la scuola in cui credo
13 Aprile 2010 Share

la scuola in cui credo

 

Il gatto inverno

Sì, Signora maestra,

mi sono un po’ distratto:

ma per forza, con quel gatto,

con l’inverno alla finestra

che mi ruba i pensieri

e se li porta in slitta

per allegri sentieri.

Invano li richiamo:

si saranno impigliati in qualche ramo spoglio

o per dolce imbroglio, chiotti, chiotti,

fingon di essere merli o passerotti.

Sembra ieri, eppure, quaranta anni fa i versi del grande Maestro, Gianni Rodari, ci facevano analizzare, riflettere, discutere il valore e la funzione della scuola, come ambiente atto a catturare la mente del bambino e consentirgli un autentica formazione.

L’interrogativo costante dell’es- sere docenti poneva alla nostra sensibilità istanze diverse: l’importanza della motivazione; l’adeguamento ai livelli di maturità di ciascun alunno; le finalità e le modalità di intervento.

In concreto, la nostra ricerca mirava a capire il bambino nella sua interezza psico-fisica per evitare che i suoi pensieri “si impigliassero in qualche ramo spoglio o seguissero allegri sentieri”. Una scuola, attenta ai problemi del mondo infantile, aveva bisogno di tempi, di spazi e di competenze che non potevano far leva sull’insegnante unico e su un quadro orario di 24 ore settimanali (il modello, della così detta, riforma Gelmini).

La convinzione che la scuola debba essere un luogo di effettiva promozione e formazione fu la spinta propulsiva delle grandissime riforme degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso. Una stagione densa di studi, di ricerche, di confronti allargati che trovarono nei Programmi Scolastici del 1985 un impianto formativo di tipo curriculare che richiedeva, da parte dei docenti, una qualificata formazione culturale e professionale.

Il cammino delle riforme non è stato facile, luci ed ombre connotano il tormentato percorso della innovazione scolastica: livelli di professionalità differenziati con la conseguente nascita e sviluppo di scuole di eccellenza e il permanere di situazioni di ristagno, in cui l’innovazione veniva recepita solo dal punto di vista formale.

La tensione verso una scuola diversa, il coinvolgimento delle famiglie, l’integrazione dei soggetti diversamente abili, l’ingresso di alunni stranieri costituiscono gli snodi di un processo evolutivo del sistema scuola che richiede, da parte dei docenti e dell’intero contesto socio-economico-culturale, una progressiva presa in carico dei problemi e la capacità progettuale di individuare e sperimentare soluzioni idonee e valide. Una scuola, dunque, in cui il leggere, lo scrivere e il far di conto non venissero finalizzati a se stessi ma costituissero il mezzo per aprirsi al mondo reale e interpretare i molteplici linguaggi che investono, nel bene e nel male, i nostri ragazzi. “Imparare ad apprendere” costituisce il punto nodale di una scuola che dovrebbe fornire a tutti gli alunni gli strumenti necessari per vivere in modo adeguato la propria vita di uomo e di cittadino.

L’esperienza dei moduli, tre insegnanti su due classi, è nata, quindi, come risposta ad una diversa impostazione dell’approccio alla conoscenza che richiedeva nuove e specifiche competenze non assimilabili al “maestro unico tuttologo”.

È vivo in tutti noi adulti il ricordo della nostra maestra, persona degna di grande rispetto ed affetto, ricordo in cui si assommano elementi di natura psicologica e fantastica, mitizzati dal  tempo che, ineluttabilmente, scorre e trasforma le cose. Ma se richiamiamo alla memoria le attività del quotidiano scolastico riemergono i momenti di panico relativi al “continua tu” della noiosa ora di lettura collettiva o i lunghi copiati o le operazioni aritmetiche, attività certo importanti, ma cadenzate da una monotona ripetitività che, spesso, spingeva i nostri pensieri a “fuggire in slitta per allegri sentieri”.

L’impostazione attuale non risolve certamente tutti i problemi di natura didattica e disciplinare, ma costituisce un modo per dare maggiore rilievo e dignità a tutte le discipline presenti nei Programmi dell’ 85 e nelle Indicazioni della Riforma Moratti.

La eventuale ristrutturazione dell’ordinamento scolastico non può prescindere da una puntuale verifica che permetta di consolidare gli aspetti positivi e di integrare le possibili carenze. Invocare l’opportunità di creare un rapporto univoco tra alunno e insegnante per soddisfare la sfera affettiva dello scolaro sembra riduttiva e fuorviante per diversi ordini di motivi:

– il modello unico è una espressione priva di senso per bambini che vivono in famiglia, nella scuola dell’infanzia, nel contesto di vita una pluralità di rapporti e di relazioni;

– il ritorno al passato annulla in modo superficiale ed anacronistico tutti gli studi e le ricerche condotti da pedagogisti e da psicologi sulle intelligenze multiple e sui processi di sviluppo cognitivi e affettivi e del pensiero infantile;

– il ritorno della metafora del “Gatto Inverno” rende ancor più significativo il rifiuto di una scuola che ignora il bambino reale, quello che vuole una scuola su misura che gli permetta di imparare ed apprendere e a vivere.

Le considerazioni, fin qui esposte, non sono esaustive della tematica relativa alla  complessità del rapporto educativo che resta, da sempre, il fondamentale problema di chi si assume la responsabilità di preparare al futuro le nuove generazioni con la consapevolezza che gli alunni costituiscono una realtà in continua evoluzione e spetta a noi comprenderli e favorirne lo sviluppo senza penalizzarli con una pseudo-riforma. ☺

 

eoc

eoc