la rivoluzione in atto   di Domenico D’Adamo
30 Marzo 2013 Share

la rivoluzione in atto di Domenico D’Adamo

 

Quando la mattina ti svegli e scopri che Iorio non è più presidente della tua Regione, l’On. De Camillis non è più il tuo deputato al parlamento nazionale e Berlusconi non è più il tuo premier, pensi: oggi è una buona giornata. Ti accendi la tua prima sigaretta, aspiri con avidità, sapendo che ti farà male e bevi il tuo caffè caldo che profuma di soddisfazione. Finalmente ce ne siamo liberati! Non lo dici, ma è proprio quello che pensi. L’inverno sta per finire, il cielo è terso, l’aria è fresca, anche il tempo punta al bello. Esco di casa in fretta, ho voglia di incontrare i miei amici, quelli che la pensano come me. Mi fermo dall’edicolante per dare uno sguardo ai giornali, lui non è contento, non è tuo amico, non la pensa come te e non la pensa neanche come gli altri, per lui le notizie sono tutte uguali. Ti saluta, ti porge i giornali e continua a sistemare le sue carte. Mentre aspetto che arrivi qualcuno, inizio ad elaborare qualche riflessione, a riordinare i fatti. Non devono trovarti impreparato, è una bella giornata, non la puoi sciupare dicendo sciocchezze. Scorro i giornali: i rossi hanno avuto più voti, ma non hanno vinto; i neri hanno avuto meno voti, ma non hanno perso; i gialli hanno vinto pur arrivando terzi. Forse sei arrivato troppo presto e il giornalaio non ha fatto in tempo a mettere in ordine le notizie. Succede sempre così, i risultati elettorali arrivano con ritardo e i giornali, pur di non prendere un buco, aggiustano le notizie. Le aggiustano sempre i giornali, le notizie. Ci sono giornalisti che scrivono libri ammiccanti sull’Africa senza averci mai messo piede, altri che sparano analisi sociologiche sui giovani di oggi, ma non hanno conosciuto neanche quelli di ieri, altri ancora che, con lessico preoccupato, richiamano ogni giorno al senso di responsabilità quei cittadini che in questi anni hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità. Non  mi riferisco a quei pennivendoli produttori di letame, che hanno un posto stabile in tutte le Tv locali e nazionali. Quelli li riconosci in fretta, non ci riescono in alcun modo a nascondere la puzza; si stracciano le vesti per difendere il valore della meritocrazia ma in realtà campano con il sostegno pubblico. Penso invece a quella filiera dell’informazione accreditata nei luoghi dorati del potere, fatta di piccole e grandi testate tutte legate dallo stesso obiettivo. Non la si riconosce facilmente perché sa mimetizzarsi. La senti credibile addirittura quando cerca di convincerti che sei tu la causa dei debiti del bel paese anche se sai per certo di non aver firmato neanche una cambiale. La senti giusta addirittura quando ti chiede di fare sacrifici senza averne mai fatti e ha una sola consegna: salvarsi. Penso a quella informazione che pretende di indicare percorsi, scegliere persone, disegnare alleanze, occupando spazi che la democrazia normalmente riserva a chi ne condivide le responsabilità. Penso a quella informazione che sa sempre ciò che la gente pensa e soprattutto cosa vuole.

Ma questa volta non è andata così. I raccontatori di balle brancolano nel buio e non sanno spiegarsi il motivo per cui  i gialli, che non sono né neri né rossi, hanno vinto. Tutto ciò li inquieta, non perché non sanno qual è il colore che di più si abbina al giallo, in fatto di colori sono maestri. Sono attoniti perché sono stati sorpresi con le mani sporche di rosso e di nero. Se avessero per una volta ascoltato le storie comuni di tutti i giorni, quelle che non fanno notizia ma che ti raccontano la verità, se avessero guardato negli occhi quelle donne e quegli uomini che non osano, per incolpevole vergogna, incrociare i loro sguardi, se avessero spiegato ai giovani che il futuro si costruisce mettendosi insieme e non eliminandosi nella x factor della vita, avrebbero reso un contributo utile al loro paese e, soprattutto, avrebbero capito che non ce n’è più per nessuno. In questi ultimi vent’anni rossi e neri, invece di battersi per la difesa della Costituzione e del bene comune si sono distinti nella difesa dei loro privilegi e di quelli dei loro amici. Con l’ultimo governo si sono addirittura superati. Con la scusa di salvare il paese, se la sono presa con chi ha sempre lavorato e pagato le tasse anche più del dovuto, senza aver chiesto un solo centesimo a chi questo paese lo ha saccheggiato. Nella nostra amata terra ci sono persone che guadagnano 500 volte di più di quanto percepisce un loro dipendente, vale a dire che mangia 500 volte di più di loro senza neanche schiattare. Sempre con la stessa scusa, rossi e neri hanno consentito a quello che guadagna 500 volte di più dei suoi operai anche di licenziarli.

Alla fine degli anni settanta nel nostro paese la risposta alla violenza dello Stato furono il terrorismo, il sangue, gli anni di piombo. Da allora le cose sono cambiate, non ci sono state più stragi di Stato, ma di persone sì, e, senza tritolo. Hanno scelto di farla finita quegli operai che vivevano al di sopra delle loro possibilità così come hanno scelto di andarsene quegli imprenditori che non hanno saputo arrangiarsi. Al fuoco, questa volta, lo Stato ha preferito la penna, ma non è bastato. La risposta a questa nuova forma di violenza non è stata la lotta armata ma il web, un’arma incontrollabile, potente, efficace. Se i soloni della politica avessero guardato cosa è successo nei paesi nordafricani in questi ultimi due anni avrebbero compreso che la rivoluzione è possibile farla anche con internet. ☺

domenicodadamo@alice.it

 

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