La malvarosa
18 Marzo 2016
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La malvarosa

Ah! Che bell’aria fresca

cha’addore ’e malvarosa

inizia con queste parole la famosa canzone napoletana “I’ te vurria vasà”.

Malvarosa, malvone, altea o alcea sono i nomi con i quali è chiamata questa pianta (Althea rosea il suo nome scientifico). Nel nostro dialetto è nota invece col nome di ’u bbestóne san Gg’sèppe, forse perché spesso, in particolare nel sud dell’Europa, si vede raffigurata in molti dipinti di San Giuseppe.

Numerose sono le specie di questa Malvacea, tutte a portamento eretto e dalle grandi foglie palmate ricoperte di una fitta peluria che le rende ispide al tatto. È una pianta molto rustica, dal vigoroso sviluppo, tanto che i suoi fusti raggiungono rapidamente l’altezza di 2 metri o più. Viene descritta come annuale o biennale, ma se si lascia sviluppare il fittone radicale, senza danneggiare la rosetta basale, può essere anche perenne. E proprio grazie alla sua radice fittonante, lunga e carnosa, riesce a vegetare allo stato selvatico anche in condizioni estreme (bordi delle strade, terreni aridi). I fiori, semplici o doppi, di 8-10 cm di diametro, sono disposti all’ascella delle foglie sulla parte alta del fusto. Compaiono da giugno a settembre con colori dal bianco al rosa al rosso, a volte screziati, ma esistono anche varietà di diverse altre tonalità: viola, blu o quasi nero. Per la variabilità dei colori dei fiori, l’altea può essere anche coltivata nei giardini, in particolare come ultima fila delle bordure, data la mole dei fusti. Questa erbacea forma colorate macchie in fiore per tutta l’estate. La propagazione della pianta può essere effettuata tramite semi, ma le piante nate con questo metodo possono produrre fiori di colore diverso da quello della pianta madre. A causa del profondo sviluppo del fittone, che rende impossibile l’estrazione senza provocarne la rottura, la pianta soffre molto il trapianto. Quindi si consiglia la semina direttamente in pieno campo dove non si prevede un successivo spostamento.

Resti di fiori di altea sono stati trovati in una tomba dell’età della pietra a Shanirad in Iraq. Gli antichi Egizi ne facevano corone che deponevano nelle tombe vicino alle mummie perché accompagnassero i morti nelle loro nuove vite. Sia gli Egizi che i Romani mangiavano la radice, bollita o fritta, perché ricca di zuccheri. L’altea giunse in Europa intorno al 1500, portata dai Crociati di ritorno dalle guerre sante, e veniva data ai bambini da masticare per lenire il processo di dentizione. Dai fiori si otteneva inoltre un colorante rosso ruggine, usato in molte opere d’arte. Tra gli esempi più noti, il realistico “Vaso di Malvarosa” di Vincent Van Gogh. I fiori freschi erano considerati una prelibatezza culinaria nella vecchia Cina. I fiori secchi, invece, erano molto usati dalle donne inglesi per ottenere un infuso da bere in alternativa al tè. Nel 1800, la linfa di malvarosa, unita allo zucchero, veniva versata in stampi e venduta come caramelle.

Oggi il fittone radicale di altea rosea ha un uso farmacologico di protezione delle mucose. La raccolta della radice avviene in autunno da piante di due anni di età: viene tagliata in bastoncini di circa 20 cm, decorticata e seccata a 40°. Le radici vengono vendute anche sotto forma di estratti secchi, sciroppi e pastiglie. Lo zucchero mucillaginoso contenuto nelle radici, a contatto con l’umidità, si trasforma in una specie di gel utile per proteggere la faringe dagli elementi irritanti e nel trattamento della tosse secca. Per conservare la freschezza degli occhi si consiglia di lavarsi due volte al giorno con decotto di altea facendo bollire 30 g di radice per 10 minuti in un litro di acqua. Tra le altre proprietà fitoterapiche, l’altea vanta anche un’azione diuretica, emolliente, espettorante, febbrifuga e vasoprotettiva. Inoltre, secondo alcuni studi, pare che l’altea si comporti come un possibile depuratore biologico di metalli pesanti nei terreni contaminati.

Nel linguaggio dei fiori la malvarosa assume il significato di ambizione.☺

 

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