Si tolse i vestiti, legò a coda i lunghi capelli e, quando ebbe finito di dipingersi il corpo, si dipinse la mente. Era un pomeriggio d’inverno; i freddi vicoli della città presero a mutar forma dentro alle palpebre dei suoi occhi a mandorla. La sera prima aveva fatto tardi, accompagnandosi da una discoteca all’altra con bicchieri di whisky tra le mani, sotto le luci feroci e mutanti della musica rock. Come tutte le notti era scivolato nella folla danzante diventando per qualche ora un organo vitale dell’enorme corpo informe e fluttuante che sudava sulle piste notturne.
Quando chiuse gli occhi, esausto, finalmente sdraiato in posizione supina, iniziò la metamorfosi. I tratti del viso e i contorni del corpo seguirono linee di una trasognata eleganza: sinuose, femminee e sensuali mentre il segreto dell’androgino si dischiuse appena, nella completa solitudine di sé di fronte al mondo. Comparse, pubblico e scenografie del suo piccolo, privato teatro dell’arte erano candidi cigni, pavoni roteanti, leopardi, cavallucci marini, ninfee vereconde e rose impudicamente aperte che, come lui, contemplavano la propria esistenza; i colori colavano sulla tela vividi e sonori come note di un vecchio carillon. Egli si abbandonava alla sua felicità inventiva, ai sogni ad occhi aperti come ci si abbandona alle onde del mare, lasciando scivolare sulla sua pelle, sulla pelle delle cose, il sapore di un presente dilatato e senza confini. Nella perfetta estasi della creazione era solo come un principe sul trono, ma lontano dal clamore collettivo. Intanto scendeva la sera ed era quasi ora di uscire. Si accesero i primi lampioni per strada, illuminando la nebbiolina leggera che nel frattempo si era formata. Il quadro era compiuto. Si udivano i passi frettolosi e le voci dei passanti che rincasavano. Si preparava un’altra notte urbana da passare nel fumo dei locali. Indossò i vestiti, depose i pennelli e uscì, chiudendosi alle spalle la porta dei sogni. ☺
Si tolse i vestiti, legò a coda i lunghi capelli e, quando ebbe finito di dipingersi il corpo, si dipinse la mente. Era un pomeriggio d’inverno; i freddi vicoli della città presero a mutar forma dentro alle palpebre dei suoi occhi a mandorla. La sera prima aveva fatto tardi, accompagnandosi da una discoteca all’altra con bicchieri di whisky tra le mani, sotto le luci feroci e mutanti della musica rock. Come tutte le notti era scivolato nella folla danzante diventando per qualche ora un organo vitale dell’enorme corpo informe e fluttuante che sudava sulle piste notturne.
Quando chiuse gli occhi, esausto, finalmente sdraiato in posizione supina, iniziò la metamorfosi. I tratti del viso e i contorni del corpo seguirono linee di una trasognata eleganza: sinuose, femminee e sensuali mentre il segreto dell’androgino si dischiuse appena, nella completa solitudine di sé di fronte al mondo. Comparse, pubblico e scenografie del suo piccolo, privato teatro dell’arte erano candidi cigni, pavoni roteanti, leopardi, cavallucci marini, ninfee vereconde e rose impudicamente aperte che, come lui, contemplavano la propria esistenza; i colori colavano sulla tela vividi e sonori come note di un vecchio carillon. Egli si abbandonava alla sua felicità inventiva, ai sogni ad occhi aperti come ci si abbandona alle onde del mare, lasciando scivolare sulla sua pelle, sulla pelle delle cose, il sapore di un presente dilatato e senza confini. Nella perfetta estasi della creazione era solo come un principe sul trono, ma lontano dal clamore collettivo. Intanto scendeva la sera ed era quasi ora di uscire. Si accesero i primi lampioni per strada, illuminando la nebbiolina leggera che nel frattempo si era formata. Il quadro era compiuto. Si udivano i passi frettolosi e le voci dei passanti che rincasavano. Si preparava un’altra notte urbana da passare nel fumo dei locali. Indossò i vestiti, depose i pennelli e uscì, chiudendosi alle spalle la porta dei sogni. ☺
Si tolse i vestiti, legò a coda i lunghi capelli e, quando ebbe finito di dipingersi il corpo, si dipinse la mente.
Si tolse i vestiti, legò a coda i lunghi capelli e, quando ebbe finito di dipingersi il corpo, si dipinse la mente. Era un pomeriggio d’inverno; i freddi vicoli della città presero a mutar forma dentro alle palpebre dei suoi occhi a mandorla. La sera prima aveva fatto tardi, accompagnandosi da una discoteca all’altra con bicchieri di whisky tra le mani, sotto le luci feroci e mutanti della musica rock. Come tutte le notti era scivolato nella folla danzante diventando per qualche ora un organo vitale dell’enorme corpo informe e fluttuante che sudava sulle piste notturne.
Quando chiuse gli occhi, esausto, finalmente sdraiato in posizione supina, iniziò la metamorfosi. I tratti del viso e i contorni del corpo seguirono linee di una trasognata eleganza: sinuose, femminee e sensuali mentre il segreto dell’androgino si dischiuse appena, nella completa solitudine di sé di fronte al mondo. Comparse, pubblico e scenografie del suo piccolo, privato teatro dell’arte erano candidi cigni, pavoni roteanti, leopardi, cavallucci marini, ninfee vereconde e rose impudicamente aperte che, come lui, contemplavano la propria esistenza; i colori colavano sulla tela vividi e sonori come note di un vecchio carillon. Egli si abbandonava alla sua felicità inventiva, ai sogni ad occhi aperti come ci si abbandona alle onde del mare, lasciando scivolare sulla sua pelle, sulla pelle delle cose, il sapore di un presente dilatato e senza confini. Nella perfetta estasi della creazione era solo come un principe sul trono, ma lontano dal clamore collettivo. Intanto scendeva la sera ed era quasi ora di uscire. Si accesero i primi lampioni per strada, illuminando la nebbiolina leggera che nel frattempo si era formata. Il quadro era compiuto. Si udivano i passi frettolosi e le voci dei passanti che rincasavano. Si preparava un’altra notte urbana da passare nel fumo dei locali. Indossò i vestiti, depose i pennelli e uscì, chiudendosi alle spalle la porta dei sogni. ☺
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