interno delle linee guida? Chi, dall’alto, si vanta di parlare direttamente al cittadino, eliminando i corpi intermedi (come può essere un sindacato), fa populismo, non democrazia. Ed è pericoloso, perché chi cerca così il consenso non porta mai nulla di buono, la storia lo insegna, sia quella più vecchia che quella più recente. Il sindacato (con tutti i suoi limiti ed errori) ha una visione globale, d’insieme delle problematiche e delle prospettive, che al singolo manca. Ma gli interrogativi non sono finiti.
Quello che mi sta più a cuore riguarda, in realtà, le modalità (nebulose o fin troppo chiare?) con cui saranno premiati, dal 2019, i docenti cosiddetti “meritevoli”, attraverso i famigerati “scatti di competenza” che sostituiranno quelli di anzianità, di cui tutti possono attualmente godere (e da che mondo è mondo) con il proprio servizio, gradualmente. Chi li sceglierà, questi docenti più bravi degli altri, che avranno uno stipendio più alto? I dirigenti, a quanto pare. E come saranno individuati? Grazie a corsi di aggiornamento, titoli, collaborazioni con la dirigenza. Ora, mi chiedo, anzi chiederei al presidente in maniche di camicia: ma lei ha un’idea della qualità dei nostri dirigenti, presidente? Sa che per la maggior parte (mi perdonino, ma sono nella scuola da 14 anni e qualcosina ho imparato) sono persone senza la più pallida idea di cosa sia una competenza relazionale e gestionale? Sa che, di norma, si circondano di una ristretta, eletta cerchia di collaboratori compiacenti che farebbero di tutto per mantenere il “prestigioso” e remunerativo ruolo di primo o secondo vice? Di funzione strumentale? Di responsabile del servizio tal dei tali? È da questi dirigenti (così obiettivi, così professionali, così limpidi e capaci) che devo vedere valutata la mia professionalità in vista di uno scatto di stipendio? Non distinguono un docente che butta il sangue da uno che butta fumo, non sanno mettere a posto uno che ne insulta ingiustamente un altro. Come possono avere anche la responsabilità di decidere in merito al mio avanzamento di carriera? Avanzamento, per giunta, che toccherà solo al 66% del corpo docente di ogni scuola, per cui il restante 34% sarà necessariamente considerato di serie B.
La levata di scudi da parte dei sindacati è già in corso. Si parla di una professione che non può essere svilita da queste meschinità: accaparrarsi l’ennesimo titolo (magari fasullo, magari comprato online) o strisciare ai piedi di un dirigente per arraffare gli ultimi spiccioli e guadagnarsi lo scatto di competenza. No! Un docente non può ridursi così! Siamo tutti indignati. Eh già. Io, forse un po’ meno. Mi sento più disincantata che indignata. Queste guerre intestine non le creerà Renzi. No. Renzi farà solo l’errore (o la geniale intuizione) di istituzionalizzare per legge quello che è già un diffuso atteggiamento di tanti docenti: la lotta per i compensi aggiuntivi c’è già, solo chi non insegna nella scuola può credere ancora alla favoletta dell’insegnante disinteressato, duro e puro. Forse uno su mille, sì. Ma molti, troppi altri no. E ammalano la scuola, loro sì. Poveri di risorse e competenze, di valori. Come i dirigenti che li coprono.
La buona scuola? Non so quale sarà, non so come verrà fuori da questa ennesima riforma. So che una buona scuola c’è già, è quella degli insegnanti onesti e laboriosi, che si rimettono in discussione ogni giorno e sanno chiudersi la porta alle spalle per dare ai ragazzi tutto quello che si può, per dar valore al proprio lavoro quotidiano, anche senza fare progetti (detto da una che ne ha fatti tanti). Ma so anche che c’è una cattiva scuola. E, per quanto Renzi non sia esattamente il tipo di “riformatore” che avrei voluto, non ci nascondiamo dietro ai suoi errori per dire che ci danneggerà: la scuola, buona o cattiva, la facciamo noi. La scuola l’abbiamo distrutta noi. E siamo noi e noi soltanto a poterle dare, invece, qualità. Finché non ci sarà una profonda riforma della mentalità e della qualità morale ed intellettuale della classe insegnante, oggi assai in declino, ogni riforma sarà una cattiva riforma, e la scuola rimarrà una cattiva scuola. Con buona pace di Renzi e della sue camicie bianche.☺
Molte sono le perplessità che La buona scuola (il documento programmatico in cui sono contenute le linee guida della prossima riforma della scuola, voluta dal governo Renzi) lascia in chi scorre i suoi 12 punti. Proviamo a sintetizzare.
Molte sono le perplessità che La buona scuola (il documento programmatico in cui sono contenute le linee guida della prossima riforma della scuola, voluta dal governo Renzi) lascia in chi scorre i suoi 12 punti. Proviamo a sintetizzare.
L’abolizione delle graduatorie ad esaurimento e l’immissione in ruolo di 148mila precari (che sarebbero inseriti a vario titolo nel corpo docente titolare di cattedra) è cosa buona in sé, l’unico neo della questione è che il presidente non specifica con quali risorse verranno assunte queste persone; senza contare che, in ogni caso, sarà tagliato il fondo cui si attinge per tutte le attività extra e per le funzioni aggiuntive a quelle d’insegnamento. Altre restrizioni, dunque, all’arricchimento dell’offerta formativa. Anche se, a dirla tutta, più lavoro e cresco nella scuola della cosiddetta “auto- nomia”, più mi raffreddo all’idea che ogni anno bisogna tirar fuori il progetto dal cilindro. Si vede di tutto. Una stanca routine, in cui pochi lavorano seriamente (pochi docenti, dico) e molti arraffano semplicemente compensi aggiuntivi, senza produrre nulla che abbia un’effettiva ricaduta didattica e formativa sui ragazzi. Ho visto collaboratori scolastici (smaniosi di emergere, ben protetti da chi avrebbe dovuto tenerli a bada) preparare materiali didattici che poi sono stati spediti a concorsi e selezioni nazionali, e che sono stati spacciati per elaborati degli studenti. Vincere un premio val bene queste sciocchezze, vero?
Dunque, sebbene un fondo per le attività aggiuntive è cosa buona, io direi che è ora di smetterla di identificare la qualità della scuola con i “progetti”: possono essere utili, ma non quanto il lavoro di trincea (letteralmente trincea) in classe, che va privilegiato, in assoluto, e curato nei minimi dettagli, con una premura e un amore che non vedo.
Tornando a noi e alla “buona scuola” (buona, poi: perché, quella di prima faceva pena? Non le sembra un po’ offensivo, presidente in maniche di camicia?), c’è un altro punto interrogativo: come funzionerà la mobilità per i neoimmessi? Dove lavoreranno se nel territorio di residenza non ci saranno posti disponibili? Si rischierà di restare tagliati fuori dalla possibilità di un’ immissione in ruolo se non si accetta di trasferirsi, di punto in bianco, da Palermo a Forlì? Sono domande che nascono. Come quella, piuttosto inquietante, che riguarda il ruolo dei sindacati nella discussione su questo piano: perché non sono nominati, all’interno delle linee guida? Chi, dall’alto, si vanta di parlare direttamente al cittadino, eliminando i corpi intermedi (come può essere un sindacato), fa populismo, non democrazia. Ed è pericoloso, perché chi cerca così il consenso non porta mai nulla di buono, la storia lo insegna, sia quella più vecchia che quella più recente. Il sindacato (con tutti i suoi limiti ed errori) ha una visione globale, d’insieme delle problematiche e delle prospettive, che al singolo manca. Ma gli interrogativi non sono finiti.
Quello che mi sta più a cuore riguarda, in realtà, le modalità (nebulose o fin troppo chiare?) con cui saranno premiati, dal 2019, i docenti cosiddetti “meritevoli”, attraverso i famigerati “scatti di competenza” che sostituiranno quelli di anzianità, di cui tutti possono attualmente godere (e da che mondo è mondo) con il proprio servizio, gradualmente. Chi li sceglierà, questi docenti più bravi degli altri, che avranno uno stipendio più alto? I dirigenti, a quanto pare. E come saranno individuati? Grazie a corsi di aggiornamento, titoli, collaborazioni con la dirigenza. Ora, mi chiedo, anzi chiederei al presidente in maniche di camicia: ma lei ha un’idea della qualità dei nostri dirigenti, presidente? Sa che per la maggior parte (mi perdonino, ma sono nella scuola da 14 anni e qualcosina ho imparato) sono persone senza la più pallida idea di cosa sia una competenza relazionale e gestionale? Sa che, di norma, si circondano di una ristretta, eletta cerchia di collaboratori compiacenti che farebbero di tutto per mantenere il “prestigioso” e remunerativo ruolo di primo o secondo vice? Di funzione strumentale? Di responsabile del servizio tal dei tali? È da questi dirigenti (così obiettivi, così professionali, così limpidi e capaci) che devo vedere valutata la mia professionalità in vista di uno scatto di stipendio? Non distinguono un docente che butta il sangue da uno che butta fumo, non sanno mettere a posto uno che ne insulta ingiustamente un altro. Come possono avere anche la responsabilità di decidere in merito al mio avanzamento di carriera? Avanzamento, per giunta, che toccherà solo al 66% del corpo docente di ogni scuola, per cui il restante 34% sarà necessariamente considerato di serie B.
La levata di scudi da parte dei sindacati è già in corso. Si parla di una professione che non può essere svilita da queste meschinità: accaparrarsi l’ennesimo titolo (magari fasullo, magari comprato online) o strisciare ai piedi di un dirigente per arraffare gli ultimi spiccioli e guadagnarsi lo scatto di competenza. No! Un docente non può ridursi così! Siamo tutti indignati. Eh già. Io, forse un po’ meno. Mi sento più disincantata che indignata. Queste guerre intestine non le creerà Renzi. No. Renzi farà solo l’errore (o la geniale intuizione) di istituzionalizzare per legge quello che è già un diffuso atteggiamento di tanti docenti: la lotta per i compensi aggiuntivi c’è già, solo chi non insegna nella scuola può credere ancora alla favoletta dell’insegnante disinteressato, duro e puro. Forse uno su mille, sì. Ma molti, troppi altri no. E ammalano la scuola, loro sì. Poveri di risorse e competenze, di valori. Come i dirigenti che li coprono.
La buona scuola? Non so quale sarà, non so come verrà fuori da questa ennesima riforma. So che una buona scuola c’è già, è quella degli insegnanti onesti e laboriosi, che si rimettono in discussione ogni giorno e sanno chiudersi la porta alle spalle per dare ai ragazzi tutto quello che si può, per dar valore al proprio lavoro quotidiano, anche senza fare progetti (detto da una che ne ha fatti tanti). Ma so anche che c’è una cattiva scuola. E, per quanto Renzi non sia esattamente il tipo di “riformatore” che avrei voluto, non ci nascondiamo dietro ai suoi errori per dire che ci danneggerà: la scuola, buona o cattiva, la facciamo noi. La scuola l’abbiamo distrutta noi. E siamo noi e noi soltanto a poterle dare, invece, qualità. Finché non ci sarà una profonda riforma della mentalità e della qualità morale ed intellettuale della classe insegnante, oggi assai in declino, ogni riforma sarà una cattiva riforma, e la scuola rimarrà una cattiva scuola. Con buona pace di Renzi e della sue camicie bianche.☺
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