la lirica barocca  di Gaetano Jacobucci
4 Luglio 2013 Share

la lirica barocca di Gaetano Jacobucci

 

 

“Epigramma per Francesco Antonio De Angelis”, presente nel Libro di Giovanni Maria Novario “Tractatum de Insolitum”, Napoli 1636.

 

 

La poetica barocca non rispetta più le regole del mondo classico, anzi intende consapevolmente violarle in modo da suscitare maggiore meraviglia, giocando sull’effetto dell’imprevisto.

Per venire incontro ai gusti mutati del pubblico la poetica barocca si adegua alle mode, adattandosi di volta in volta alle attese dei lettori, al bisogno di novità, alla volubilità del gusto: suscitare effetti di stupore e di meraviglia (“E’ del poeta il fin la meraviglia / chi non osa far stupir, vada alla striglia”). Tra i poeti barocchi non manca la discussione se debba prevalere l’aspetto edonistico e ludico oppure l’aspetto morale ed edificante, in ogni caso il primo elemento è sempre ribadito con forza: infatti anche coloro i quali sostengono che il fine dell’arte è morale, teorizzano l’ importanza del piacere estetico come strumento per diffondere il messaggio morale.

Il poeta barocco sente come suo compito il provocare nel lettore il piacere, e la strada per ottenere tale effetto sta nella costruzione di metafore e concetti. Mentre la “metafora” istituisce analogie tra campi diversi e lontani, solitamente considerati inconciliabili, il “concetto”(da cui deriva la pratica del concettismo) spiega tali ardite connessioni attraverso una trovata arguta che dà loro un senso. La capacità dell’arguzia deriva dall’ingegno: intellettuale e celebrale. Il poeta barocco cerca di stimolare nel lettore un piacere eminentemente intellettuale: mira a non fargli sentire particolari sentimenti, ma indurlo a pensare a cose nuove, ad operare collegamenti strani e bizzarri, provocando un piccolo shock, un sobbalzo di stupore o di meraviglia. Se da un lato tale procedimento può peccare di artificiosità, dall’altro può contenere anche una particolare carica conoscitiva.

 

Giovanni Pietro Massari

Tra gli Uomini Virtuosi (per dirla con Dante Gentile Lo russo, Uomini Virtuosi, Edizioni Limiti Inchiusi, 2002; pgg. 95,98.), nella geografia culturale del Molise si colloca Giovanni Pietro Massari, originario di una famiglia di Oratino. Il De Sanctis annota che ebbe prestigiosi incarichi: Protonotario Apostolico, professore di Teologia e Dottore in Utroque con cattedra a Napoli. Richiami alle opere del Massari si riscontrano in diverse citazioni di eruditi del suo tempo. Un’elegia in lode del Massari è datata 1647 a firma del giureconsulto Francesco Ramunno; Lorenzo Giustiniani, nelle memorie storiche degli scrittori di Napoli, osserva: “Da sé sole possono formare un compiuto trattato di questa memoria”. Nel libro di Nicolò Toppi, Agli uomini illustri in lettere di Napoli, e del Regno, Biblioteca Napoletana Napoli 1678,  viene citato il Massari, definendolo “erudito in belle lettere”.

“Era legge de Persiani, che ciascuno porgesse al principe loro in dono in segno di tributaria devotione, cosa la quale fosse alle forze del Donante, e non al merito del Donatario conforme”(prefazione del Massari alla raccolta di sonetti dedicati a Don Ferrante Caracciolo, Duca di Castel di Sangro).

“Vergini, che de carmi i nomi armate

Per vincer gli anni e debellar la Morte,

Hor, che d’Heroe sovrano altera forte

V’apportò questo Ciel, di lui cantate”.

Possiamo scoprire nel Massari pienamente realizzati i principali caratteri della lirica barocca: dall’attenzione per gli aspetti esteriori della realtà dell’esperienza al gusto per le figure, oggetti, elementi naturali trattati con elegante linguaggio tendente al metaforismo concettoso e arguto. La sensibilità del Massari verso il principio classico, temi e stile, raggiunge una freschezza tale da accostarlo ai grandi poeti del tempo, come G. B. Marino (1569 -1625), dalle raccolte di liriche, poemetti epici, mitologici, sacri, raggiungendo l’apice nell’Adone, che ha fatto la sua fama.☺

gaetano.jacobucci@virgilio.it

 

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