la civiltà dell’immagine   di Gaetano Jacobucci
8 Marzo 2013 Share

la civiltà dell’immagine di Gaetano Jacobucci

 

La civiltà dell’immagine, chiamata comunemente Barocco, nasce dalla crisi del Rinascimento e dal superamento del Manierismo. L’espressività del barocco, secondo diversi critici, è ritenuta ambigua. Alcuni ne rilevano i falsi valori, il vuoto artificio, l’enfasi fine a se stessa; altri invece ritengono che il Barocco non sia altro che l’estrinsecazione di un aspetto eterno dell’anima umana, quello della creatività irrazionale: una categoria dello spirito teorizzata e volutamente coltivata.

Il Barocco si manifesta nell’ossessiva ricerca del moto, del ritmo spezzato, della stupefacente impostazione scenografica. Tutte le attività dello spirito sono tradotte in immagini. La vita quotidiana, la ricerca scientifica, la speculazione teologica, la lotta politica, le scene di corte sono tutti spunti per la continua costruzione di immagini stupefacenti. La crisi religiosa che ha travagliato il ‘600 pone l’uomo in uno stato di perenne angoscia perché scaraventato in una natura utile solo come fondale di un teatro in cui egli è costretto a recitare la sua parte per ottenere la salvezza eterna. L’arte pittorica deve rappresentare tutto questo immenso e contraddittorio dramma. La pittura, ritenuta sempre imitazione, non sa più cosa in realtà debba imitare; allora solo i capricci di una fantasia sfrenata sono degni di essere dipinti.

Classicismo manieristico

La continuazione del Manierismo cinquecentesco come prosecuzione del Classicismo, di fatto si è tradotta in un insieme di immagini che solo in superficie hanno strutture classiche: un formalismo fine a se stesso che si rifà a forme astratte prive, svincolate dalla realtà. La forma bella non è più quella razionalmente costruita, esattamente delineata, bensì un’immagine generata da una fantasia libera di creare sotto la spinta di una viva emozione drammatica. La tempesta della Riforma è appena arginata dalla Chiesa, che riesce soltanto a rivalutare l’immagine come pratico mezzo per diffondere la fede e celebrare il trionfo sulle eresie. I testi sacri non riescono più a spiegare in modo convincente la realtà che ci circonda, la scienza la descrive e illustra in modo sempre più preciso: si ritiene che la natura non sia più oggetto di ricerca e di studio da parte dei pittori ma interessi come allegoria morale e come suscitatrice di pensieri ed emozioni edificanti. La potenza delle immagini deve agire su tutti gli uomini, dai re agli umili servi, e le stesse strutture del potere temporale debbono inchinarsi alle potenze, ai messaggi educativi che esse trasmettono: la Chiesa trionfante, imitazione dei Santi e la vita devota.

Oratoria celebrativa

La pittura diventa oratoria celebrativa. L’artista acquista un ruolo sociale molto più importante di quello avuto nel ‘500, dove era il protetto e il consigliere del re e dei papi. Diventa un autonomo professionista che ha l’obbligo di dimostrare somma conoscenza tecnica del mestiere. La maniera grande e la monumentalità diventano l’espressione provvidenziale di questo mondo. Solo l’allegoria è capace di rappresentare tale concetto, sottolineato in tutti i modi da coloro che si ritengono eletti, e gli autori classici diventano fonte inesauribile di ispirazione: Ovidio, Virgilio, Omero offrono infiniti spunti per identificare i principi e i papi, i condottieri, le dame con antichi dei, eroi ed eroine del passato; il tutto sempre dipinto sotto sembianze credibili affinché la scena sia recepita ed apprezzata.☺

gaetano.jacobucci@virgilio.it

 

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