un’economia per il cratere
18 Aprile 2010 Share

un’economia per il cratere

 

La dimensione economica è presente in molte attività della persona, ma  tale aspetto è solo una delle chiavi di lettura per comprendere l’umano. Tant’è che essa sorge come disciplina sociale: i primi grandi economisti erano filosofi e sociologi, senza dimenticare alcune figure di religiosi che già nel medioevo studiavano attività economiche e finanziarie per denunciarne le ingiustizie. Solo dopo l’incontro con l’analisi matematica, l’economia diventa scienza specialistica e quindi più efficace, ma anche meno comprensibile. Quando parliamo di economia non dobbiamo mai dimenticare che essa nasce dall’uomo e per l’uomo ed allora non scandalizziamoci se la lettura economica si accompagna a quella sociale che è il suo alveo naturale. Questa breve premessa per cercare di spiegare come mai una persona, come me, che ha ricevuto anche una formazione economica e commerciale, e che si trova ogni giorno a seguire imprese ed imprenditori, anche nei rapporti difficili con il fisco, cerca in ogni occasione di allargare il campo d’indagine partendo dall’economico, ma sforzandosi di non restare impantanato in ambiti angusti, che nascondono, nella loro tortuosità, alcune ingiustizie.

Progetto Fenice

Quando all’indomani del terremoto le Caritas ci chiesero dati sulla situazione socio-economica, ci accorgemmo di quanto trascurate e poco studiate erano state le aree del cratere.  Nacque così un progetto di ricerca-azione denominato Fenice. Se le generazioni future avranno l’occasione di leggere quest’opera, stenteranno a credere che un piccolo esercito di 100 persone, tanti sono  i soggetti coinvolti, per lo più originari delle aree oggetto di studio, possano avere in pochissimi mesi ideato, progettato ed attuato una ricerca così imponente dando vita ad una esperienza indimenticabile (300 ore di formazione per complessivi 61 giovani formati;  4 Diocesi coinvolte: Termoli-Larino, Campobasso-Bojano, Lucera-Troia, Trivento; 4 province coinvolte: Campobasso, Isernia, Foggia, Chieti; 12.000 questionari somministrati; 34 comuni coinvolti per complessivi 52.000 abitanti – i dati si riferiscono al 2003 – la ricerca è stata supervisionata ed approvata dall’Università cattolica di Milano). Nelle pagine di questo mensile avrete la possibilità di percorrere, questo itinerario di conoscenza dei principali aspetti socio-economici di queste comunità (Comuni del Cratere) così duramente colpite dal terremoto o che vivono situazioni di forte disagio sicuramente preesistenti, ma amplificate dopo l’evento sismico.

Percorrendo quello che resta  delle strade, che collegano i vari paesi, non ci si può esimere dal constatare come l’isolamento e la distanza, da quella che oggi chiamiamo “civiltà”, sia enorme. Essi sono a rischio di estinzione perché il lavoro lo si va a cercare fuori. Come famiglie che perdono i propri figli, a poco a poco, queste comunità diventano più tristi, sfiduciate e si stancano di lottare. L’impressione che ne abbiamo tratto e che vi anticipiamo, lasciandovi il gusto della lettura, non solo dei numeri, ma anche delle testimonianze pervase da una vibrante intensità, è quella di comunità che risultano essere, complessivamente, sfiduciate, talvolta conflittuali e chiuse in se stesse, ma con un enorme potenziale di calore umano, dotate di grande dignità e di una inespressa vitalità.

La tentazione potrebbe essere quella di trasferire il nostro Know-how ossia le nostre conoscenze, i nostri modelli di sviluppo, ma “lo sviluppo non dovrebbe essere una via per aiutare l’uomo a scoprire la sua stessa dignità e risvegliare in lui il desiderio di raggiungere un’umanità piena? Più l’individuo diventerà consapevole delle proprie qualità e della propria dignità umana, più egli rispetterà se stesso e coglierà la necessità di un’ulteriore auto-formazione; potrà dunque così contribuire adeguatamente allo sviluppo e sarà in grado di farlo. Lo scopo di qualsiasi sviluppo è perciò aiutare l’uomo ad aiutare se stesso, e si fonda sulla fiducia nell’uomo. Nello sforzo di educare e sviluppare l’uomo non dobbiamo tuttavia separare l’individuo dal suo contesto ambientale, motivo per cui la comunità umana merita una maggiore attenzione, al pari della persona”. Abbiamo verificato che i giovani coinvolti nel progetto erano per lo più preparati e motivati e ci è sorta una domanda: perché questi giovani cercano lavoro lontano dai loro paesi, perché l’atteggiamento arrendevole prende il sopravvento? Per farsi un’idea delle probabili risposte emerse dalla ricerca, bisognerebbe leggere gran parte di Fenice.

Patto generazionale

Osservando una piccola parte dei risultati della ricerca, possiamo affermare che tutto ciò è anche causato dall’assenza di un “patto generazionale”. Gli anziani infatti, così come evidenziano le testimonianze, colpevolizzano i giovani “perché non hanno voglia di fare niente” ed i giovani dall’altra parte si sentono mortificati perché le loro idee spesso vengono boicottate indirettamente da critiche non costruttive, private di quell’entusiasmo e di quella fiducia necessarie affinché decollino. Ma se gli anziani sono coloro che soffrono di più per lo spopolamento del loro paese e il futuro è solo nei giovani che decidono di restare, allora perché non si comprende che solo un patto generazionale, basato sulla fiducia e su un accompagnamento reciproco, può essere la base per costruire, specialmente in queste realtà disagiate, un futuro possibile? Tutto ciò gioverebbe molto nella prospettiva di una indispensabile rivitalizzazione del tessuto sociale ed economico. Ma se questo patto generazionale è indispensabile, il canale attraverso cui attuarlo passa anche per l’apporto fattivo di quelle poche, ma preziose associazioni culturali, sportive, sociali ed in generale di volontariato ed anche attraverso strutture cooperativistiche sociali, con ruoli distinti dal volontariato, ma convergenti. A queste realtà potrebbe essere infatti affidato un compito importante. Esse infatti costituiscono quell’anello di passaggio tra l’individualismo, molto presente in questi comuni, specchio della nostra società, e l’idea comunitaria, propria di una associazione o cooperativa sociale, collante importantissimo per la vita di qualunque paese. I membri di queste associazioni o cooperative  sociali sono per lo più persone coraggiose che hanno compreso, prima di altri, l’importanza di organizzare la speranza attraverso la solidarietà, ma spesso si chiudono nel loro attivismo a compartimenti stagno, dimenticando o perdendo di vista la consapevolezza del loro importante ruolo di nodi di una rete che si chiama tessuto sociale; il loro specifico dovrebbe essere essenzialmente in funzione, in relazione alla comunità.

Un ruolo importante devono giocarlo anche le organizzazioni economiche e professionali, spesso schiacciate da una rappresentanza di parte che fa perdere di vista la “comunità” nel suo complesso. A queste organizzazioni, agricole, artigianali, commerciali, industriali, di servizi, sindacali e professionali, che hanno le competenze e le capacità per dare una virata netta verso uno sviluppo giusto, diffuso, duraturo, sostenibile ed eco-compatibile, l’invito a rinnovarsi restando fedeli al ruolo, originario, di tutela del cittadino, del lavoratore e dell’imprenditore, con funzioni di stimolo, denuncia e progettualità. Possano esse guidare questa economia fuori dalle secche di un cieco sviluppo che non favorisce l’elevazione dei più vulnerabili.

 Perché la politica è in ritardo rispetto a queste sfide, perché ci si ostina, in aree così disagiate, ad alimentare conflitti, a generare antagonismo, a delegittimare l’altro gruppo? Perché ci avete dimenticato? Questi i contenuti più frequenti delle testimonianze raccolte ed aventi come tema la politica. Ed a guardare bene questi paesi, le loro strade, non si può non prendere sul serio tali affermazioni. Anche ai politici ed in generale alle istituzioni è dedicata tutta l’opera, ma in particolare il capitolo in cui sono state prospettate alcune soluzioni ed interventi possibili che attendono scelte coraggiose. Quindi Fenice non è solo una semplice ricerca da cui estrarre dati utili, ma una ricerca-azione per promuovere una concezione dell’azione sociale ed economica capace di sviluppare riflessività sociale e favorire l’elaborazione di conoscenze che sono il prodotto collettivo di ricercatori, attori e utilizzatori potenziali. In quanto tale, la ricerca-azione può diventare un’importante opportunità per l’espressione di intenzionalità collettive, per progettualità condivise  da porre alla base di uno sviluppo locale possibile per una “comunità responsabile”.

Ai politici ci sentiamo di rivolgere un invito: “siate pronti ad affrontare le sfide che vi attendono con onestà intellettuale e competenza; sappiate far posto ad altri che meglio di voi possano rispondere alle attese delle persone; sappiate lavorare insieme non solo all’interno del vostro gruppo, ma soprattutto con altri; non dividetevi, ma unitevi perché i problemi sono complessi e le soluzioni possono giungere  anche dalla fazione opposta”. Condizioni per la ricerca di soluzioni adeguate sono una riflessione comune ed un clima sereno. Nessuno è così ingenuo da non sapere che questa profezia è lontana quasi utopica. Ma è pur vero che la riuscita del lavoro va misurata soprattutto nella sua capacità di avvicinare questa prospettiva. Può infatti una famiglia affrontare problemi complessi se è conflittuale al suo interno, se non c’è dialogo e se le differenze non vengono percepite come potenzialità? Il rischio che si corre è la perdita di intere comunità che cederemo al resto del mondo. Esse costituiscono un patrimonio fondamentale, non solo per le regioni di origine, ma anche per l’intera nazione italiana che dimentica facilmente le proprie radici e la fedeltà alle virtù dei padri. ☺

adelellis@virgilio.it

 

eoc

eoc