La mia europa
“Quale sia il male profondo che mina la società europea è evidentissimo ormai per tutti: è la guerra totale moderna, preparata e condotta mediante l’impiego di tutte le energie sociali esistenti nei singoli Paesi. Quando divampa, distrugge uomini e ricchezze; quando cova sotto le ceneri, opprime come un incubo logorante qualsiasi altra attività. Il pericolo permanente di conflitti armati tra popoli civili deve essere estirpato radicalmente se non si vuole che distrugga tutto ciò a cui si tiene di più” (Altiero Spinelli in Stati Uniti d’Europa e le varie tendenze politiche, 1942).
Di cosa parliamo oggi quando parliamo di Europa? Grande è la confusione sotto il cielo, per parafrasare Mao, ma la situazione non è purtroppo eccellente, ed è difficilissimo capire quali siano le iniziative concrete da prendere mentre impazzano spaventosi i venti di guerra. Quelli che la mia generazione non ha mai conosciuto direttamente, il cui lugubre soffio eravamo sicurissimi di non dover mai sperimentare.
Dopo le indegne frasi della nostra (ahimè) Presidente del Consiglio sull’Europa di Ventotene, credo sia doveroso fermarsi a pensare cosa davvero intendiamo quando pronunciamo la parola Europa.
Il Manifesto di Ventotene, per un’ Europa libera e unita, aveva l’obiettivo primario di liberare l’Europa, e progressivamente il pianeta, dalle guerre. Di costruire un’identità comune che superasse i nazionalismi e consentisse a tutti di godere di diritti condivisi: noi che abbiamo avuto la fortuna di viaggiare liberamente, studiare ovunque, sentirci a casa dovunque nel nostro piccolo continente, imparando contemporaneamente a considerare nostra patria il mondo intero, non possiamo riconoscerci nell’Europa che vediamo delinearsi in questi giorni. Un’ Europa che si ricompatta intorno ad un mostruoso piano di riarmo, che permette agli stati membri di fare per le armi quello che non si è mai potuto fare per diritti e servizi. Che permette di usare i fondi rivolti alle aree più povere per investire nella difesa, ipotizzando addirittura una banca comune per le armi.
La mia Europa comunitaria, credo la nostra Europa, è nata da un sogno. Un sogno di pace, giustizia, solidarietà con al centro il valore assoluto della persona e della sua dignità. E se vogliamo scendere in piazza per diritti condivisi, è necessario decidere prima per quali di essi vale la pena lottare e per quali, forse, dovremmo addirittura chiedere scusa. Perché in questo europeismo generico che ci sta portando al riarmo c’è una parte di storia, antica e presente, su cui dovremmo recitare molti mea culpa, e riflettere a lungo.
Qual è la nostra Europa: quella che solo a mezze parole ha rinnegato il suo orrendo passato coloniale? Quella delle banche che hanno messo in ginocchio la Grecia? Quella che ignora l’emergenza climatica in nome dei profitti dei giganti energetici? Che studia ed elabora sempre nuovi metodi per respingere persone in fuga da dolore e miseria, spesso anche a causa dello sfruttamento di imprese europee, dimenticando il valore della solidarietà umana? Che volta le spalle al genocidio dei palestinesi e strizza l’occhio alla follia di Trump?
Se la Meloni ha avuto la sfrontatezza di stravolgere il Manifesto di Ventotene, noi attivisti calati nei problemi locali e mondiali dobbiamo a muso duro risponderle che la nostra Europa è contraria al riarmo, e chiedere la diminuzione delle spese militari e l’investimento su forze di pace, sulla forza della pace.
La mia Europa rifiuta il sistema di blocchi militari contrapposti e costruisce una vera comunità democratica, politica ed economica. Promuove una politica estera che porti a cooperazione, giustizia sociale e inclusione, difesa civile, transizione ecologica, sviluppo sostenibile, non al riarmo e ad un’economia di guerra.
La mia Europa mira a ridurre le disuguaglianze e a sconfiggere le cause delle migrazioni forzate, non a costruire muri e a mettere fili spinati. Si ispira al diritto internazionale e non a quello del più forte. Coltiva un’idea di difesa che non si basa più sulle armi, ma sulla reciproca accettazione di un sistema di relazioni tra Stati che si scambiano aiuti e cultura, riconoscendo di essere interdipendenti e legati dall’ideale di mutuo aiuto e vicinanza.
La mia Europa rinnega l’eterno mito patriarcale dell’eroismo e delle vite sacrificate sui campi di battaglia, rifiuta il teatrino dell’uomo forte e virile che riconosce nella guerra l’igiene dei popoli (ricordate i futuristi?), chiede invece il pane e le rose per tutti. Sa che nessuna guerra si vince e tutte, ma proprio tutte, sono solo sconfitte per l’ umanità.
Utopia? Forse. Ma cosa ci offre l’altra Europa che dilaga su giornali e talk show? Solo il ritorno al mondo della guerra fredda, che funzionò allora perché basato su una paura troppo grande per essere superata, che evitò l’olocausto nucleare facendoci vivere però nel terrore della sua continua possibilità. Dovremmo scendere in piazza sventolando le bandiere di un’Europa che mostra i muscoli e spera di poter resistere con le armi alla follia degli USA e della Russia di Putin?
La mia Europa si riconosce in una sola bandiera: quella arcobaleno della pace.☺
