Verso la fine del Cinquecento l’intreccio tra i fatti pittorici fiamminghi e spagnoli e quelli del vicereame si fa ancora più fitto. La presenza di questa corrente pittorica è decisamente folta a Napoli e nel resto del regno, favorita da una spinta amplissima del mercato artistico del Sud dell’Italia, quale conseguenza della riscossa del cattolicesimo della controriforma all’indomani della chiusura del concilio di Trento e della vittoriosa battaglia di Lepanto, nel 1571. Nella maggior parte dei casi questi artisti fiamminghi giunsero in Italia giovanissimi, (Aert Mytens addirittura quattordicenne) e prima di trasferirsi a Napoli fecero tutti un’esperienza romana. Questa massiccia emigrazione verso Roma e verso l’Italia è un avvenimento che coinvolge molti artisti nordici, attratti dal fascino di Raffaello e Michelangelo, facilitati dalla presenza sul soglio di Pietro del Papa olandese, Adriano VI, e gli avvenimenti storici che sconvolsero le Fiandre e i Paesi Bassi nelle sanguinose rivolte antispagnole facilitarono queste migrazioni. Ne derivò una cultura antiprotestante di evangelizzazione e di insegnamento nei confronti di una popolazione, tanto urbana che rurale, che non sapeva né leggere né scrivere e quindi più facilmente raggiungibile ed educabile attraverso l’impatto emotivo delle immagini.
La bottega “Dei tre”
I pittori fiamminghi erano portatori di uno stile nuovo: esso incontrava il favore del pubblico napoletano e meridionale meno ascetico e più rigorosamente sottomesso alle nuove norme della controriforma, trasmesse attraverso raffigurazioni delle immagini sacre interpretate con una visione serena e colorata. Erano maestri nel coniugare la pittura devozionale con una pittura “vaga” e “delicata”, nel proporre una pittura devota, che legava naturalismo, descrizione e tradizione della cultura fiamminga, ad una spiccata attenzione alla tenerezza degli impasti e alla preziosità degli ornati. Lo storico dell’arte F. Abbate riporta un suo studio sulle concorrenze delle botteghe di fine cinquecento a Napoli (Cfr. F. Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale, vol. 3). Tre pittori fiamminghi di una stessa bottega sono citati per le committenze: Smet – Hendricksz – Mytens, legati tra loro da profonda amicizia, ma anche da “comparaggio e parentela”. I compensi di concorrenza: Pietro Todos circa 25 – 30 ducati per l’Assunzione di Maria del duomo di Scala e altre opere minori; Marco Pino per una Circoncisione, per Gesù Nuovo, riceve una cifra astronomica di 1500 ducati: divario di compensi, oggi sarebbero assimilati ai “raccomandati”!. Nel 1591 Teodoro d’Errico (Hendricksz), pittore assai più rinomato del Pino, per un’Immacolata (a Baronissi) riceve un compenso di 170 ducati. Ma la fama del d’Errico raggiunge il Cilento; ad un committente di Castellabate realizza una pala, l’Immacolata con predella, ricca di cimasa. Le botteghe si avvalgano di intagliatori e indoratori. I soffitti lignei della Chiesa di S. Maria Donnaromita e San Gregorio Armeno a Napoli, realizzati dal d’Errico, di uno splendore senza precedenti, testimoniano la elevata maturità compositiva raggiunta. Cornelis Smet appare in posizione molto forte, qualcuno lo pone in netta concorrenza con l’amico d’Errico. I tre pittori, già presenti a Roma, svolgono una preparazione dai contorni comuni tesa ad addolcire i tratti e sfociare nella preziosità descrittiva di stampo fiammingo.
Teodoro d’Errico in Molise
Si hanno tracce di tavole eseguite dal maestro d’Errico in un percorso molisano significativo: Venafro – Montorio nei Frentani, su una linea religiosa che si situa tra l’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, appena fondato, e l’evange- lizzazione popolare del dopo Concilio di Trento. La pala della Chiesa di S. Nicandro in Venafro: l’imposta- zione compositiva è piramidale. La Vergine con il Bambino, attorniata da una gloria di Angeli, che reggono la corona regale. Nella parte centrale, S. Francesco in ginocchio in estasi, (la foggia dell’abito è Cappuccino), tra i Santi Nicandro e Marciano. Le vesti vorticose e avvolgenti attorno ad un nucleo luminoso sovrastante i Santi, che si ergono da un sfondo fosco. Il dipinto si caratterizza per il pittoricismo diffuso e per una composizione equilibrata dai due Santi, posti a comparse nella parte bassa della tavola. S. Francesco, rivestito da un saio grigio, sembra fuoriuscire dalla mimetizzazione dello sfondo per concentrarsi nell’estasi. Le figure dei Santi sgargianti nelle vesti, il rosso, l’azzurro, il verde, metaforicamente stanno ad indicare le tenebre che avvolgono l’universo degli uomini, i quali, hanno bisogno di essere accompagnati per ascendere al mondo della luce. ☺
seconda parte
jacobuccig@gmail.com
Verso la fine del Cinquecento l’intreccio tra i fatti pittorici fiamminghi e spagnoli e quelli del vicereame si fa ancora più fitto. La presenza di questa corrente pittorica è decisamente folta a Napoli e nel resto del regno, favorita da una spinta amplissima del mercato artistico del Sud dell’Italia, quale conseguenza della riscossa del cattolicesimo della controriforma all’indomani della chiusura del concilio di Trento e della vittoriosa battaglia di Lepanto, nel 1571. Nella maggior parte dei casi questi artisti fiamminghi giunsero in Italia giovanissimi, (Aert Mytens addirittura quattordicenne) e prima di trasferirsi a Napoli fecero tutti un’esperienza romana. Questa massiccia emigrazione verso Roma e verso l’Italia è un avvenimento che coinvolge molti artisti nordici, attratti dal fascino di Raffaello e Michelangelo, facilitati dalla presenza sul soglio di Pietro del Papa olandese, Adriano VI, e gli avvenimenti storici che sconvolsero le Fiandre e i Paesi Bassi nelle sanguinose rivolte antispagnole facilitarono queste migrazioni. Ne derivò una cultura antiprotestante di evangelizzazione e di insegnamento nei confronti di una popolazione, tanto urbana che rurale, che non sapeva né leggere né scrivere e quindi più facilmente raggiungibile ed educabile attraverso l’impatto emotivo delle immagini.
La bottega “Dei tre”
I pittori fiamminghi erano portatori di uno stile nuovo: esso incontrava il favore del pubblico napoletano e meridionale meno ascetico e più rigorosamente sottomesso alle nuove norme della controriforma, trasmesse attraverso raffigurazioni delle immagini sacre interpretate con una visione serena e colorata. Erano maestri nel coniugare la pittura devozionale con una pittura “vaga” e “delicata”, nel proporre una pittura devota, che legava naturalismo, descrizione e tradizione della cultura fiamminga, ad una spiccata attenzione alla tenerezza degli impasti e alla preziosità degli ornati. Lo storico dell’arte F. Abbate riporta un suo studio sulle concorrenze delle botteghe di fine cinquecento a Napoli (Cfr. F. Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale, vol. 3). Tre pittori fiamminghi di una stessa bottega sono citati per le committenze: Smet – Hendricksz – Mytens, legati tra loro da profonda amicizia, ma anche da “comparaggio e parentela”. I compensi di concorrenza: Pietro Todos circa 25 – 30 ducati per l’Assunzione di Maria del duomo di Scala e altre opere minori; Marco Pino per una Circoncisione, per Gesù Nuovo, riceve una cifra astronomica di 1500 ducati: divario di compensi, oggi sarebbero assimilati ai “raccomandati”!. Nel 1591 Teodoro d’Errico (Hendricksz), pittore assai più rinomato del Pino, per un’Immacolata (a Baronissi) riceve un compenso di 170 ducati. Ma la fama del d’Errico raggiunge il Cilento; ad un committente di Castellabate realizza una pala, l’Immacolata con predella, ricca di cimasa. Le botteghe si avvalgano di intagliatori e indoratori. I soffitti lignei della Chiesa di S. Maria Donnaromita e San Gregorio Armeno a Napoli, realizzati dal d’Errico, di uno splendore senza precedenti, testimoniano la elevata maturità compositiva raggiunta. Cornelis Smet appare in posizione molto forte, qualcuno lo pone in netta concorrenza con l’amico d’Errico. I tre pittori, già presenti a Roma, svolgono una preparazione dai contorni comuni tesa ad addolcire i tratti e sfociare nella preziosità descrittiva di stampo fiammingo.
Teodoro d’Errico in Molise
Si hanno tracce di tavole eseguite dal maestro d’Errico in un percorso molisano significativo: Venafro – Montorio nei Frentani, su una linea religiosa che si situa tra l’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, appena fondato, e l’evange- lizzazione popolare del dopo Concilio di Trento. La pala della Chiesa di S. Nicandro in Venafro: l’imposta- zione compositiva è piramidale. La Vergine con il Bambino, attorniata da una gloria di Angeli, che reggono la corona regale. Nella parte centrale, S. Francesco in ginocchio in estasi, (la foggia dell’abito è Cappuccino), tra i Santi Nicandro e Marciano. Le vesti vorticose e avvolgenti attorno ad un nucleo luminoso sovrastante i Santi, che si ergono da un sfondo fosco. Il dipinto si caratterizza per il pittoricismo diffuso e per una composizione equilibrata dai due Santi, posti a comparse nella parte bassa della tavola. S. Francesco, rivestito da un saio grigio, sembra fuoriuscire dalla mimetizzazione dello sfondo per concentrarsi nell’estasi. Le figure dei Santi sgargianti nelle vesti, il rosso, l’azzurro, il verde, metaforicamente stanno ad indicare le tenebre che avvolgono l’universo degli uomini, i quali, hanno bisogno di essere accompagnati per ascendere al mondo della luce. ☺
Verso la fine del Cinquecento l’intreccio tra i fatti pittorici fiamminghi e spagnoli e quelli del vicereame si fa ancora più fitto. La presenza di questa corrente pittorica è decisamente folta a Napoli e nel resto del regno, favorita da una spinta amplissima del mercato artistico del Sud dell’Italia, quale conseguenza della riscossa del cattolicesimo della controriforma all’indomani della chiusura del concilio di Trento e della vittoriosa battaglia di Lepanto, nel 1571. Nella maggior parte dei casi questi artisti fiamminghi giunsero in Italia giovanissimi, (Aert Mytens addirittura quattordicenne) e prima di trasferirsi a Napoli fecero tutti un’esperienza romana. Questa massiccia emigrazione verso Roma e verso l’Italia è un avvenimento che coinvolge molti artisti nordici, attratti dal fascino di Raffaello e Michelangelo, facilitati dalla presenza sul soglio di Pietro del Papa olandese, Adriano VI, e gli avvenimenti storici che sconvolsero le Fiandre e i Paesi Bassi nelle sanguinose rivolte antispagnole facilitarono queste migrazioni. Ne derivò una cultura antiprotestante di evangelizzazione e di insegnamento nei confronti di una popolazione, tanto urbana che rurale, che non sapeva né leggere né scrivere e quindi più facilmente raggiungibile ed educabile attraverso l’impatto emotivo delle immagini.
La bottega “Dei tre”
I pittori fiamminghi erano portatori di uno stile nuovo: esso incontrava il favore del pubblico napoletano e meridionale meno ascetico e più rigorosamente sottomesso alle nuove norme della controriforma, trasmesse attraverso raffigurazioni delle immagini sacre interpretate con una visione serena e colorata. Erano maestri nel coniugare la pittura devozionale con una pittura “vaga” e “delicata”, nel proporre una pittura devota, che legava naturalismo, descrizione e tradizione della cultura fiamminga, ad una spiccata attenzione alla tenerezza degli impasti e alla preziosità degli ornati. Lo storico dell’arte F. Abbate riporta un suo studio sulle concorrenze delle botteghe di fine cinquecento a Napoli (Cfr. F. Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale, vol. 3). Tre pittori fiamminghi di una stessa bottega sono citati per le committenze: Smet – Hendricksz – Mytens, legati tra loro da profonda amicizia, ma anche da “comparaggio e parentela”. I compensi di concorrenza: Pietro Todos circa 25 – 30 ducati per l’Assunzione di Maria del duomo di Scala e altre opere minori; Marco Pino per una Circoncisione, per Gesù Nuovo, riceve una cifra astronomica di 1500 ducati: divario di compensi, oggi sarebbero assimilati ai “raccomandati”!. Nel 1591 Teodoro d’Errico (Hendricksz), pittore assai più rinomato del Pino, per un’Immacolata (a Baronissi) riceve un compenso di 170 ducati. Ma la fama del d’Errico raggiunge il Cilento; ad un committente di Castellabate realizza una pala, l’Immacolata con predella, ricca di cimasa. Le botteghe si avvalgano di intagliatori e indoratori. I soffitti lignei della Chiesa di S. Maria Donnaromita e San Gregorio Armeno a Napoli, realizzati dal d’Errico, di uno splendore senza precedenti, testimoniano la elevata maturità compositiva raggiunta. Cornelis Smet appare in posizione molto forte, qualcuno lo pone in netta concorrenza con l’amico d’Errico. I tre pittori, già presenti a Roma, svolgono una preparazione dai contorni comuni tesa ad addolcire i tratti e sfociare nella preziosità descrittiva di stampo fiammingo.
Teodoro d’Errico in Molise
Si hanno tracce di tavole eseguite dal maestro d’Errico in un percorso molisano significativo: Venafro – Montorio nei Frentani, su una linea religiosa che si situa tra l’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, appena fondato, e l’evange- lizzazione popolare del dopo Concilio di Trento. La pala della Chiesa di S. Nicandro in Venafro: l’imposta- zione compositiva è piramidale. La Vergine con il Bambino, attorniata da una gloria di Angeli, che reggono la corona regale. Nella parte centrale, S. Francesco in ginocchio in estasi, (la foggia dell’abito è Cappuccino), tra i Santi Nicandro e Marciano. Le vesti vorticose e avvolgenti attorno ad un nucleo luminoso sovrastante i Santi, che si ergono da un sfondo fosco. Il dipinto si caratterizza per il pittoricismo diffuso e per una composizione equilibrata dai due Santi, posti a comparse nella parte bassa della tavola. S. Francesco, rivestito da un saio grigio, sembra fuoriuscire dalla mimetizzazione dello sfondo per concentrarsi nell’estasi. Le figure dei Santi sgargianti nelle vesti, il rosso, l’azzurro, il verde, metaforicamente stanno ad indicare le tenebre che avvolgono l’universo degli uomini, i quali, hanno bisogno di essere accompagnati per ascendere al mondo della luce. ☺
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