La classe capovolta
13 Giugno 2017
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La classe capovolta

Insegnare felici. È possibile? Secondo Marcello Bettoni e Marialetizia Mangiavini sì, e lo raccontano chiaro nel loro libro La classe capovolta. Flipped class. Risalire la corrente per insegnare felici (2016), che propongo come lettura estiva di approfondimento e di riconciliazione con un mestiere che sempre più spesso viene associato prevalentemente (dagli addetti ai lavori e non) a situazioni di stress fisico e psicologico tali da compromettere la gioia di svolgerlo. Gli autori usano un linguaggio semplice, gradevole, diretto ai docenti ma in grado di essere compreso anche da chi non bazzica in aula. E offrono la possibilità di applicare esempi concreti, fruibilissimi, di una nuova metodologia che si sta facendo strada anche da noi, anche se resta al momento un’esperienza in crescita ma di nicchia.

Di “classe capovolta” si parla da qualche anno e, con fare modaiolo tipicamente italiano, gli ultimi corsi di aggiornamento sono stati pieni di capriole. C’è del buono come c’è qua e là dell’improvvisato e del velleitario, a parere di chi scrive, ma un’opinione assolutamente condivisibile degli autori è che l’insegnante che affronta con gioia il suo lavoro, e lo basa su un apprendimento significativo dei ragazzi, mette la prima pietra per un apprendimento che resterà nel tempo e lascerà il segno. Per fischiettare andando a scuola, però, dobbiamo ripensarci un po’ come insegnanti e, dunque, soprattutto fare una buona revisione dei nostri stili di insegnamento, spesso “fossilizzati” da un’esperienza che, se ha il vantaggio di farci sentire più sicuri, dall’altro ha l’handicap di chiuderci in una routine un tantino presuntuosa o pigra, e precluderci rinnovamento, evoluzione, progresso. Nella nuova prospettiva della classe capovolta, ecco, c’è proprio la necessità di rimettersi in gioco, di non essere più solo arbitri in cattedra ma giocatori e allenatori che in campo sudano e si muovono insieme agli altri, o che si sbracciano da bordo campo in stile Antonio Conte.

Sì ma cos’è questa flipped class? È un metodo che intende “capovolgere” il lavoro in classe, e i ruoli tradizionali del docente e dell’alunno, attraverso alcune strategie che si riassumono alla fin fine in una sola: lasciare da parte la lezione frontale, la classica “spiegazione”, saltare fuori dalla cattedra e stare con gli studenti costruendo con loro il sapere, in un nuovo processo di apprendimento. È l’invito a un insegnamento attivo per un apprendimento attivo, cosiddetto “del fare”; è opinione comune e comprovata che il fare, infatti, determini le condizioni per apprendere in modo più efficiente rispetto al solo vedere e ascoltare.

Meno lezione frontale e ragazzi più curiosi e attivi, più protagonisti, dunque, che portino in classe domande ed esercizi su ciò che già autonomamente hanno letto, ascoltato, visto a casa. Viene così reso vero e attuale il motto di Maria Montessori: “aiutiamoli a fare da soli”, per mobilitare energie, risorse e motivazioni, insomma tutto ciò che ci serve per arrivare all’obiettivo, all’apprendimento. La classe capovolta diventa così uno strumento concreto nelle mani del docente, capace di dare una spinta nuova, una rinnovata forza a questo lavoro, purché ci si senta disposti a mettere nel frullatore il tradizionale modo di intendere la giornata in classe: niente più spiegazioni un po’ ingessate, niente più compiti a casa (non i tradizionali, almeno! Perché a casa, come si precisa meglio più avanti, si fa molto ma si fa altro, ovvero si seguono lezioni video o spiegazioni preparate dai docenti in versione podcast, testi condivisi tra più docenti), e a scuola si lavora con pc, tablet e smartphone per risolvere problemi e sperimentare quello che si è imparato da soli nel pomeriggio.

Un metodo innovativo ma non nuovissimo (è l’Italia che segue con un po’ di ritardo certe novità), nato infatti nel 2010 negli Stati Uniti, dove oggi già 20mila scuole costruiscono e offrono agli studenti video didattici da vedere a casa quando vogliono, mentre il tempo in classe è dedicato alla discussione e all’apprendimento attivo. L’insegnante diventa un mentore, figura chiave che aiuta i ragazzi a rielaborare, coordinarsi, segue da vicino chi è in difficoltà e ha bisogno di un aiuto extra. O fa esercitare gli alunni più dotati su compiti complessi. L’insegnamento capovolto fa leva sul fatto che le competenze cognitive di base dello studente (ascoltare, memorizzare) possono essere attivate prevalentemente a casa, in autonomia; in classe, invece, possono essere attivate le competenze cognitive “alte” (comprendere, applicare, valutare, creare) poiché l’allievo non è solo e, insieme ai compagni e all’insegnante al suo fianco cerca, quindi, di approfondire e problematizzare quanto appreso. Il ruolo dell’insegnante ne risulta trasformato: il suo compito diventa quello di guidare l’allievo nell’elaborazione attiva e nello sviluppo di compiti complessi. Una sfida affascinante, motivante, senza dubbio, cui dovremmo rispondere in modo serio, non raffazzonato e modaiolo.

Come ha fatto Maurizio Maglioni: fra le varie testimonianze di flipped-pionieri italiani, scegliamo la sua, un giovane insegnante di chimica 3.0 (e autore di romanzi e saggi) che applica “felicemente” da due anni la didattica capovolta: “Con il metodo della flipped classroom, i ragazzi imparano a lavorare in gruppo, su compiti difficilissimi – spiega -. Sono più responsabilizzati e non hanno tempo da perdere in chat”. Insieme a Fabio Biscaro, un altro flipped teacher, ha scritto La classe capovolta (Erickson) e ha costituito un anno fa l’associazione degli insegnanti italiani che la praticano (Flipnnet): oggi conta 200 “praticanti” (gli iscritti veri e propri, che versano una quota associativa annuale); circa 600 “adepti”, che hanno seguito un corso di formazione bimestrale; e 4.700 “simpatizzanti”: quelli che partecipano ai blog e popolano la pagina Facebook, una miniera di esperienze, richieste, soluzioni.

I corsi organizzati da Flipnet – quattro moduli di quindici giorni l’uno, con quattro docenti che illustrano il metodo, spiegano come si mette online il materiale e come si lavora in classe – vanno alla grande, ed è un buon risultato: l’entusiasmo della novità si tasta, è confortante, ma una guida è necessaria, il fai da te non è consigliabile, sarebbe anzi dannoso: “Sarebbe come imparare il metodo Montessori da autodidatti. Anche l’insegnamento capovolto ha bisogno di un lungo training pedagogico e didattico”, dice Maglioni. Dunque niente improvvisazioni e semplificazioni, c’è da studiare.

La classe rovesciata è “uno strumento nuovo e potente per facilitare l’interazione e l’insegnamento personalizzato, evitando grandi perdite di tempo”, sosteneva anche Tullio De Mauro.

Unico problema, ad oggi, sono i materiali, ancora scarsi. Bisogna costruirli o cercare con attenzione, ma YouTube offre ampie possibilità di attingere ed esperienze come Flipnet cresceranno. Insomma, il terreno fertile c’è.

Proviamo a sintetizzare per chiudere: ripercorre la naturalità del processo di apprendimento, ottimizza i tempi, migliora la motivazione, consente di gestire meglio il carico di informazioni, godendo anche dei benefici della cooperazione tra pari. Si può provare, a piccole dosi, coraggiosamente. Ma con serietà, professionalità, pazienza, impegno.

Buona lettura. L’estate porta consiglio (quasi sempre).☺

 

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